Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 19 febbraio 2024, la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della decisione del GUP del Tribunale di Catanzaro, ha assolto (omissis) dal reato di lesioni personali gravissime colpose ai danni di (omissis) (capo A) per non aver commesso il fatto e dal delitto di falsità ideologica in atto pubblico (capo B) perché il fatto non sussiste.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, limitatamente alla parte della sentenza concernente il reato di falso ideologico (capo B).
Con l’unico articolato motivo di censura, il ricorrente deduce vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 479 – 476, comma 2, cod. pen. e vizio di motivazione. La Corte territoriale avrebbe trascurato di valutare la divergenza esistente tra la versione dello svolgimento dell’intervento di parto cesareo effettuato dall’imputato nei confronti di (omissis) e quella fornita dai componenti dell’equipe operatoria. In particolare, non avrebbe detto il vero in ordine a due circostanze fondamentali e cioè che ad accorgersi della drammatica condizione in cui versava la paziente fu il medico specializzando, che effettuò il massaggio cardiaco e non l’anestesista, (omissis). Inoltre, diversamente da quanto attestato da (omissis), l’anestesista non si trovava al capezzale della paziente. Attraverso la falsificazione della cartella clinica l’imputato avrebbe cercato di allontanare da sé quale capo dell’equipe, qualsiasi responsabilità per l’accaduto.
3. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo B) dell’imputazione.
4. In data 20 febbraio 2025 gli avv. (omissis) e (omissis) hanno depositato una memoria nell’interesse di (omissis), con la quale illustrano ampiamente le ragioni per cui la sentenza impugnata andrebbe esente da vizi logici e chiedono, pertanto, dichiararsi il ricorso inammissibile ovvero infondato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello è fondato.
2. Occorre innanzitutto precisare che il medesimo risulta circoscritto alla parte della sentenza impugnata avente ad oggetto il reato di falso contestato al capo B) dell’imputazione, non aggredendo invece le censure la condotta incriminata al capo A).
3. Va altresì premesso che, come risulta dal capo di imputazione, al (omissis), in qualità di medico ginecologo, capo dell’equipe operatoria presso il reparto di ginecologia e ostetricia dell’Ospedale civile di Catanzaro, è ascritta una condotta di falso, ai sensi dell’art. 479 in relazione all’art. 476, comma 2, cod. pen., avente ad oggetto la cartella clinica relativa all’intervento di taglio cesareo d’urgenza eseguito su (omissis). In particolare, è contestato che nella predetta qualità, e quale primo operatore dell’intervento suddetto, l’imputato aveva attestato contrariamente al vero di essere stato informato dall’anestesista (omissis) di una notevole brachicardia con ipossiemia della paziente, sulla quale la (omissis) stessa aveva praticato un massaggio cardiaco con somministrazione di farmaci. In realtà, l’anestesista, dopo aver ventilato manualmente la paziente, successivamente all’estrazione del feto, si era allontanata dal capezzale della medesima senza attivare la ventilazione automatica. A ciò seguiva una severa desaturazione e grave brachicardia, che non era segnalata da alcun allarme dell’apparecchiatura anestesiologica, in quanto gli allarmi erano stati posti in modalità silenziosa e della quale si accorgeva lo specializzando (omissis), che effettuava un massaggio cardiaco e veniva chiamato altro medico rianimatore.
La sentenza impugnata ha affermato che, poiché il problema emerso sulla paziente “era di tipo anestesiologico, non chirurgico”, difettava un interesse dell’imputato alla alterazione dei fatti e che comunque esso doveva trovare rappresentazione nella cartella anestesiologica. In ogni caso, (omissis) aveva fatto “un sintetico riferimento ai problemi ipossici e all’intervento di altro anestesista”, sicché mancava tanto la materialità del reato di falso, quanto l’elemento soggettivo dello stesso.
Nel pervenire alla conclusione della insussistenza del reato contestato, la Corte territoriale muove dal presupposto per cui la sommaria descrizione contenuta nella cartella clinica dei problemi verificatisi durante l’intervento cui era sottoposta (omissis) era giustificata dal fatto che essi dovevano essere descritti nella cartella anestesiologica, quale sede propria per la descrizione dei problemi ipossici e dell’intervento di altro anestesista.
4. Evidente è l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata, laddove ha escluso la sussistenza dell’elemento materiale del reato contestato.
