Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 20 maggio 2024 il Tribunale di Bologna ha rimesso gli atti alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 24-bis cod. proc. pen., chiedendo la risoluzione, in via pregiudiziale, della questione di competenza per territorio nel procedimento instaurato nei confronti di Ro.Fi. e Oc.Ma. per diffamazione aggravata (art. 595, comma 3, cod. proc. pen.) in pregiudizio di Ri.Ni., Or.Da. e Va.Pa.
Agli imputati, “in qualità di autori del servizio televisivo”, è contestato di avere ‘offe(so) la reputazione, Ri.Ni., all’epoca dei fatti, (designatore) degli arbitri di serie A, Or.Da., all’epoca dei fatti, arbitro di calcio di serie A e B e Va.Pa., all’epoca dei fatti, arbitro VAR, ed in particolare all’interno del programma “(Omissis)” nel corso del servizio intitolato “(Omissis) il mistero dell’Audio del Var ‘sparito’ sul caso (Omissis)”, servizio riproposto anche sul sito internet del programma, adombravano una frode sportiva tra i tre al fine di favorire Juventus Football Club, nel corso dell’incontro (Omissis) del 28/4/2018. In Bologna (ruolo di residenza del primo querelante) il 06/10/2020′.
2. Il Giudice rimettente ha premesso che
– la competenza per territorio è stata individuata dal Pubblico ministero in ragione del luogo di residenza della persona offesa (segnatamente, del primo querelante Va.Pa.) ai sensi dell’art. 30, comma 5, legge 6 agosto 1990, n. 223;
– la difesa degli imputati ha sollevato tempestivamente eccezione di incompetenza per territorio (in favore del Tribunale di Monza, nel cui circondario rientra il luogo di trasmissione del servizio televisivo, o del Tribunale di Roma, luogo di residenza di entrambi gli imputati), chiedendo di rinviare gli atti a questa Corte ex art. 24-bis cod. proc. pen. e, in particolare deducendo il difetto dei presupposti per fare applicazione dell’art. 30, comma 5, cit. (in quanto gli imputati non rientrerebbero tra i soggetti per cui la detta norma eccezionale prevede la deroga agli ordinari criteri di competenza per territorio e, nel caso di specie non sarebbe stato attribuito alle persone offese un fatto determinato); nonché contestando la stessa vigenza della norma (a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 150 del 22 giugno 2021) e l’individuazione nel Ri.Ni. del primo querelante (dato che è stata sporta un’unica querela dalle tre persone offese);
– il Pubblico ministero si è opposto, riportandosi a quanto indicato nell’atto di querela al fine di determinare la competenza per territorio;
– le parti civili si sono opposte, osservando altresì che la contestazione fa riferimento all’attribuzione di un fatto determinato, la pronuncia costituzionale richiamata nell’interesse degli imputati avrebbe avuto ad oggetto soltanto il trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 30 legge 6 agosto 1990, n. 223, la competenza del Tribunale di Bologna troverebbe sostegno nell’ordinanza n. 46165 del 15/11/2023 resa dalla Corte di cassazione e in quanto esposto nel documento (in data 15 febbraio 2016) che raccoglie gli orientamenti della Procura generale della Corte di cassazione; le parti civili, con ulteriore memoria, hanno negato la sussistenza dei presupposti per investire la Corte di legittimità ex art. 24-bis cod. proc. pen. (poiché la norma richiede un vaglio di serietà della questione di competenza), richiamando altresì la sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 1996 (relativa alla ratio sottesa all’art. 30, comma 5, cit.) e precisando che Ri.Ni. è stato il primo degli offesi ad aver avuto conoscenza del fatto e ad assumere iniziative legali (poi concretizzatesi nella presentazione della querela).
Il Tribunale
– ha ritenuto che agli imputati sia contestato di aver attribuito alle persone offese un fatto determinato;
– ha, tuttavia, evidenziato come costoro, indicati quali “autori” del servizio diffuso con il mezzo televisivo ed avente – nella prospettazione accusatoria -contenuto diffamatorio, in effetti non siano annoverabili tra i soggetti (il concessionario privato, la concessionaria pubblica, la persona da loro delegata al controllo della trasmissione) contemplati dall’art. 30, comma 1, I. n. 223 del 1990;
– ha dato conto di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’applicazione del criterio speciale di competenza, previsto dall’art. 30, comma 5, cit., soltanto a chi rivesta una delle qualifiche di cui al comma 1 ovvero a chiunque commetta il delitto di diffamazione (in presenza degli altri presupposti di legge), esponendo i piani ermeneutici in discorso (affermando pure l’impossibilità di superare il contrasto sulla scorta di un’esegesi teleologica) e chiarendo come essi condurrebbero ad una distinta decisione sulla questione di competenza per territorio, che si radicherebbe, nell’un caso, innanzi al Tribunale di Monza ex art. 9, comma 1, cod. proc. pen., luogo di trasmissione del programma televisivo de quo; nell’altro, per l’appunto ex art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990, innanzi al Tribunale di Bologna (propendendo per tale ultima opzione ma rimarcando, proprio in ragione del consolidato contrasto interpretativo, la serietà della questione e la regressione del processo che in seguito potrebbe determinarsi).
3. Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto
– di dichiarare inammissibile la questione sollevata, alla luce della giurisprudenza di legittimità (segnatamente da Sez. 3, n. 11400 del 14/12/2023,
confi, comp. in proc. Greggio, Rv. 286071-01) poiché essa sarebbe “esplorativa”;
– ovvero di annullare l’ordinanza “nel merito, qualora si dovesse optare per una presa di posizione specifica del remittente, in quanto oggettivamente il capo di imputazione indichi in modo sufficientemente chiaro la sussistenza di un fatto determinato a contenuto diffamatorio”;
– in subordine, di affermare la competenza territoriale del Tribunale di Bologna, luogo di residenza della persona offesa, attribuendo rilievo – secondo la prevalente giurisprudenza (cfr. da ultimo Sez. 5, n. 26919 del 15/03/2024, Confi, comp. in proc. Festinese, Rv. 286578 – 01) – alla “sussistenza del fatto determinato” e non all’indicazione dei soggetti indicati nell’art. 30, comma 1, l. n. 223 del 1990 (cfr. requisitoria scritta).
L’avvocato Gabriele Bordoni, nell’interesse delle parti civili Ri.Ni., Or.Da. e Va.Pa., ha presentato memoria con la quale, richiamando la giurisprudenza di legittimità, ha evidenziato che il giudice, nel rimettere la questione di competenza alla Corte di cassazione ex art. 24-bis cit., deve motivare e spiegare le ragioni di questa sua scelta e, quindi, prendere esplicita posizione sull’eccezione sollevata, compiendo una valutazione autonoma; e ha chiesto disporsi che il processo prosegua avanti al Tribunale di Bologna alla luce di quanto ritenuto da Sez. 5, n. 26919 del 15/03/2024, cit., in una fattispecie analoga alla presente.
L’avvocato (omissis), nell’interesse degli imputati Ro.Fi. e Oc.Ma., ha presentato memoria con la quale ha contestato la fondatezza di quanto esposto dal Procuratore generale in ordine alla determinazione della competenza per territorio; ha indicato le ragioni in forza delle quali sarebbe preferibile l’orientamento giurisprudenziale che esclude l’applicazione del criterio di competenza per territorio previsto dall’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990 (da individuarsi sulla scorta della residenza persona offesa), nei casi in cui del reato di diffamazione radiotelevisiva sia chiamato a rispondere un soggetto diverso dal concessionario pubblico, dal concessionario privato o dalla persona da loro delegata al controllo della trasmissione (espressamente indicati dall’art. 30, comma 1, cit.); ha dedotto che in ogni caso il criterio in discorso non sarebbe applicabile nella specie, in quanto non è determinabile il luogo di residenza della persona offesa, poiché Ri.Ni., Or.Da. e Va.Pa. sono residenti in tre luoghi diversi (rientranti nel circondario di diversi Tribunali), non deponendo in senso contrario il riferimento (contenuto nel capo di imputazione, che non distingue le tre posizioni) al luogo di residenza del Ri.Ni. (Bologna), quale “primo querelante”, dato che gli offesi hanno presentato un unico atto di querela (non esponendo alcuna indicazione cronologica relativa a chi, tra loro, avesse per primo appreso il contenuto del servizio de quo); conseguentemente, la competenza per territorio dovrebbe essere determinata in forza delle regole generali poste dagli artt. 8 e ss. cod. proc. pen. e, in particolare, della regola suppletiva di cui all’art. 9, comma 1, stesso codice (secondo cui, “se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8, è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione”), che la radicherebbe in capo al Tribunale di Monza (luogo di emissione canale televisivo che ha trasmesso il servizio), ovvero dell’art. 9, comma 2, cit. (in forza del quale “se non è noto il luogo indicato nel comma 1, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza… dell’imputato”) da cui discenderebbe la competenza del Tribunale di Roma (luogo di residenza di entrambi gli imputati).
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il giudice competente per territorio a conoscere della regiudicanda deve individuarsi nel Tribunale di Monza per le ragioni che si espongono di seguito. Deve, pertanto, dichiararsi l’incompetenza del Tribunale di Bologna, che ha disposto il rinvio pregiudiziale, e deve ordinarsi la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Giudice competente.
2. Anzitutto, non ricorre l’inammissibilità della questione di competenza per territorio, denunciata dal Sostituto Procuratore generale e, per vero, dalle stesse parti civili (allorché hanno rimarcato che il giudice che rimetta gli atti alla Corte di cassazione ex art. 24-bis cod. proc. pen., deve motivare e spiegare le ragioni di questa sua scelta, prendendo un’esplicita e autonoma posizione sull’eccezione di incompetenza).
