1.1.Gli imputati, in particolare, erano ritenuti responsabili del reato di cui al capo A)- bancarotta impropria per false comunicazioni sociali, di cui agli artt. 110 c.p. e 223 comma 2 n. 1 R.D. n. 267 del 1942, in relazione all’art. 2621 c.c.- per avere, in concorso tra loro, il (omissis) in qualità di amministratore unico fino al 12.11.2008 e quale amministratore di fatto successivamente, la (omissis) in qualità di amministratore unico fino al 18.03.2011 e la (omissis) in qualità di amministratore unico fino al 01.06.2012 e successivamente di liquidatore, cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società (Omissis) s.r.l. – dichiarata fallita con sentenza del (Omissis) dal Tribunale di Novara – esponendo, nei bilanci dal 2007 al 2010, fatti materiali non rispondenti al vero ed omettendo informazioni, la cui comunicazione è imposta dalla legge, riguardanti la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, alterandone sensibilmente la rappresentazione, al fine di consentire alla fallita di proseguire illecitamente la propria attività, ‘n tal modo determinando un notevole aggravio del dissesto, a ragione di una variazione del risultato economico di esercizio superiore al 5% e di una variazione del patrimonio netto superiore al 1%; in particolare, erano appostate, a partire dal bilancio dell’anno 2007, rimanenze di magazzino appositamente sovrastimate, al solo fine di nascondere le perdite di esercizio e la situazione di decozione della fallita ed erano altresì appostate e rettificate soltanto con il bilancio dell’anno 2011, fatture da emettere, ma invero mai emesse, sulla controllante ((Omissis) s.r.l.), contabilizzate per un complessivo importo pari ad Euro 107.000.
2. Avverso la suddetta sentenza hanno congiuntamente proposto ricorso per cassazione gli imputati, con atto a firma del difensore di fiducia, avv. (omissis), affidando le proprie censure a tre motivi, con i quali deducono:
2.1. con il primo motivo, il vizio di violazione di legge, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto integrata la fattispecie criminosa contestata, nonostante il mancato accertamento della verificazione deli evento tipico individuato dalla disposizione incriminatrice quale elemento essenziale della fattispecie; in particolare, è evento tipico del reato di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 R.D. n. 267 del 1942 il dissesto o l’aggravio del dissesto della società fallita, pacificamente configurandosi la fattispecie in questione quale fattispecie di danno, a fronte di una condotta di mero pericolo prevista dall’art. 2621 c.c.; nel caso di specie, invero, l’omessa svalutazione del magazzino, in quanto volta ad occultare perdite già esistenti, non determinava il dissesto o il protrarsi del dissesto della compagine sociale, dovendosi pertanto concludere che la condotta attribuita agli imputati era punita dai giudici di merito in quanto mera condotta e non perché eziologicamente collegata all’evento tipico;
2.2 con il secondo motivo, il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale affermato la responsabilità degli imputati, attribuendo valenza penale non all’evento tipico della decozione della società, ma alla mera manifestazione di tale situazione economica, dovendosi invero sottolineare che l’alterata rappresentazione in bilancio dei dati societari, pur determinando una ingannevole percezione della realtà, non è sicuramente idonea a provocarne una modificazione; l’apparato argomentativo sotteso alla sentenza impugnata deve inoltre ritenersi manifestamente illogico e contraddittorio, laddove ravvisa nella manifestazione di un fatto preesistente, ovverosia il dissesto economico, il fatto concreto che integra l’evento tipico del reato e non invece il suo presupposto;
2.3. con il terzo motivo, il vizio di motivazione, censurandosi la sentenza impugnata nella parte in cui illogicamente afferma la responsabilità penale della (omissis) risultando evidente che nessuna condotta causalmente legata alla omessa svalutazione contestata al capo A) o altra condotta causalmente legata al dissesto economico della fallita è stata posta in essere dalla stessa; invero, la ricorrente diveniva amministratore unico della società fallita soltanto in data 18.03.2011 e debitamente procedeva, in data 31.12.2011, ad operare la svalutazione delle rimanenze in magazzino, mettendo in luce le perdite di esercizio accumulatesi negli anni precedenti a ragione della loro errata appostazione in bilancio; inoltre, la ricorrente, una volta divenuta amministratore unico, tempestivamente procedeva, posta in liquidazione la società, a depositare istanza di fallimento.