4.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico produce effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica e documenta, altresì, le attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità. Trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi (Sez. 5, n. 55385 del 22/10/2018, Rv. 274607 – 01, in motivazione; Sez. 5, n. 31858 del 16/04/2009, P., Rv. 244907 – 01, secondo la quale, la cartella clinica redatta dal medico di una struttura sanitaria pubblica ha natura di atto pubblico munito di fede privilegiata con riferimento alla sua provenienza dal pubblico ufficiale e ai fatti da questi attestati come avvenuti in sua presenza).
Ne deriva che le attestazioni rese dal pubblico ufficiale mediante annotazione su cartella clinica – e sui documenti che vi accedono, quali il diario clinico e la scheda di dimissioni ospedaliere – debbono rispondere ai criteri di veridicità del contenuto rappresentativo, nonché di completezza delle informazioni, di immediatezza della redazione rispetto all’atto medico descritto e di continuità delle annotazioni, in quanto finalizzate ad asseverare, con fede privilegiata, non solo la verbalizzazione dell’atto medico, ma anche la successione cronologica degli interventi, delle diagnosi, della prognosi e delle prescrizioni.
La descrizione dell’intervento contenuta nella cartella clinica deve dunque essere completa, oltre che veritiera, non potendo essere tale onere assolto attraverso l’implicito rinvio ad altri atti, tanto più laddove – come nel caso in esame – le complicanze anestesiologiche verificatesi e le condotte tenute dalla anestesista presente in sala operatoria avevano avuto un ruolo centrale nella dinamica dell’intervento e determinante per le conseguenze infauste subite dalla persona offesa.
Nel caso in esame, come lucidamente evidenziato dal Procuratore generale presso questa Corte nelle proprie conclusioni, la stessa ricostruzione del fatto contenuta nella sentenza impugnata dimostrava la difformità di quanto attestato dalla cartella clinica compilata da (omissis) rispetto a quanto realmente accaduto.
Invero, da detta ricostruzione risulta che l’imputato aveva attestato di essere stato informato dall’anestesista (omissis), dopo la sutura della breccia uterina, di una notevole brachicardia con ipossiemia della paziente sulla quale la stessa aveva praticato un massaggio cardiaco e somministrato dei farmaci, mentre in realtà dalle dichiarazioni rese dai membri dell’equipe operatoria era emerso che, dopo l’estrazione del feto, l’anestesista si era allontanata dall’apparecchiatura elettromedicale alla quale voltava le spalle, senza attivare la ventilazione meccanica e avendo in precedenza disattivato gli allarmi sui parametri vitali. La paziente era pertanto rimasta senza ossigeno e si era trovata in una condizione di grave ipossia che si era protratta per diversi minuti, subendo danni cerebrali irreversibili. Di tale situazione si era accorto lo specializzando dott. (omissis), che aveva praticato un massaggio cardiaco fino all’arrivo di un’altra anestesista.
4.2. Del pari censurabile è la valutazione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Ai fini dell’integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, è sufficiente il dolo generico, che consiste nella consapevolezza della immutatio veri, non essendo, invece, richiesto l’animus nocendi vel decipiendi. L’elemento soggettivo deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando il falso derivi da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (Sez. 1, n. 27230 del 11/09/2020, Taroni, Rv. 279785 – 03; Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, Rv. 264328, Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010, Zago, Rv. 248264).
Ai fini della prova dell’elemento psicologico del reato, il giudice deve operare la ponderata valutazione di specifici elementi sintomatici onde sostenere e giustificare la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta, aderendo psicologicamente ad essa. Questa Corte regolatrice ha precisato che la prova del dolo ben può avvenire attraverso la valutazione di specifici indicatori, e va escluso tutte le volte che la falsità risulti essere oltre o contro la volontà dell’agente, come quando risulti dovuta soltanto ad un mero errore percettivo (Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, cit.; Sez. 5, n. 3004 del 13/01/1999, W., Rv. 212939).
Alla luce di tali principi, risulta senz’altro incongrua e manifestamente illogica la motivazione resa sul punto dalla Corte d’Appello, la quale ha desunto la mancanza dell’elemento soggettivo dall’asserito difetto di interesse di (omissis) a sofisticare la rappresentazione dei fatti, in quanto il problema emerso era di tipo anestesiologico e non chirurgico. Tale conclusione, invero consegue alla erronea individuazione del presupposto relativo al contenuto necessario della cartella clinica e dunque all’obbligo di rappresentazione gravante sull’imputato, inficiando la valutazione operata in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio degli atti per nuovo esame alla Corte d’Appello di Catanzaro affinché, in coerenza con quanto rappresentato, con motivazione completa e immune da vizi logici e giuridici, proceda a nuovo esame.
6. Ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento deve essere disposto l’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2025.
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2025.