2.1. L’art. 24-bis cod. proc. pen. (inserito dall’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) contempla il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per la decisione sulla competenza per territorio, disponendo che “la questione concernente la competenza per territorio (possa) essere rimessa, anche di ufficio” – secondo le cadenze ed entro i termini previsti (cfr. comma 1 “prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall’articolo 491, comma 1)” cod. proc. pen.; “entro il termine previsto dall’articolo 491, comma 1, può essere… rimessa alla Corte di cassazione la questione concernente la competenza per territorio riproposta ai sensi dell’articolo 21, comma 2”) – con ordinanza con la quale il giudice “rimette alla Corte di cassazione gli atti necessari alla risoluzione della questione, con l’indicazione delle parti e dei difensori” (cfr. comma 2).
Il nuovo istituto (“costruito) sul modello della proposizione e della risoluzione dei conflitti di giurisdizione e competenza (artt. 30-32 cod. proc.
pen.), con i necessari adattamenti, propri della disciplina della incompetenza per territorio, in tema di termini per la proposizione della relativa eccezione e dì provvedimenti conseguenti alla dichiarazione di incompetenza” cfr. la Relazione illustrativa che ha accompagnato il decreto 150 cit.) è volto a pervenire a una determinazione della competenza per territorio nell’udienza preliminare o, in dibattimento, nell’ambito degli atti introduttivi e più specificamente in sede di questioni preliminari, come si trae con chiarezza delle cadenze procedimentali -già richiamate – che consentono il rinvio pregiudiziale, anche d’ufficio; e anche dalla previsione contenuta nell’art. 24-bis, comma 6, cit., secondo cui “la parte che ha eccepito l’incompetenza per territorio, senza chiedere contestualmente la rimessione della decisione alla Corte di cassazione, non può più riproporre l’eccezione nel corso del procedimento”. In sostanza, si tratta di un istituto volto a prevenire – per il tramite della pregiudiziale investitura della Corte di legittimità, chiamata a determinare il giudice che ratione loci deve conoscere della regiudicanda – il compimento di attività processuale passibile di essere caducata da una successiva pronuncia che affermi l’incompetenza per territorio (cfr. Sez. 5, n. 43638 del 06/09/2023, Agnelli, Rv. 285306 – 01, che ha evidenziato come il rinvio pregiudiziale ex art. 24-bis cod. proc. pen. “rispond(a) all’esigenza di dare compiuta attuazione al principio costituzionale della garanzia della precostituzione e della naturalità del giudice (di cui all’art. 25, comma 1, Cost.) ed a quello dell’efficienza e della ragionevole durata del processo (di cui all’art. 111, comma 1, Cost.)”; Sez. 1, n. 20612 del 12/04/2023, Rv. 284720 -01, secondo cui l’istituto è volto ad “evitare che l’eccezione di incompetenza territoriale tempestivamente sollevata venga respinta, ma resti come un “vizio occulto” del processo, con la possibilità che essa, accolta nei gradi successivi, determini la caducazione dell’attività processuale svolta medio tempore e la necessità di ricominciare l’iter processuale”).
La legge processuale non esplicita i parametri cui deve uniformarsi il giudice nel disporre il rinvio pregiudiziale, stabilendo unicamente che la rimessione degli atti debba essere disposta con ordinanza ossia – come già condivisibilmente rilevato – con provvedimento motivato, senza tuttavia indicarne il contenuto (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 46181 del 25/10/2023, Barbieri, Rv. 285424 – 01, che rimarca come l’ordinanza debba essere “motivat(a) a pena di nullità, giust(a) il disposto di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.”).
La giurisprudenza di legittimità, sin dalle prime decisioni relative al nuovo istituto, ha pertanto tracciato in che termini il giudice rimettente possa ritualmente investire la Corte di cassazione, in via pregiudiziale, perché quest’ultima determini la competenza per territorio. Più in dettaglio – anche alla luce di quanto esposto nella Relazione finale (contenente “proposte di
emendamenti al D.D.L. A.C. 2435”) stilata dalla Commissione ministeriale nominata con D.M. 16 marzo 2021 “(ove si era suggerito di “responsabilizzare il giudice di merito”, orientando la scelta “solo al cospetto di questioni di una certa serietà”, in modo da evitare potenziali usi strumentali dell’istituto e da renderla coerente con i principi costituzionali dell’efficienza e della ragionevole durata del processo)” (Sez. 5, n. 37783 del 20/6/2023, confi, comp. in proc. Sansonetti, n.m.) -, si è chiarito che “nella valutazione del rinvio incidentale alla Corte regolatrice, la scelta del giudice rimettente deve essere operata solo al cospetto di questioni di una certa serietà, in modo da evitare potenziali usi strumentali dell’istituto derivanti da un automatismo defaticante connesso alla formulazione della eccezione”, in quanto la “serietà” della questione costituirebbe un “requisito implicito” per l’applicazione dell’istituto (così Sez. 4, n. 46181/2023, cit.; Sez. 3 n. 41594 del 6/7/2023, Confi, comp. in proc. Mulas, Rv. 285114 -01; cfr. pure Sez. 5, n. 43638/2023, cit.; Sez. 1, n. 20612/2023, cit.). Con la conseguenza che “il giudice deve condurre il vaglio sulla serietà della questione secondo un canone di ragionevole presunzione di fondatezza della stessa, pronunciandosi sulla impossibilità di risolverla mediante gli ordinari strumenti normativi” (Sez. 4, n. 46181/2023, cit.; cfr. pure Sez. 3, n. 44932 del 27/09/2023 Confi, comp. in proc. Selvarolo, Rv. 285334 – 01 “in tema di rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza territoriale ex art. 24-bis cod. proc. pen., il giudice che intende rimettere la questione alla Corte di cassazione è tenuto, a pena di inammissibilità, ad analizzare previamente le deduzioni prospettate dalle parti, a tentare di comporle per raggiungere una decisione e ad illustrare compiutamente il percorso interpretativo in concreto effettuato, indicando le ragioni che non hanno consentito di risolvere la questione secondo gli ordinari strumenti processuali”; cfr. altresì Sez. 1, n. 20612 del 12/4/2023, Rv. 284720 – 01; Sez. 5, n. 34507 del 14/06/2024, n.m.; cfr. pure Sez. 3, n. 11400 del 14/12/2023, dep. 19/03/2024, Greggio, Rv. 286071 – 01; Sez. 1, n. 46466 del 22/09/2023, Rv. 285513 – 01; Sez. 5, n. 43304 del 07/07/2023, Rv. 285233 – 01; Sez. 3, n. 41595 del 7/7/2023; Sez. 6, n. 31809 del 10/05/2023, Rv. 285089 – 01).
A sostegno di tale “attività esplicativa” si è richiamato pure l’art. 24-bis, comma 2, cit., “a mente del quale, nel pronunciare l’ordinanza, il giudice… rimette alla Corte di cassazione gli atti necessari alla risoluzione della questione…, previsione che si giustifica solo con il correlato onere di spiegare le ragioni della ritenuta rilevanza di tali atti” (Sez. 4, n. 46181/2023, cit.; cfr. pure Sez. 5, n. 37783/2023, cit.; Sez. 3, n. 41595/2023, cit.). E si è coerentemente puntualizzato che, “ai fini dell’ammissibilità stessa del rinvio”, il giudice è tenuto “a motivare la propria determinazione, individuando tutti gli elementi concreti ritenuti rilevanti ai fini della individuazione della competenza, non potendo devolvere al giudice di legittimità questioni che attengono alla ricostruzione di fatti, anche processuali, i quali esulano dalla sua cognizione (sez. 6, n. 31809 del 10/5/2023, Rv. 285089-01; cfr. pure Sez. 4, n. 46181 del 25/10/2023, Cappello, Rv. 285424 – 01).
Pertanto, “deve escludersi che l’onere motivazionale possa essere assolto con la semplice prospettazione di una esigenza “esplorativa”, essendo necessaria una argomentata esposizione delle possibili soluzioni esegetiche alternative, nonché una completa descrizione di tutti i dati fattuali che possa permettere alla Corte di cassazione di formulare un giudizio con piena cognitio, evitando il rischio di compiere verifiche “al buio” che potrebbero condizionare la correttezza delle determinazioni finali…. Si è, infatti, correttamente osservato come, diversamente opinando, il rischio sia quello di considerare il rinvio pregiudiziale “come una sorta di delega del giudice di merito al giudice di legittimità per la soluzione della questione di competenza si tratterebbe di uno strumento indeterminato e dispersivo che rischia di risultare inidoneo a raggiungere l’obiettivo che la norma ha inteso perseguire, poiché si costringerebbe la Corte di cassazione a valutare “al buio” la questione di competenza, senza la mediazione provvedimentale del motivato atto di rimessione”” (Sez. 4, n. 46181/2023, cit., che richiama Sez. 6, n. 40715/2023, cit., e Sez. 5, n. 37783/2023, cit.).