1. Il primo e il secondo motivo, relativi all’evento del reato di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali è infondato per (omissis).
Le sentenze di merito, da leggersi congiuntamente, siccome costituenti un unicum inscindibile trattandosi di doppia conforme in relazione alla valutazione di responsabilità degli imputati per il reato in questione, hanno messo in risalto in punto di fatto che dal bilancio del 2007 e dai successivi sino al 2010 si ricava una evidente sopravvalutazione del magazzino, riguardante merci di un settore soggetto all’influenza delle mode, con un valore delle rimanenze indicato in misura decisamente eccessiva, se rapportato agli effettivi ricavi di esercizio, tenuto conto del fatto che le rimar.nze, valutate Euro 1.489.870 nel bilancio dell’anno 2010, si riducevano ad Euro 128.000 nell’anno successivo. Soltanto nella nota integrativa al bilancio del 2011 si evidenziavano “campagne promozionali di svendita” e “realizzi da stock”, tanto che il magazzino si sgonfiava passando al valore di Euro 128.550 nel 2011, con emersione nella sua totalità di una perdita imponente, accumulatasi nel corso degli esercizi precedenti, sino a raggiungere il risultato di esercizio negativo di Euro 1.805.685,00.
A fronte di tali emergenze, i giudici di merito hanno ritenuto che la valutazione delle rimanenze fatta negli anni precedenti al 2011, pur richiamando apparentemente il criterio valutativo previsto per legge tra costo e valore del realizzo, risultava essere del tutto inveritiera, strumentale ad occultare le perdite di esercizio e, dunque, a rielaborare l’analisi dei bilanci tralasciando tale dato; l’aver riportato nei bilanci 2008, 2009 e 2010 fatti materiali non rispondenti al vero, ossia l’enorme sopravvalutazione del magazzino merci, determinando l’omissione di informazioni anche sulla situazione economica patrimoniale e finanziaria della società, la cui comunicazione è imposta dalla legge, ma vitale per il regolare svolgimento dei traffici commerciali, è stata ritenuta condotta idonea a indurre in errore i destinatari della situazione della fallita, alterando in modo sensibile la rappresentazione di essa, determinando una variazione dL’risultato economico di esercizio notevolmente superiore al 5% e comunque una variazione del patrimonio netto della (Omissis) s.r.l. superiore all’r/o.
La falsa rappresentazione delle poste indicate per gli esercizi dal 2007 al 2010 con la rettifica effettuata con il bilancio per il 2011, rendeva evidente l’esistenza di una perdita di oltre un 1,8 milioni di Euro, laddove, se vi fosse stata la corretta rappresentazione delle poste in bilancio, avrebbe generato risultati negativi, tali da azzerare il patrimonio netto, situazione conclamata fin dal bilancio depositato nel maggio del 2008, viceversa la falsificazione delle poste contabili permetteva alla fallita di proseguire illecitamente l’attività nascondendo artificiosamente le perdite, così mantenendo il credito bancario e l’affidamento dei creditori.
Le condotte poste in essere dagli imputati e segnatamente da (omissis) nelle rispettive qualità, sono state correttamente ritenute dai giudici di merito integranti la bancarotta impropria da reato societario (false comunicazioni sociali), aì sensi del comma 2 dell’art. 223 n. 1), L. Fall. poiché i falsi materiali operati nei bilanci societari dal 2008 al 2011 alterando e determinando una variazione del risultato economico di esercizio superiore al 5% e una variazione del patrimonio netto della società superiore all’1/0, come dichiarato dal curatore, e la rappresentazione dell’effettiva situazione di conclamato dissesto patrimoniale e finanziario della società risalente all’anno 2007, permettevano alla società di continuare ad operare per anni nonostante fosse in perdite e non fosse più in grado di far fronte adeguatamente al complesso di vari debiti, cagionando il notevole aggravamento del dissesto, peraltro già nel corso del 2007 e poi progressivamente aumentato.
Tale valutazione della Corte territoriale non si espone alle critiche svolte con i ricorsi in esame, avendo la sentenza impugnata esattamente individuato il rapporto causale fra le condotte di false comunicazioni sociali ed il dissesto – rectius l’aggravamento del dissesto- della fallita, oltre all’evento tipico del delitto in questione, ossia l’aggravamento del dissesto.
