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Cassazione penale sez. V, 13/01/2023, n.11253

Massima

Patteggiamento: l’erronea applicazione della recidiva contestata non può essere dedotta con ricorso per cassazione.

Supporto alla lettura

PATTEGGIAMENTO

Il patteggiamento (rectius applicazione della pena su richiesta delle parti) è un accordo tra imputato e pubblico ministero per l’applicazione, da parte del giudice, di una pena non superiore a cinque anni di reclusione anche congiunti a pena pecuniaria. La disciplina dell’istituto è portata principalmente dagli artt. 444 e ss. c.p.p. L’iniziativa della richiesta di pena patteggiata può provenire sia dal PM che dall’imputato. La volontà dell’imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale. In udienza le volontà sono espresse oralmente, mentre fuori udienza con atto scritto che per l’imputato necessita di autenticazione della firma. Il patteggiamento e il giudizio abbreviato, salvo il caso di richiesta principale di abbreviato semplice, possono essere oggetto di richiesta subordinata l’uno all’altro (art. 438 comma 5 bis c.p.p.; in tema di richiesta principale di patteggiamento e subordinata di abbreviato. Lo stesso art. 444 cpp limita l’applicabilità del patteggiamento quando una pena detentiva (tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo) superi i cinque anni. In base al secondo comma sono poi esclusi dal patteggiamento una serie di procedimenti come quelli relativi a delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza sessuale di gruppo e, comunque, tutti quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza o recidivi qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria. La legge n. 103 del 2017 ha ripristinato l’istituto del patteggiamento di secondo grado attraverso concordato anche con rinuncia ai motivi d’appello (art. 599 bis c.p.p.).

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 24 febbraio 2022 dal Tribunale di Pisa che, a istanza delle parti, applicava, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena di mesi sei di reclusione nei confronti di C.G.L., per i reati di lesioni personali e minaccia.

2. Avverso la sentenza del Tribunale, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia.

2.1. Con un primo motivo, deduce la violazione dell’art. 129 c.p.p..

Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 129 c.p.p., sostenendo che il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine all’insussistenza di cause di proscioglimento, essendosi limitato a un mero rinvio agli atti delle indagini preliminari.

2.2. Con un secondo motivo, deduce l’insussistenza della recidiva.

Sostiene che il Tribunale non avrebbe dovuto applicare la recidiva e non avrebbe dovuto tenerne conto al fine della determinazione della pena, atteso che l’imputato sarebbe gravato da un solo precedente penale, relativo a una sentenza di condanna per una contravvenzione.

3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, essendo inammissibili entrambi i motivi.

1.1. Va premesso che l’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, (introdotto dalla L. n. 103 del 2017) ha stabilito che il ricorso avverso la sentenza di patteggia mento è proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Ebbene, con riferimento al primo motivo, risulta pacifico che, ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, non sia denunziabile in cassazione l’omessa o insufficiente valutazione, da parte del giudice che ha pronunciato la sentenza di “patteggiamento”, delle condizioni che avrebbero consentito di addivenire al proscioglimento in fatto ex art. 129 c.p.p., comma 1, in quanto il citato comma 2-bis limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi in esso tassativamente indicate, tra le quali non rientra la denunzia di vizi motivazionali sul tema della penale responsabilità (Sez. F, n. 28742 del 25/08/2020, Messnaoui, Rv. 279761; Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, Pierri, Rv. 278337; Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014).

1.2. Anche il secondo motivo è inammissibile, non rientrando tra le ipotesi tassative indicate dall’art. 448 c.p.p., comma 2-bis.

In giurisprudenza vi è un contrario orientamento, secondo il quale sarebbe ammissibile il motivo di ricorso avente a oggetto l’insussistenza della recidiva contestata e applicata nella sentenza di patteggiamento, atteso che tale censura rientrerebbe nella verifica della corretta qualificazione giuridica del fatto (cfr. Sez. 6, n. 44393 del 24/09/2019, Lamberti, Rv. 277214).

Da tale orientamento, questo Collegio ritiene di discostarsi, atteso che la qualificazione giuridica attiene alla riconducibilità del fatto contestato (comprensivo anche delle circostanze) alla fattispecie astratta e il controllo su di essa, pertanto, non può che riguardare il solo riscontro dell’astratta corrispondenza del fatto descritto nell’imputazione alla fattispecie legale ritenuta in sentenza.

Nei casi, come quello in esame, in cui il ricorrente contesta i presupposti per l’applicazione della recidiva, non viene in questione la qualificazione giuridica della circostanza, ma la sussistenza degli elementi in fatto che ne giustificano l’applicazione.

Con riferimento alla recidiva, a rigore, “il giudice del patteggiamento” può incorrere in un errore di qualificazione giuridica solo quando applichi una recidiva non contestata oppure ritenga sussistente una tipologia di recidiva diversa da quella contestata.

Va evidenziato che il contrario orientamento richiama – a sostegno della riconducibilità del motivo che censura l’insussistenza della recidiva all’ipotesi di errata qualificazione giuridica – una pronuncia di questa Corte (Sez. 2, n. 36 del 15/12/2010, Viola, Rv. 249488), risalente a epoca anteriore alla novella del 2017, che, tuttavia, era relativa a un’ipotesi in cui il giudice aveva applicato una recidiva che non era stata mai contestata.

In quella stessa sentenza – in linea con quanto sostenuto da questo Collegio – viene affermato che “nell’ambito della qualificazione del fatto vanno anche considerate le circostanze effettivamente riconosciute e il giudice, chiamato a sindacare la legittimità dell’accordo intervenuto tra le parti, deve tenere conto delle circostanze effettivamente contestate, tale controllo sostanziandosi nella correttezza della qualificazione giuridica del fatto mediante il riscontro dell’astratta corrispondenza della fattispecie legale prospettata”.

Il secondo motivo di ricorso, pertanto, censurando non la qualificazione giuridica della circostanza, ma la sussistenza degli elementi in fatto che ne giustificavano l’applicazione, risulta inammissibile.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, che deve determinarsi in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2023.

Allegati

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