Mette conto osservare che il rinvio pregiudiziale è volto a prevenire, altresì, un conflitto di competenza per territorio e presuppone che esso non ricorra. Più in particolare, si tratta di un modulo procedimentale che può essere azionato solo qualora un conflitto di competenza non abbia già avuto luogo ovvero nel caso in cui la competenza non sia stata già declinata da uno dei giudici investito della regiudicanda in favore di un altro, il quale a propria volta si ritenga incompetente, poiché in tali ipotesi il codice di rito (che in parte qua non è stato modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022) già prevede le modalità di risoluzione del conflitto, di cui è sempre investita la Corte di cassazione (in tal senso, cfr. Sez. 3, n. 22304 del 14/03/2024, Rv. 286438 – 01 “è inammissibile il rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza territoriale ex art. 24-bis cod. proc. pen. disposto dal giudice, al quale gli atti siano stati trasmessi per effetto di una sentenza dichiarativa di incompetenza emessa da altro giudice, che si ritenga, a sua volta, territorialmente incompetente, in quanto la natura anticipatoria e preventiva di tale strumento postula che non vi sia già stata una decisione sulla competenza territoriale, sicché, in tal caso, l’unico rimedio esperibile risulta il conflitto di competenza”).
Non occorre in questa sede dilungarsi sul presupposto, perché possa ritualmente disporsi il rinvio pregiudiziale, individuato da parte della giurisprudenza nella necessità che il giudice che rimette gli atti ex art. 24-bis cod. proc. pen. ritenga la propria competenza (non potendo, invece, disporlo nel caso in cui la escluda, ipotesi in cui dovrebbe dichiararlo con sentenza e “trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente, salvo che questi sia proprio colui il quale aveva… trasmesso gli atti per competenza, nel qual caso deve sollevare conflitto ai sensi dell’art. 30 cod. proc. pen.” Sez. 5, n. 34507 del 14/06/2024, n.m.; cfr. Sez. 3, n. 44932/2023, cit.; Sez. 1, n. 20612/2023, cit.; cantra, Sez. 5, n. 43638/2023, cit.) per la dirimente considerazione che nel caso in esame il Tribunale di Bologna ha affermato di propendere per l’orientamento che radicherebbe in capo allo stesso Ufficio la competenza per territorio.
2.2. L’ordinanza che ha rimesso gli atti ha dato ampiamente conto della serietà della questione, evidenziando correttamente la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale (sul quale si tornerà appena oltre) e – pur indicando l’orientamento che ha considerato preferibile e che, ad avviso, dello stesso Giudice remittente avrebbe radicato in capo allo stesso la competenza ratione loci – ha chiaramente esplicitato, proprio in ragione del contrasto, la possibilità che (a fronte della rituale proposizione della questione da parte degli imputati) nei gradi successivi possa giungere una diversa determinazione sul punto. In breve, il provvedimento che ha investito questa Corte della questione è conforme ai princìpi giurisprudenziali sopra esposti, dovendosi escludere che ricorra la denunciata inammissibilità.
3. Ritenuta l’ammissibilità della questione, occorre verificare se sia attualmente vigente lo speciale criterio di determinazione della competenza previsto dall’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990.
Per quanto qui di interesse, il comma in esame fissa nel “luogo di residenza della persona offesa” il parametro per la determinazione della competenza per territorio quanto si procede per “i reati di cui al comma 4” dello stesso articolo; dunque, va letto in relazione a quest’ultima disposizione che, per l’appunto, indica i reati in discorso nei fatti “diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato” (art. 30, comma 4, cit.).
3.1. La Corte costituzionale (con la sentenza n. 150 del 2021) ha dichiarato pure l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale (ai sensi dell’art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87), proprio dell’art. 30, comma 4. Tuttavia, questa Corte si è già espressa nel senso della permanente vigenza dello speciale criterio di competenza in discorso, pur a fronte della richiamata pronuncia del Giudice delle leggi (cfr. Sez. 5, n. 26919/2024, cit. “in tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, anche successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, la competenza territoriale deve essere stabilita, in applicazione
dell’art. 30, comma 5, seconda parte, legge 6 agosto 1990 n. 223, con riferimento al foro di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato”; cfr. pure Sez. 5, n. 34507/2024, cit.). Tale conclusione deve qui essere ribadita, sia pure secondo un percorso ermeneutico in parte non coincidente.
In effetti, come già rilevato dalle decisioni appena menzionate, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo – per violazione degli artt. 21 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 10 CEDU – l’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, che costituiva “/ex specialis rispetto alle due aggravanti previste dall’art. 595 cod. pen., secondo e terzo comma (e) prevedeva la circostanza aggravante del mezzo della stampa per il delitto di diffamazione con attribuzione del fatto determinato”, sanzionando il fatto con le pene della reclusione (da uno a sei anni) e della multa (non inferiore a Euro 258 euro), da applicare in via cumulativa tale regime sanzionatorio – e, in particolare, “l’indefettibilità dell’applicazione della pena detentiva” ai fatti così aggravati, salvi i casi di giudizio di equivalenza o prevalenza di eventuali attenuanti – è stato ritenuto incompatibile con il diritto di manifestare il proprio pensiero dalla Consulta (cfr. Sez. 5, n. 26919/2024, cit.; cfr. pure Sez. 5, n. 34507/2024, cit.), che ha al contempo evidenziato “come la dichiarazione di illegittimità costituzionale non abbia creato un vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, che continua a essere protetto dal combinato disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen.” (Sez. 5, n. 34507/2024, cit.; cfr. pure Sez. 5, n. 26919/2024, cit.). Come anticipato, il Giudice delle leggi ha dichiarato in via consequenziale l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, I. n. 223 del 1990 (il cui testo è già stato sopra richiamato) che, “per i reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato”, prevedeva l’applicazione delle “sanzioni previste dall’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47” ai soggetti di cui al comma 1 dello stesso art. 30 (ossia “il concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione”). Pertanto, si è osservato
– “come la dichiarazione di illegittimità dell’art. 30, comma 4, abbia la funzione di elidere il trattamento sanzionatorio, analogamente a quanto accaduto per l’art. 13 cit.”, senza incidere invece sulla vigenza del criterio di competenza posto dall’art. 30, comma 5, cit. (Sez. 5, n. 34507/2024, cit., che sviluppa il seguente percorso ermeneutico “A ben vedere a par. 9 la Corte costituzionale afferma, in relazione all’art. 30, comma 4, che “resterà anche in questi casi applicabile la disciplina prevista dall’art. 595, terzo comma, cod. pen.”. Di certo la Corte costituzionale non ha voluto dichiarare illegittima la norma incriminatrice della diffamazione attraverso il mezzo radio televisivo. Va ricordato che, prima dell’entrata in vigore della l. n. 233 del 1990, l’aggravante del mezzo radio televisivo veniva ricondotta al “mezzo di pubblicità” dell’art. 595, comma 3, cod. pen. Palesemente irragionevole risulterebbe ritenere che l’illegittimità del comma 4 voglia rendere impossibile applicare il comma 5, quanto al foro speciale, al caso della diffamazione aggravata dal fatto determinato e dal mezzo radiotelevisivo, sia che si ritenga la ratio dell’intervento della Corte costituzionale limitato al solo profilo sanzionatorio, sia che lo si ritenga radicalmente abrogativo del comma 4, nel quale caso si riespanderebbe in toto l’art. 595, comma 3, cod. pen.”);
– e come “la dichiarazione di incostituzionalità”, proprio in ragione delle precisazioni “compiute dalla stessa Consulta” (la quale – come rilevato – “ha chiarito… che la dichiarazione di illegittimità costituzionale non crea alcun vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, diritto che continua a essere protetto dal combinato disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen., il cui alveo applicativo si riespanderà in seguito alla pronuncia di incostituzionalità”; e che, anche a fronte dell’affermazione dell’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, della I. n. 223 del 1990, anche per i fatti da esso contemplati “resterà comunque applicabile la disciplina prevista dall’art. 595, terzo comma, cod. pen. (nonché dal secondo comma della stessa disposizione, che prevede l’aggravante dell’attribuzione di un fatto diffamatorio determinato), senza generare vuoti di tutela, anche in questo caso”), “lasci… propendere per la possibilità di intendere il comma quinto dell’art. 30 I. n. 223 del 1990 come tuttora vivente nel suo contenuto di competenza territoriale “speciale” – il foro della persona offesa – perché da ritenersi richiamante non più il comma 4, ma l’art. 595 cod. pen.” (Sez. 5, n. 26919/24, cit.; secondo quest’ultima pronuncia, la disposizione di cui all’art. 30, comma 5, cit. “si pone come norma dal contenuto di rinvio “mobile”, quanto alle indicazioni riferite alla competenza territoriale, per i reati di diffamazione commessi tramite l’attribuzione di un fatto determinato ed a mezzo di strumenti radiofonici o televisivi – rinvio che la stessa declaratoria di incostituzionalità legittima, visto l’esplicito rimando della sentenza di incostituzionalità alla continuità punitiva tra art. 30, comma 4, I. n. 223 del 1990 e art. 595 cod. pen.”).
3.2. Ad avviso del Collegio deve pervenirsi alla medesima conclusione, sulla scorta del seguente piano argomentativo.
Presupposto (appena chiarito) è che, in relazione ai fatti di “diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato”, dalla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, cit. è conseguita la riespansione della sfera di applicazione dell’art. 595 cod. pen. (ivi compreso il comma 3; così expressis verbis Corte cost., sent. n. 150 del 2021, spec. par. 9), non potendosi dubitare della permanente rilevanza penale di essi, quantunque sottoposti a un diverso regime sanzionatorio. E la declaratoria di illegittimità – per l’appunto relativa al regime sanzionatorio – non ha inciso sul profilo della competenza territoriale, come regolata dall’art. 30, comma 5, cit. (non attinto dalla decisione della Consulta) che contiene, quanto all’individuazione dei fatti per cui opera – si ribadisce, ancora penalmente rilevanti – un rinvio fisso al precedente comma 4.