Più volte la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come integri il reato di bancarotta impropria la condotta dell’amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, al fine di occultare l’esistenza di perdite e consentire quindi la prosecuzione dell’attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, eviti che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione della attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi, poiché l’evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto (Sez.5, n. 42272 del 13/06/2014, Rv. 260394;Sez. 5, n. 42811 del 18;06/2014, Rv. 261759; Sez.5, n. 1754 del 20/09/2021,dep.2022, Rv. 282537;Sez. 5, n. 28508 del 12/04/2013, Rv. 255575).
La sussistenza dei fatti di false comunicazioni sociali, quale presupposto del reato di bancarotta impropria, è stata nella fattispecie in esame adeguatamente motivata, laddove la Corte territoriale ha fatto riferimento alla notevole sopravvalutazione delle merci con l’intento di occultare, con le perdite prodotte dalla gestione della società, la necessità di ricapitalizzazione o la liquidazione della società, consentendo di non evidenziare la necessità di tali provvedimenti, la mancata adozione dei quali determinava l’aggravamento del dissesto; finalità questa che, in quanto diretta a ‘avorire indebitamente la compagine sociale che così otteneva l’affidamento bancario e del ceto creditorio integra il fine di ingiusto profitto richiesto dagli artt. 2621 e 2622 c.c.
Anche a voler considerare già presente nel 2007 il dissesto della società, derivando esso anche da altre cause, precedenti alla condotta di false comunicazioni sociali, tuttavia, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta da reato societario, rilevano anche condotte che non abbiano da sole determinato, ma, abbiano, come del resto testualmente previsto datì art. 223, comma 2, n. 1, L. Fall. “concorso a cagionare” il dissesto, sia aggravando l’effetto di cause preesistenti, inserendosi in una serie di fattori intervenuti anche successivamente; e tanto, oltre che per effetto del già decisivo dato letterale, sia in applicazione dei principi generali in tema di causalità che per la naturale progressività dei fenomeni determinativi del dissesto di un’impresa (Sez. 5, n. 16259 del 04/03/2010, Chini, Rv. 247254).
2.Fondato, come già accennato in premessa, si presenta il terzo motivo di ricorso relativo a (omissis). Ed invero, la sentenza impugnata, così come denunciato in ricorso, dà atto in premessa che la stessa è divenuta amministratrice in data 18 marzo 2011, nonché liquidatrice della (Omissis) s.r.l. in data 1 giugno 2012, un mese prima del fallimento e che proprio grazie alla rettifica operata durante la sua gestione societaria con il bilancio relativo al 2011, procedendo, in data 31.12.2011, ad operare la svalutazione delle rimanenze in magazzino, emergeva, l’esistenza della perdita di Euro 1,8 milioni di Euro. A fronte di tale premessa, la sentenza impugnata poi, conclude nel senso che la ricorrente oltre ad aver assunto l’incarico nell’ultimo anno di attività dell’azienda ed esserne stata nominata liquidatrice sino al fallimento risulta altresì avere in proprio e direttamente posto in essere una condotta in violazione della normativa antiriciclaggio effettuando la contabilizzazione di un movimento in contanti e che la stessa non avrebbe lealmente collaborato con il curatore dando risposte quantorneno reticenti nel corso delle dichiarazioni rese allo stesso, nascondendo l’attività di amministratore di fatto rivestita dal (omissis), così ponendo in essere una condotta di attuazione materiale di illeciti con adesione agli scopi e connivenza con l’ideatore e persecutore della gestione aziendale illecita. Tale motivazione non dà conto -in relazione alla condotta ascritta all’imputata di concorso nel reato di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali- né di un contributo specificamente dalla stessa offerto per la realizzazione del falso in bilancio e dell’aggravarnento ulteriore del dissesto, anzi avendo la (omissis) con il bilancio riferibile alla sua amministrazione consentito l’emersione della perdita riportando i dati corretti, né tantomeno di elementi univocamente deponenti per la condivisione da parte della stessa, al di là del legame familiare, del progetto criminoso riferibile al (omissis). Ne consegue, pertanto, che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, dovendo la Corte territoriale esattamente motivare, in relazione all’ipotesi delittuosa ascritta alla (omissis), il contributo concorsuale dalla stessa offerto.
3. In definitiva, la sentenza impugnata va annullata nei confronti di (omissis) con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Torino, mentre vanno rigettati i ricorsi di (omissis) con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2023