La giurisprudenza di legittimità, e anzitutto quella espressa dalle Sezioni Unite – anche in considerazione di quanto affermato dalla Corte costituzionale e di quanto prospettato dalla dottrina – ha già chiarito che il rinvio “mobile” (formale o dinamico) “collega la disposizione rinviante a quella richiamata non solo nella formulazione attuale al momento del rinvio, ma anche in quelle eventualmente succedutesi a seguito della sua modifica (e, dunque, in ultima analisi, a tutte le diverse formulazioni che la fonte richiamata può, nel tempo, conoscere)”; e ciò a differenza del “rinvio fisso (o recettizio o statico) (che) riguarda una disposizione richiamata nel testo storicamente vigente al momento in cui venne previsto il rinvio con l’introduzione della disposizione rinviante (o in altro momento normativamente definito), senza che debba tenersi conto delle modifiche che la disposizione richiamata possa conoscere nel tempo” (Sez. U, n. 17615 del 23/02/2023, Lombardi Ronzulli, n.m. sul punto). In altri termini, il rinvio formale (o dinamico) “fa riferimento alla norma in sé, cioè al principio contenuto nella formula verbale dell’articolo (richiamato) e ne segue, dunque, inevitabilmente la eventuale evoluzione, di talché, mutato il contenuto della norma di riferimento, muta inevitabilmente il significato della norma di rinvio”; il rinvio recettizio (o statico) “recepisce per intero, senza che ne sia riprodotto il testo, il contenuto di un altro articolo, vale a dire la disposizione normativa (si tratta, in sintesi, di una tecnica di stesura della norma, ispirato al principio di “economia redazionale”)” e “comporta… la cristallizzazione della disposizione normativa recepita, che dunque, una volta inglobata nella norma che la richiama, ne entra a fare parte integrante e non segue le eventuali “sorti evolutive” della norma richiamata” (Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli, n.m. sul punto, che richiama pure Corte cost., sent. n. 315 del 2004). Come di recente affermato dalle stesse Sezioni Unite, “in linea generale, il rinvio fisso o recettizio (sia) considerato una figura residuale dalla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale”, dato che “secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza costituzionale” esso “”è ravvisabile soltanto quando la volontà del legislatore di recepire mediante rinvio sia espressa oppure sia desumibile da elementi univoci e concludenti”, non essendo sufficiente rilevare che una fonte ne richiama testualmente un’altra (cosi, tra le tante, in particolare, Corte cost., sent. n. 258 del 2014, e Corte cost., sent. n. 80 del 2013)”; e “pure la dottrina costituzionalistica sottolinea che, per ritenere configurabile una vicenda di rinvio fisso o recettizio, è necessaria la presenza, nella disposizione richiamante, di indici inequivoci anche in ordine all’elemento temporale della disposizione richiamata cui si intende dar rilievo” (Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023 – dep. 2024, L., Rv. 286153 – 01, che pure hanno osservato che “la figura del rinvio fisso o recettizio, anzi, è stata esclusa persino a fronte di significativi indici testuali a favore di tale soluzione, in ragione dell’esigenza di assicurare una coerente evoluzione dell’intero sistema normativo”).
Il rinvio contenuto dall’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990, funzionale all’individuazione delle incriminazioni per cui opera il criterio speciale per la determinazione della competenza per territorio, “reati di cui al comma 4” (ossia “i reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato”) – e solo ad essi, come si vedrà pure infra (par. 5.2) – ha riguardo a una specifica disposizione, contenuta nel medesimo corpo normativo, che ha apprestato una speciale disciplina per taluni reati (compresa la diffamazione aggravata che qui rileva) e in ciò deve ravvisarsi un indice inequivoco che l’art. 30, comma 5, cit. (la disposizione richiamante) abbia inteso richiamare in parte qua proprio il precedente comma 4 nel testo che ilio tempore è stato dettato, per l’appunto, per delimitare la portata del criterio speciale di determinazione della competenza mediante il riferimento agli illeciti penali cui attiene che, come si vedrà, risponde a una specifica esigenza di tutela delle vittime (rimarcata dalla Corte costituzionale) quando la diffamazione sia commessa con il mezzo radiotelevisivo e si sostanzi nell’attribuzione di un fatto determinato; e tale esigenza di tutela, che è tutt’ora senz’altro rilevante, non può dirsi sopravanzata da quella di assicurare una coerente evoluzione, in ordine alla determinazione della competenza per i reati in discorso, dell’intero sistema normativo. Pertanto, proprio seguendo il criterio indicato dalle Sezioni Unite, il rinvio deve ritenersi statico. Con la conseguenza che non può dirsi mutato il contenuto dell’art. 30, comma 5, cit., sia pure a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale del precedente comma 4, il cui testo in parte qua è stato per l’appunto incorporato dal successivo comma 5, la cui portata precettiva (che sarà chiarita infra) non è incisa dal dictum della Consulta, come osservato relativo solo al trattamento sanzionatorio previsto per i delitti in discorso che continuano ad integrare, per l’appunto, fatti penalmente rilevanti sub specie della diffamazione (nei termini già evidenziati), senza incidere punto sul criterio di determinazione della competenza per territorio.
4. Come anticipato, il criterio speciale di attribuzione della competenza per territorio, qui in esame, opera per “i reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato”.
A tale ultimo riguardo, correttamente il Tribunale di Bologna ha affermato che con l’editto accusatorio si è ascritto agli imputati di aver offeso la reputazione di Ri.Ni., Or.Da. e Va.Pa., attribuendo loro un fatto determinato, ossia una frode sportiva al fine di favorire Juventus Football Club, nel corso di un incontro di calcio. Difatti, per giurisprudenza consolidata, “in tema di diffamazione, per la sussistenza della circostanza aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato è sufficiente che l’episodio riferito venga specificato nelle sue linee essenziali, in modo che risulti maggiormente credibile e che le espressioni adoperate evochino, alla comprensione del destinatario della comunicazione, azioni concrete e dalla chiara valenza negativa” (Sez. 5, n. 26512 del 13/04/2021, Augugliaro, Rv. 281579 – 01; cfr. pure Sez., 5, n. 34507/2024, cit.; Sez. 1, n. 40200 del 29/9/2010, Rizzitelli, Rv. 244249; Sez. 5, n. 7599 del 12/5/1999, Scalfari, Rv. 213790; Sez. 5, n. 9201 del 25/6/1986, Teutsch, Rv. 173710).
5. Quanto alla portata applicativa dell’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990, si registrano in effetti orientamenti in contrasto proprio sotto il profilo indicato con l’ordinanza di rinvio, ossia proprio in ordine all’operatività di esso soltanto quando si proceda (per i reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato) nei confronti di chi riveste una delle qualifiche indicate dall’art. 30, comma 1, cit. (vale a dire il concessionario privato, la concessionaria pubblica, la persona da loro delegata al controllo della trasmissione radiofonica o televisiva), nessuna delle quali pacificamente è attribuibile agli imputati o, al contrario, nei confronti di chiunque sia imputato dei medesimi delitti.
5.1. Una prospettiva ermeneutica ritiene che la disciplina speciale posta dall’art. 30 I. n. 223 del 1990, e dunque anche il criterio di attribuzione della competenza per territorio previsto dall’art. 30, comma 5 (secondo cui, si ricorda, “il foro competente e determinato dal luogo di residenza della persona offesa”), in ragione del divieto di analogia, opererebbe solo nei confronti dei soggetti espressamente indicati nello stesso art. 30, per l’appunto il concessionario privato, la concessionaria pubblica ovvero nella persona da loro delegata al controllo della trasmissione, e non anche nei confronti della persona che concretamente commette la diffamazione, alla quale si applicherebbero esclusivamente l’art. 595 cod. pen. e le regole generali sulla competenza per territorio (cfr. Sez. 1, n. 1291 del 27/02/1996, Ferrara, Rv. 205281 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 50987 del 06/10/2014, Cappato, Rv. 261907 – 01, secondo cui le norme speciali “in tema di trattamento sanzionatorio e di competenza territoriale per il reato di diffamazione commesso attraverso trasmissioni televisive si riferiscono a soggetti specificamente indicati – il concessionario privato, la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione -, né possono trovare applicazione analogica”, la cui motivazione ha riguardo più specificamente all’individuazione dei soggetti sottoposti alla disciplina sostanziale posta dall’art. 30, cit.; Sez. 2, n. 34717 del 23/4/2008, Matacena, Rv. 240687, la quale – come si trae dalla motivazione – si riferisce in particolare, al trattamento sanzionatorio già previsto dall’art. 30, comma 4, cit.; Sez. 1, n. 1291 del 27/2/1996, Ferrara, Rv. 205281; cfr. pure Sez. 5, n. 27823 del 19/04/2017, Izzo, Rv. 270557 – 01, che ha richiamato il principio dettato dalle precedenti pronunce appena riportate, pur facendone applicazione in relazione al solo trattamento sanzionatorio; cfr., più di recente, Sez. 5, n. 46165 del 2023, n.m.).
5.2. Il Collegio, invece, intende dare continuità al diverso orientamento, di recente ribadito (segnatamente, successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale) da Sez. 5, n. 26919/2024, cit., e Sez. 5, n. 34507/2024, cit., secondo cui, in tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, la competenza territoriale si radica nel foro di residenza della persona offesa in virtù del criterio dettato dall’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato, vale a dire a prescindere dalla sua qualifica soggettiva e, in particolare, ancorché non si tratti dei soggetti indicati nell’art. 30, comma 1, della medesima legge (Sez. 5, n. 4158 del 18/09/2014 – dep. 2015, Perego, Rv. 262168 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 7223 del 08/01/2019, n.m., Sez. 5, n. 3135 del 2019, n.m.; Sez. 5, n. 32287 del 21/04/2016, Paolini, n.m.; Sez. 1, n. 5413 del 19/12/2002, dep. 2003, n.m.; Sez. 1, n. 269 del 13/1/2000, Sgarbi, Rv. 215382; Sez. 1, n. 6793 del 13/12/1997, dep. 1997, Sindoni, Rv. 206755; Sez. 1, n. 6018 del 13/12/1994, dep. 1995, Costanzo, Rv. 200801). E ciò, fermo quanto si dirà più avanti per l’ipotesi – che qui ricorre – in cui non sia possibile fare applicazione di tale criterip.
Questa opzione interpretativa – che nelle pronunce più recenti ha escluso condivisibilmente di fondarsi su un’interpretazione estensiva o analogica (cfr. Sez. 5, n. 4158/2014 – dep. 2015, cit.; Sez. 5, n. 34507/2024, cit.; Sez. 5, n. 26919/2024, cit.), a differenza di quanto dapprima ritenuto (cfr. Sez. 1, n. 6018/1994 – dep. 1995, cit.) – valorizza anzitutto il dato letterale dell’art. 30, comma 5, in relazione al precedente comma 4, come qui chiarito (cfr. retro, par. 3), oggi dichiarato incostituzionale ma in parte qua recepito nello stesso comma 5. In particolare, la seconda parte del comma 5, che è quella che dispone sulla competenza per territorio
– fa riferimento ai “reati di cui al comma 4”, ossia ai “reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto
determinato” (art. 30, comma 4, cit.), così richiamando gli illeciti penali de quibus senza alcuna menzione dei soggetti nei cui confronti di procede (a differenza del medesimo comma 4 che, a sua volta, rimandava al comma 1 dello stesso art. 30 per estendere a questi ultimi le sanzioni previste dall’art. 13 I. n. 47 del 1948, da ultimo oggetto della declaratoria di illegittimità costituzionale; cfr. Sez. 1, n. 269/2000, cit.);
– e ha una portata precettiva, relativa per l’appunto alla competenza ratione loci per i soli reati di cui al comma 4, distinta ed indipendente da quella della prima parte della stesso art. 30, comma 5 (secondo cui “per i reati di cui ai commi 1, 2 e 4 del presente articolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47”), che invece rimanda anche ad altri commi che lo precedono (e, dunque, pure ad altre incriminazioni), ivi compreso il comma 1, e ad una disciplina (quella posta dall’art. 21 I. n. 47 del 1948) non inerente alla competenza per territorio (cfr. Sez. 5, n. 34507/2024, cit.).
Ragion per cui condivisibilmente si è affermato che “nessun richiamo testuale… collega la disposizione relativa al foro speciale, prevista dal citato comma 5, unicamente alla categoria di soggetti indicata al comma 1 (peraltro pensata nella diversa ottica di sanzionare particolari ipotesi di reato commesse dai concessionari radiotelevisivi e loro delegati, e cioè quelle in cui si dia luogo a trasmissioni oscene), (neppure) per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale che ha eliminato dal mondo giuridico il comma 4 dell’art. 30 nella parte sanzionatoria, l’unica effettivamente ed esplicitamente contenente il rimando ai “soggetti di cui al comma 1″” (Sez. 5, n. 26919/2024, cit.); e “quando nel comma quinto (dell’art. 30, cit.) si menzionano, ai fini della determinazione della competenza sulla base del luogo di residenza della persona offesa, i reati di cui al quarto comma, questi comprendono anche la diffamazione consistente nell’attribuzione di un fatto determinato che sia stata commessa da persona non rientrante tra quelle indicate nel comma primo” (Sez. 1, n. 269/2000, cit.).
5.2.1. Tale esegesi compiutamente si sposa con quanto affermato dal Giudice delle leggi nella sentenza n. 42 del 1996, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 30, commi 4 e 5, I. n. 223 del 1990, sollevata sub specie della disparità di trattamento (art. 3 Cost.) e della violazione del principio del giudice naturale (art. 25 Cost.), in relazione al foro speciale per la diffamazione aggravata dal fatto determinato a mezzo trasmissione radiotelevisiva, rispetto a quella commessa con lo stesso mezzo ma non aggravata.
Come osservato da questa Corte a sostegno della prospettiva qui preferita, frutto di un’interpretazione costituzionalmente orientata (cfr. Sez. 5, n. 34507/2024, cit.), la Corte costituzionale ha individuato la ratio della speciale disciplina della competenza ratione loci, nell’introduzione di “una disciplina di favore per le persone colpite dal reato di diffamazione aggravata, quando lo stesso risulti commesso attraverso l’impiego del mezzo radiotelevisivo”; ed ha escluso una lesione “del principio di eguaglianza, ove si consideri che la sua giustificazione può trovare fondamento proprio nella particolare natura, o, se vogliamo, nella particolare forza e diffusività del mezzo impiegato, suscettibile di manifestare, anche in relazione all’ampiezza della platea dei destinatari del messaggio, una potenzialità lesiva nei confronti della persona e della sua reputazione di gran lunga superiore a quella di qualsivoglia altro strumento di comunicazione di massa. Da qui l’esigenza di attenuare l’evidente squilibrio delle posizioni che, nell’azione diffamatoria consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, è dato constatare tra chi, attraverso l’impiego del mezzo radiotelevisivo, commette il reato e chi del reato si trova, invece, a subire le conseguenze lesive. Su questo piano, l’individuazione del giudice competente con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, anziché al luogo di consumazione del reato, appare, dunque, giustificata, in quanto strumento destinato a rendere più agevole la possibilità di reazione del soggetto leso che, presso il giudice del luogo della propria residenza, sarà in grado di attivarsi a difesa della propria reputazione con minore dispendio di tempo e di risorse economiche” (Corte cost., sent. n. 42 del 1996, che ha pure escluso un contrasto della disciplina derogatoria della competenza per territorio, che ha indicato preventivamente, e non in vista di singole controversie, il foro chiamato a conoscere i reati in discorso, con “il principio della precostituzione del giudice sancito dall’art. 25, primo comma, della Costituzione”, affermazione qui non revocata in dubbio da nessuna delle parti). In altri termini, “proprio la forza del mezzo televisivo e la sua diffusività”, che rappresentano – rileva il Collegio -elementi correlati al fatto e non alla qualità soggettiva di chi è chiamato a risponderne, giustificano in sé una disciplina peculiare quanto alla competenza territoriale, “argomento che riguarda la natura aggravata – quindi la maggiore gravità – della diffamazione, come anche l’uso del mezzo radiotelevisivo, con il che risulterebbe davvero lesivo del principio di eguaglianza il trattamento diverso che… vuole distinguere la competenza a seconda che imputato sia il concessionario o il suo delegato al controllo ovvero il giornalista o, ad esempio, l’intervistato”, in quanto “la diffusività del mezzo e la gravità della condotta sono le medesime e un diverso criterio di competenza risulterebbe, questo sì, irragionevole ed in violazione del principio di eguaglianza” (Sez. 5, n. 34507/2024, cit.). In effetti, tale conclusione – il che la rende preferibile anche sotto il profilo della coerenza sistematica – eviterebbe l'”irragionevole divergenza di competenze” che invece determinerebbe la diversa interpretazione (descritta al par. 5.1.), la quale condurrebbe “alla frammentazione della
competenza territoriale” poiché “il foro speciale opererebbe) solo per i concessionari e non anche, ad esempio, per i giornalisti o gli intervistati, cosicché, per un medesimo fatto, chi è tenuto al controllo e l’autore immediato della diffamazione sarebbero chiamati a giudizio dinanzi a giudici diversi, il che integra una irragionevole divergenza di competenze” (Sez. 5, n. 34507/2024, cit.; Sez. 5, n. 4158/2014 – dep. 2015, cit.; Sez. 1, n. 6793/1996 – dep. 1997, cit.).
Tanto più che, come pure osservato dalla Corte costituzionale a suffragio della valutazione di ragionevolezza della scelta del legislatore, “per la valutazione dei “fatti determinati” il giudice del luogo di residenza della persona offesa può ritenersi l’organo più idoneo al giudizio, in relazione alla sua presumibile vicinanza con il luogo di svolgimento di tali fatti”; e “nell’ipotesi di accertata sussistenza dell’azione diffamatoria, la sentenza di condanna, ove adottata nel luogo di residenza del soggetto leso, sarà in grado di avere una maggiore efficacia riparatoria, collegata alla più ampia conoscenza che la stessa sentenza potrà ottenere nell’ambiente sociale normalmente frequentato dalla persona offesa” (ivi).
5.2.2. Ad ulteriore sostegno della preferibilità della lettura qui sostenuta, si è pure già rilevato che la ragionevolezza di un unico e stabile foro di competenza, che sia connesso al luogo di vita e di relazioni della persona offesa trova conferma nella giurisprudenza civile di legittimità e, in particolare, in quella delle Sezioni Unite che, proprio in materia di giudizio promosso per il risarcimento dei danni conseguenti al contenuto diffamatorio di una trasmissione televisiva e, più in generale, di quelli derivanti dal pregiudizio dei diritti della personalità recati da mezzi di comunicazione di massa, hanno radicato la competenza per territorio, con riferimento al forum commissi delieti di cui all’art. 20 cod. proc. civ., nel luogo del domicilio o, in caso di diversità, anche della residenza del soggetto danneggiato, poiché tale luogo è quello ove si produce il danno che è conseguenza del fatto lesivo (ossia il luogo in cui si realizzano le ricadute negative della lesione della reputazione) e tale individuazione e, dall’altro, si presenta aderente alla concezione del danno risarcibile inteso non come danno-evento, bensì come danno-conseguenza, permettendo, infine, di individuare il giudice competente in modo da favorire il danneggiato che, in simili controversie, è solitamente il soggetto più debole (Sez. U civ., ord. n. 21661 del 13/10/2009, Reti Televisive Italiane Spa c. De Pompeis, Rv. 609467 – 01, già ampiamente richiamata da Sez. 5, n. 34507/2024, cit., che ha rimarcato come, secondo le Sezioni Unite civili il domicilio “è certamente il luogo nel quale la lesione della reputazione e degli altri beni della persona si consuma, in quanto la stessa è correlata all’ambiente economico e sociale nel quale la persona vive e opera e costruisce la sua immagine, e quindi “svolge la sua personalità” (art. 2 Cost.)” e “(p)ur non potendosi escludere che, in relazione alla notorietà della persona, il pregiudizio possa verificarsi anche altrove, è certo che il domicilio è il luogo principale nel quale gli effetti negativi, patrimoniali e non patrimoniali si verificano”). Non è superfluo segnalare che anche le Sezioni Unite civili hanno richiamato, a fondamento della propria esegesi “in senso costituzionalmente orientato” la sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 1996, in particolare affermando che “un’interpretazione dell’art. 20 cod. proc. civ., diversa da quella accolta, non (sarebbe) giustificata dalla diversa natura, civile o penale, dell’oggetto dei processi (e) potrebbe far sorgere seri di dubbi di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 3 Cost. e quindi giustifica un’interpretazione della norma processualcivilistica in senso” (Sez. U civ., ord. n. 21661/2009, cit.; cfr. Sez. 5, n. 34507/2024, cit.; Sez. 5, n. 26919/2024, cit.).
5.2.3. Parimenti, si è già rilevato che
– in consonanza con quanto espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 42 del 1996, “anche la normativa unionale sollecita…, in relazione proprio ai casi di diffamazione”, la previsione di “un criterio di competenza alternativo…, rispetto a quello tradizionale per l’illecito aquiliano del domicilio del convenuto (…,) che possa garantire, oltre che la prevedibilità, assicurata dal principio del giudice naturale, anche il collegamento stretto tra l’autorità giurisdizionale e la controversia e una opzione che agevoli la buona amministrazione della giustizia” (cfr. Sez. 5, n. 34507/2024, cit., che argomenta sulla scorta di Corte di giustizia U.E., 29/07/2019, Tibor-Trans Fuvarozò, C-451/18, e Corte di giustizia U.E., 17/06/2021, Mittelbayerischer Verlag KG/SM -C-800/19, la quale ultima ha richiamato le sentenze della stessa Corte del 25/10/2011, eDate Advertising e a. – C-509/09 e 13 C-161/10, e del 17/10/2017, Bolagsupplysningen e Ilsjan – C-194/16, “nelle quali ebbe a considerare che la competenza del giudice del luogo in cui la presunta vittima ha il proprio centro degli interessi è conforme all’obiettivo della prevedibilità delle norme sulla competenza nei confronti del convenuto, poiché chi emette l’informazione lesiva, al momento della messa in rete della stessa (si trattava di una diffamazione a mezzo Internet), è in condizione di conoscere i centri degli interessi delle persone che ne formano oggetto, cosicché il criterio del centro degli interessi consente, al contempo, all’attore dì individuare agevolmente il giudice al quale può rivolgersi e al convenuto di prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice può essere citato”);
– e, dunque, “plurime competenze territoriali, in ragione della diversa ‘qualità’ degli autori del reato, come conseguenza dell’interpretazione qui non condivisa, vedrebbero leso il principio di buona amministrazione della giustizia, richiamato dalla CGUE” (Sez. 5, n. 34507/2024, cit.).
In conclusione, deve ribadirsi che, “in tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, la competenza territoriale si radica nel foro di residenza della persona offesa in virtù del criterio dettato dall’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato, vale a dire a prescindere dalla sua qualifica soggettiva”.
6. Purtuttavia, tale speciale criterio di determinazione della competenza per territorio nella fattispecie non può utilmente operare, dovendosi individuare altrimenti il Giudice che deve procedere. Il che, con evidenza, è consentito a questa Corte che, allorquando è investita ritualmente ex art. 24-bis cod. proc. pen., può determinare la competenza secondo il criterio corretto (anche se distinto da quello prospettato con l’ordinanza di rinvio), per l’appunto quale giudice della competenza. Invero, come già chiarito con riferimento ai conflitti di competenza ma con argomentazione che vale senz’altro per il rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio, la Corte di cassazione non è vincolata, nella soluzione del caso (sulla base degli atti e dei principi di diritto ritenuti applicabili), alle indicazioni espresse dal giudice che ha trasmesso gli atti (cfr. Sez. 1, n. 5610 del 26/01/2022, Rv. 282724 – 01, la quale, richiamando Sez. 1, n. 33379 del 23/06/2015, Rv. 264619, ha ribadito che “la conclusione è suffragata dalla considerazione che la attribuzione ordinamentale della potestà regolatrice della competenza ai sensi dell’articolo 65, primo comma, R.D. n.12 del 1941, per la peculiare funzione istituzionale che le è propria, connotata sul piano processuale da incisivi poteri di accertamento ufficioso, affranca questa Corte, tosto che sia investita dal giudice territoriale, dalla osservanza dei limiti connaturati al ” principio della domanda”); e, “fermo restando l’ancoraggio alla prospettazione fattuale introdotta dall’organo dell’accusa”, “la Corte regolatrice esercita appieno la funzione giurisdizionale, intesa come verifica della corrispondenza tra fatto (descritto nella contestazione) e fattispecie astratta (norma incriminatrice di riferimento)”, poiché essa è “chiamata a valutare, discrezionalmente e in piena autonomia, se la qualificazione giuridica del fatto storico (nelle sue componenti di condotta, evento e nesso causale)… sia corretta, procedendo – in caso contrario – a delineare essa stessa l’esatta definizione da attribuirgli, con la conseguente designazione dell’organo giudiziario chiamato a giudicare sullo stesso” (così Sez. 1, n. 5610/2022, cit., secondo il piano ermeneutico tracciato da Sez. U, n. 18621 del 23/06/2016, dep. 2017, Zimarmani, Rv 269585).
6.1. Deve osservarsi che sono tre i distinti reati di diffamazione per cui si procede, alla luce dell’editto accusatorio (cfr. retro, Ritenuto in fatto, par. 1). Difatti, il servizio televisivo relativo alle persone offese – avendo riguardo alla prospettazione del Pubblico ministero – integrerebbe il delitto aggravato di diffamazione nei confronti di ciascuna di esse.
Come chiarito dalle Sezioni Unite
– “l’articolo 81, primo comma, cod. pen. individua la fattispecie del “concorso formale di reati” tanto nel caso in cui con una sola azione siano violate diverse norme di legge (c.d. concorso formale eterogeneo di reati), quanto nel caso in cui, con una sola azione, venga violata contestualmente più volte la medesima disposizione di legge (c.d. concorso formale omogeneo di reati). Nel concetto di azione unica vanno ricompresi tanto i casi in cui l’azione si risolva in un “atto unico” (conforme alla condotta normativamente prevista), quanto i casi in cui l’azione si realizzi attraverso il compimento di una “pluralità di atti” che siano contestuali nello spazio e nel tempo ed abbiano fine unico”;
– “la consumazione del reato si realizza ogniqualvolta, attraverso la condotta astrattamente descritta nel precetto, sia realizzata l’offesa tipizzata e sia leso l’interesse protetto dalla norma (c.d. evento giuridico). Di qui discende che la fattispecie del concorso formale omogeneo ex art. 81, primo comma, cod. pen. si realizza quando il bene tutelato sia leso più volte da una azione che, sul piano fenomenico, diviene causa di una pluralità di lesioni o eventi omogenei. Appare opportuno specificare che l’indagine deve limitarsi alla valutazione del solo fatto storico, riscontrando, sulla scorta del modello normativo, l’esistenza di plurime violazioni della medesima disposizione di legge, non essendo necessaria alcuna ulteriore specifica indagine circa la rilevanza dell’interesse tutelato dalla norma” (Sez. U, n. 40981 del 22/02/2018, Apolloni, Rv. 273771 – 01, che nega, invece, “sicuro fondamento (… al)l’opinione con la quale, distinguendo tra norme incriminatrici che tutelano beni altamente personali (vita, integrità fisica, libertà personale, onore) e norme che proteggono beni di natura diversa, si afferma che nel primo caso sarebbe sempre configurabile una pluralità di reati in ragione della rilevanza dei plurimi interessi lesi, mentre nel secondo ciò non sarebbe sempre possibile”; non occorre dilungarsi per osservare che anche tale ultimo piano ermeneutico nella specie condurrebbe a ritenere comunque contestati tre distinti delitti di diffamazione aggravata, in ragione della lesione – nella prospettazione accusatoria – dell’onore di tre diverse persone);
– “ai fini della verifica in concreto della ricorrenza di un’ipotesi di concorso formale omogeneo di reati, bisogna pertanto procedere all’ideale scissione della complessiva vicenda fattuale in tante parti quanti sarebbero gli eventi giuridici, verificando quindi se ognuno degli autonomi frammenti di essa integri, in tutte le sue componenti (soggettiva ed oggettiva) la fattispecie prevista dal legislatore tenendosi presente che sul piano soggettivo occorre attentamente verificare che il dolo investa ciascuno dei singoli frammenti del fatto. Infatti, perché si abbia concorso formale di reati è necessario che l’azione unica sia accompagnata e sorretta dall’elemento soggettivo proprio di ciascuna fattispecie criminosa. In altri termini non potendo farsi derivare la unicità o la pluralità dell’azione puramente e semplicemente dalla pluralità delle persone offese, è necessario, quando si verifica una tale ipotesi, un quid pluris consistente nella riconoscibile esistenza di uno specifico atteggiamento psicologico diretto a realizzare l’evento tipico previsto dalla norma incriminatrice nei confronti di ciascuna, distintamente, delle suddette persone, elemento quest’ultimo rinvenibile solo, come detto, attraverso la analisi concreta del fatto. Nel caso di verifica positiva, si potrà quindi affermare che ricorre la fattispecie del concorso formale omogeneo” (ivi).
Dal capo di imputazione in esame deve trarsi proprio che a Ro.Fi. e Oc.Ma. è ascritto di avere, mediante le espressioni contenute nell’unico servizio televisivo de quo, offeso la reputazione di Ri.Ni., Or.Da. e Va.Pa. (“adombrando una frode sportiva tra i tre al fine di favorire Juventus Football Club, nel corso dell’incontro (Omissis) del 28/4/2018”), così realizzando – per il tramite di tale unica azione (realizzata “attraverso il compimento di una “pluralità di atti” che siano contestuali nello spazio e nel tempo ed abbiano fine unico” Sez. U, n. 40981/2018, cit.) astrattamente sussumibile nel precetto penale in contestazione – l’offesa tipizzata e ledendo più volte il bene tutelato (ossia ledendo l’onore di ciascuno degli offesi). Il riferimento al servizio televisivo ex se, senza distinguere lo specifico agire in danno di ciascuno dei singoli offesi, impone di ritenere che – come esposto – sia qui in contestazione la commissione con un’unica azione (come sopra intesa) di tre reati di diffamazione aggravata per aver attribuito ai medesimi offesi la frode sportiva (il che esime dall’osservare che – alla luce del disposto dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., cui si farà riferimento appena infra – nulla muterebbe sub specie della competenza per territorio se agli imputati fosse ascritta la commissione di più fatti, in ipotesi commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso).
6.2. Si tratta di tre delitti connessi ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. a) e b), cod. proc. pen., poiché ad entrambi gli imputati è contestato di aver commesso in concorso tali reati, con una sola azione (cfr. Sez. 2, n. 45337 del 04/11/2015, Preci, Rv. 265031 – 01; Sez. 1, n. 23591 del 27/05/2008, Confi, comp. in proc. Avitabile, Rv. 240205 – 01; Sez. 1, n. 1495 del 02/12/1998 -dep. 1999, Archinà, Rv. 212270 – 01; ma lo stesso sarebbe se si trattasse di più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ipotesi parimenti contemplata dalla lettera b) del comma appena citato), ragion per cui nel caso di specie la competenza per territorio deve essere determinata ai sensi dell’art. 16 cod. proc. pen.
Difatti, l’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990 pone un criterio speciale che deroga alla disciplina codicistica in materia di competenza per territorio (segnatamente, al disposto dell’art. 8 cod. proc. pen.), ma nulla dispone in relazione alla competenza per connessione che – come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità – costituisce “un criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza” al pari di quella per materia e per territorio e non un criterio di modificazione di essa (Sez. U, n. 27343 del 28/02/2013, 2013, Taricco, Rv. 255345 – 01, che hanno chiarito come l’impostazione del codice di procedura penale sia stata improntata alla “rigorosa delimitazione dei casi di connessione a fatti oggettivi, non comportanti ampi spazi di valutazione discrezionale e non modificabili successivamente”) che rimane disciplinato dal codice di rito anche quando si procede per il reati di diffamazione commessi con il mezzo radiotelevisivo, aggravati in ragione dell’attribuzione di un fatto determinato (senza che possa ravvisarsi alcuna lacuna normativa, come si chiarirà infra).
Il criterio della connessione, per quel che qui rileva, determina la competenza “in capo al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato” (art. 16, comma 1, cod. proc. pen., ancorando a sua volta la determinazione della gravità alla qualificazione del reato come delitto o contravvenzione e – fra delitti o fra contravvenzioni – alla pena edittale per essi posta cfr. art. 16, comma 3, cod. proc. pen.). Tuttavia, nel caso in esame, il tre delitti aggravati di diffamazione in contestazione sono, ovviamente, di pari gravità e commessi – come già osservato – uno actu.
6.2.1. Soccorre, allora, al riguardo l’elaborazione giurisprudenziale relativa ai casi in cui non sia possibile fare applicazione del disposto dell’art. 16, comma 1, cit. (segnatamente, in quanto non è possibile individuare il luogo di commissione del reato più grave o del primo reato). In particolare, le Sezioni Unite – nel porre il principio secondo cui “la competenza per territorio, nel caso in cui non sia possibile individuare, a norma degli artt. 8 e 9, comma primo, cod. proc. pen., il luogo di commissione del reato connesso più grave, spetta al giudice del luogo nel quale risulta commesso, in via gradata, il reato successivamente più grave fra gli altri reati; quando risulti impossibile individuare il luogo di commissione per tutti i reati connessi, la competenza spetta al giudice competente per il reato più grave, individuato secondo i criteri suppletivi indicati dall’art. 9, commi secondo e terzo, cod. proc. pen.” Sez. U, n. 40537 del 16/07/2009, Confi, comp. in proc. Orlandelli, Rv. 244330 – 01) -, richiamando Corte cost., sent. n. 168 del 2006, hanno evidenziato come la ratio dell’art. 16, comma 1, cod. proc. pen. sia quella di “assicurare, per quanto possibile, il collegamento tra competenza territoriale e luogo di manifestazione del reato, o almeno di un segmento del complesso criminoso, garantendo il principio, di valore costituzionale, della “fisiologica allocazione” del processo nel locus commissi delieti” (Sez. U, n. 40537/2009, cit.; cfr. pure così Sez. 3, n. 14537 del 01/03/2022, Pagnin, Rv. 283589 – 01); “questa ratio sarebbe certamente non tutelata pienamente se il criterio oggettivo di collegamento dovesse venir meno e dovesse invece darsi applicazione agli incerti e non oggettivi criteri suppletivi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 9 cod. proc. pen. solo perché sia impossibile accertare il luogo di commissione del reato più grave, sebbene sia certo il luogo di commissione degli altri reati connessi” (Sez. U, n. 40537/2009, cit.). Non è secondario osservare come, nella prospettiva delle Sezioni Unite, per l’individuazione del luogo di commissione del reato (per quel che in quella sede importava, più grave; così come del primo reato), occorra considerare “non solo le regole indicate nell’art. 8” cod. proc. pen. (che, si ribadisce, prevede le regole generali per la determinazione della competenza per territorio) ma eventualmente anche quella posta dal art. 9, comma 1, cod. proc. pen., secondo cui “se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8, è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta parte dell’azione o dell’omissione” e ciò “innanzitutto perché, a ben vedere, quello contenuto nel primo comma dell’art. 9 è più un criterio integrativo delle regole generali fissate dall’art. 8 per individuare il luogo di commissione del reato ai fini della competenza per territorio che non un vero e proprio criterio suppletivo per scegliere un giudice competente quando sia sconosciuto il luogo di commissione” (“Tutte queste regole si basano su un elemento oggettivo di tipo territoriale costituito dal luogo di consumazione o dal luogo in cui comunque si è svolta una parte dell’azione o dell’omissione (o in cui si è verificato l’evento) e mirano primariamente alla medesima finalità di stabilire in quale luogo il reato deve intendersi commesso.
La regola di cui all’art. 9, comma 1, del resto, risponde chiaramente alla ratio di affidare il giudizio ad un giudice che, per essere quello dell’ultimo luogo dove si è realizzata parte della condotta, risulta, probabilmente, il più vicino al contesto ambientale in cui si è perfezionato l’illecito” Sez. U, n. 40537/2009, cit.). “Profondamente diversa è invece la ratio degli altri due criteri subordinati -questi sì realmente suppletivi – che sono privi di qualsiasi collegamento oggettivo e geografico con il fatto reato e sono stati discrezionalmente individuati, per fini pratici, dai commi 2 e 3 dell’art. 9 nel luogo di residenza, o di dimora, o di domicilio dell’imputato, o nel luogo della sede del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato” (ivi). Da ciò l’Alto consesso ha tratto che “qualora per il reato più grave si ignori il luogo di consumazione (o non sia applicabile una delle altre regole dell’art. 8) ma si conosca dove è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione, giudice competente sarà quello dell’ultimo luogo della parte di azione od omissione, ai sensi dell’art. 9, comma 1”; “nell’ipotesi poi di più reati connessi di pari gravità dovranno ovviamente essere seguite le stesse regole, e quindi sì dovrà passare dal primo reato più grave agli ulteriori reati più gravi più recenti nel tempo” (ivi).
In sostanza quel che si trae dalla posizione espressa dalle Sezioni Unite (cui le pronunce successive hanno dato seguito cfr. per tutte Sez. 1, n. 35861 del 19/06/2019, Confi. Comp. in proc. Lo Verso, Rv. 276812 – 01) è che, quando non è possibile determinare la competenza ai sensi dell’art. 16 cod. proc. pen., occorre avere riguardo anzitutto alle norme che ancorano la competenza – nei termini predetti – a un luogo ricollegabile oggettivamente all’illecito (ossia, di norma, agli artt. 8 e 9, comma 1, cod. proc. pen.) e, solo qualora tramite esse non possa individuarsi il giudice competente, ai criteri suppletivi di cui all’art. 9, commi 2 e 3, cod. proc. pen.
6.2.3. Tale piano ermeneutico, per il delitto di diffamazione commesso con il mezzo radiotelevisivo, aggravato in ragione dell’attribuzione di un fatto determinato, deve essere declinato in conformità alla disciplina speciale posta dall’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990, di cui deve in prima battuta tenersi conto, allorché non possa operare l’art. 16 cit., quando per l’appunto tra i reati connessi vi sia quello in discorso (nel caso in esame, come esposto, di concorso formale omogeneo, si tratta dell’unico titolo di reato che viene in rilievo). L’art. 30, comma 5, cit. – si è già osservato – deroga alle regole generali poste dall’art. 8 cod. proc. pen., di cui non può dunque farsi applicazione, per tale delitto la concreta inapplicabilità del criterio posto dall’art. 30, comma 5, cit. – quando, come nel caso di specie, nessuno dei reati sia più grave o precedente rispetto agli altri e, quindi, non possa radicarsi la competenza ex art. 16, comma 1, cod. proc. pen. (in ipotesi, per l’appunto, in combinato disposto con l’art. 30, comma 5, cit., perché il delitto di diffamazione commesso con il mezzo radiotelevisivo, aggravato per l’attribuzione di un fatto determinato, non è né il reato più grave tre quelli connessi né il primo di essi, nel caso di pari gravità), tiene fermo il rapporto logico tra il medesimo art. 30, comma 5, cit. e l’art. 8 cod. proc. pen., nel senso che il primo costituisce norma speciale la cui operatività esclude l’applicazione del secondo. Ragion per cui, in tali ipotesi – tra le quali rientra ovviamente la presente – non si rispande la sfera di operatività delle regole generali poste dall’art. 8 cod. proc. pen. Il che non determina alcuna impossibilità di determinare la competenza, perché l’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990 non deroga alle regole suppletive poste dall’art. 9 cod. proc. pen. nel presupposto che, con il criterio speciale posto per il reato di diffamazione in discorso, la /ex specialis non ha inciso sui parametri necessari per individuare il giudice competente quando non possano operare le regole da applicare in prima battuta a tal fine (non ricorrendo, pertanto, alcuna lacuna che giustifichi
qualsivoglia applicazione analogica cfr., da ultimo, Sez. U, n. 12759/2023 -dep. 2024, cit.). Di conseguenza, resta fermo anche nei casi come il presente che “se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8 (cod. proc. pen.), è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione” (art. 9, comma 1, cod. proc. pen.), vale a dire il giudice del luogo dal quale è stata effettuata la trasmissione televisiva del servizio. Più in particolare, poiché – come esposto dal Tribunale e, per vero, non contestato (cfr. pure documentazione prodotta dalla difesa degli imputati) – tale luogo va individuato in C (sede dell’emittente Mediaset, da cui è stato trasmesso il programma (Omissis), nel corso del quale è stato messo in onda il servizio), che ricade nel circondario del Tribunale di Monza, è quest’ultimo il giudice competente e deve disporsi la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale.
6.2.3.1. Mette conto segnalare che, anche a ritenere applicabile – prima di fare ricorso al disposto dell’art. 9, comma 1, cod. proc. pen. – l’art. 8, comma 1, dello stesso codice, nel presupposto che, non potendosi fare applicazione in concreto dell’art. 30, comma 5, cit., dovrebbe anzitutto farsi ricorso alle regole generali poste dall’art. 8 cod. proc. pen., nulla cambierebbe nella specie al fine della determinazione della competenza. Proprio a proposito della diffamazione commessa con il mezzo televisivo (fuori dai casi di applicazione dell’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990, perché non aggravata in quanto non sostanziatasi nell’attribuzione di un fatto determinato), si è osservato che – “in considerazione della particolare natura (di tale) mezzo…, che funziona attraverso l’utilizzazione di radio-onde ovvero di onde elettromagnetiche” – il reato, “al pari della diffamazione “telematica”, si consuma non al momento dell’invio del segnale radiotelevisivo nell’etere, ma al momento, necessariamente successivo, della percezione della trasmissione televisiva e del suo contenuto offensivo dell’altrui reputazione da parte di soggetti diversi rispetto al soggetto agente ed alla persona offesa, che, ovviamente, possono trovarsi in ogni parte del territorio nazionale…, legittimando in tal modo l’intervento dell’autorità giudiziaria nel cui territorio si è verificata la percezione del messaggio offensivo contenuto nella trasmissione televisiva, essendo ragionevole la presunzione che la trasmissione… possa essere fruita da più persone”; con la conseguenza che “ove non sia possibile individuare il luogo in cui le prime due persone abbiano avuto percezione della diffamazione, troveranno applicazione le regole suppletive di cui all’art. 9” cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 33287 del 21/04/2016, Paolini, Rv. 267703 – 01, che richiama Sez. 5, n. 25875 del 21/06/2006, Cicino, Rv. 234528 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016 – dep. 2017, S., Rv. 269016 – 01).
Nel caso in esame, non può determinarsi il luogo in cui le prime due persone hanno avuto contezza del contenuto del servizio in imputazione e, dunque, dove “il reato è stato consumato” (art. 8, comma 1, cod. proc. pen.), con la conseguenza che – non rilevando i rimanenti criteri posti dallo stesso art. 8 – la competenza per territorio comunque dovrebbe essere attribuita, ai sensi dell’art. 9, comma 1, al “giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione”, vale a dire – nel caso in esame – al giudice del luogo dal quale è stata effettuata la trasmissione televisiva del servizio ossia, come esposto, al Tribunale di Monza.
6.2.4. La soluzione qui prospettata – non potendosi fare applicazione del parametro di favore per la persona offesa, posto dall’art. 30, comma 5, cit., nei casi di connessione in cui, come nel presente, sono diversi i luoghi di residenza degli offesi – non frustra la ratio propria delle regole di determinazione della competenza indicata dalle Sezioni Unite sempre sulla scorta della giurisprudenza costituzionale (nei termini già richiamati) infatti, “la radicazione della competenza nel luogo di manifestazione del reato esprime… un valore di rilevanza costituzionale”; “è quindi evidente, già sulla sola base di questi principi generali e valori costituzionali, che in caso di dubbio debba essere preferita quella interpretazione che privilegi comunque la necessaria presenza di un collegamento della competenza territoriale con il luogo di commissione di almeno uno dei diversi reati commessi, anche quando tale luogo non sia accertato con riferimento al reato più grave, rispetto ad altre interpretazioni che possano portare ad una competenza territoriale del tutto sganciata dal luogo di manifestazione di almeno una parte della complessa fattispecie criminale” (Sez. U, n. 40537/2009, cit. “A questa doverosa scelta ermeneutica si potrebbe rinunciare solo qualora la lettera della disposizione fosse talmente chiara ed inequivoca, da non lasciare spazio per una interpretazione che privilegi la ratio legis e la stessa intenzione del legislatore storico”). Dunque, non potendo essere soddisfatta immediatamente la specifica esigenza di tutela della persona offesa sottesa alla previsione dello speciale foro di cui all’art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990 (nella specie, in ragione della presenza di più persone offese), occorre determinare la competenza – ove possibile – a un criterio che rimanga oggettivo (ossia quello posto dall’art. 9, comma 1, cod. proc. pen.), comunque ancorato al fatto e alla sua presumibile capacità offensiva, difficilmente determinabile aliunde rispetto a un fatto commesso mediante una trasmissione radiotelevisiva sul territorio nazionale (tanto che si è già rilevato come normalmente non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato).
Il che rende superfluo dilungarsi per osservare che la determinazione della competenza ex art. 30, comma 5, I. n. 223 del 1990, in ragione del foro del “primo querelante”, che è stato indicato in Ri.Ni., non è previsto dalla legge, a prescindere dal fatto che i tre offesi abbiano sporto congiuntamente un’unica querela; e non possono neppure avere rilievo la circostanza (di cui pure si dà conto nell’ordinanza di rinvio) che sarebbe stato lo stesso Ri.Ni. il primo degli offesi ad avere contezza del fatto in contestazione e ad attivarsi con Or.Da. e Va.Pa., perché si procedesse, e tantomeno l’adesione di questi ultimi alla determinazione della competenza ratione loci alla luce della residenza del Ri.Ni., elementi tutti estranei alle regole di determinazione della competenza (non potendo operare sotto tale profilo, come invece esposto nel provvedimento impugnato, il criterio temporale modellato su disposto dell’art. 9, comma 3, cod. proc. pen., che fa riferimento al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen. e non anche alla volontà dei querelanti di radicare la competenza in luogo) oltre che incompatibili con i parametri – indipendenti dalla volontà dei soggetti processuali – cui deve essere affidata l’individuazione del giudice naturale precostituito per legge che deve conoscere della regiudicanda.
P.Q.M.
Visto l’art. 24-bis cod. proc. pen., dichiara l’incompetenza del Tribunale di Bologna e dispone la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il competente Tribunale di Monza.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui al comma 4 del citato art. 24-bis cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2024.
