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Cassazione penale sez. V, 09/01/2018, n. 317

Massima

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di critica attiene ad un giudizio valutativo che trae spunto da un fatto ed esclude la punibilità di affermazioni lesive dell’altrui reputazione purché le modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta espresse, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi. Si deve, altresì, considerare, nella valutazione del requisito della continenza, il complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione. In quest’ambito, il rispetto della verità del fatto assume un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica. Va, invece, esclusa l’applicabilità dell’esimente qualora le espressioni denigratorie siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili.

Supporto alla lettura

DIFFAMAZIONE

Rispetto all’ingiuria ex art. 594 c.p., l’art.595 c.p. consiste nell’offesa all’altrui reputazione fatta comunicando con più persone, con il mezzo della stampa o tramite i social network a causa della loro capacità di raggiungere un numero indeterminato o apprezzabile di persone; persegue la condotta dell’offendere rivolta verso persone non presenti, ovvero non solo assenti fisicamente, ma anche non in grado di percepire l’offesa (la c.d. maldicenza in assenza dell’interessato).

La nuova costituzione italiana (art. 21) ha esteso la garanzia costituzionale a tutte indistintamente le manifestazioni del pensiero. Alla costituzione ha fatto seguito la legge 8 febbraio 1948, n. 47, che, pur avendo carattere provvisorio, tuttavia regola per la prima volta compiutamente la materia della stampa. Mentre la CEDU si è espressa più volte sul tema sostenendo che quando la diffamazione si realizza a mezzo social network, ad essere violato è l’art. 8 della CEDU, che tutela la vita privata del singolo in cui deve intendersi ricompreso anche il diritto alla reputazione.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale di Messina dell’11.3.14, che aveva riconosciuto la penale responsabilità di (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) in ordine al reato di diffamazione in danno di (omissis), ha assolto tutti gli imputati perchè il fatto non costituisce reato, ritenendo la loro condotta scriminata dall’esercizio del diritto di critica politica.

1.1. Agli imputati era fatto carico di avere affisso lungo le vie del Comune di Furci Siculo dei manifesti pubblici in cui al Sindaco, (omissis), venivano rivolte espressioni quali “Falso Bugliardo Ipocrita Malvagio”.

Il fatto era avvenuto in esito ad una serie di dissapori di natura politica fra il Sindaco e alcuni componenti dell’opposizione, capeggiati dal (omissis), i quali avevano riconosciuto la paternità del manifesto ma avevano escluso ogni intento denigratorio, sostenendo che era frutto di una decisione politica diretta ad attaccare il Sindaco e la Giunta da lui presieduta, che aveva deliberato l’erogazione dell’indennità di funzione, così tradendo le promesse elettorali.

Il Tribunale aveva escluso la configurabilità dell’esimente del diritto di critica politica, viste le connotazioni personali delle ingiurie contenute nel testo dei manifesti.

Di segno contrario la decisione della Corte d’Appello, che ha ravvisato la scriminante ritenendo che le frasi siano offensive ma che la lettura integrale del manifesto consenta di ricondurle alle critiche di carattere politico, rispetto alle quali paiono pertinenti, sebbene espressione di un costume politico deteriore ma ampiamente diffuso.

2. Propone ricorso il difensore della parte civile deducendo, con il primo motivo, la violazione degli artt. 51 e 595 c.p. tenuto conto che le espressioni impiegate superano i limiti di continenza del diritto di critica, presentandosi come inutilmente umilianti del soggetto criticato.

Il limite dell’esercizio di critica va individuato, secondo il ricorrente, nel rispetto della dignità altrui e non può costituire l’occasione di gratuiti attacchi alla persona ed alla sua reputazione.

Con il secondo motivo si deducono vizi motivazionali e travisamento della prova in quanto il giudice di appello avrebbe erroneamente messo in relazione gli epiteti ingiuriosi a pregresse vicende di natura politica, quando, in realtà, non vi era alcuna attinenza con tali vicende ed era assolutamente falsa la versione dei fatti contenuta nei manifesti.

Motivi della decisione

Il diritto di critica attiene ad un giudizio valutativo che trae spunto da un fatto ed esclude la punibilità di affermazioni lesive dell’altrui reputazione purchè le modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta espresse, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014 Rv. 261122).

Si deve, altresì, considerare, nella valutazione del requisito della continenza, il complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione (Sez. 5, n. 4853 del 18/11/2016, dep. 01/02/2017, Rv. 269093).

In quest’ambito, il rispetto della verità del fatto assume un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 23/05/2017 Rv. 270284).

Va, invece, esclusa l’applicabilità dell’esimente qualora le espressioni denigratorie siano generiche e non collegabili a specifici episodi, risolvendosi in frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili (Sez. 5, n. 48712 del 26/09/2014 Rv. 26148901; Sez. 5, Sentenza n. 48712 del 26/09/2014 Rv. 261489) o espressione di un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario (Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010, dep. 07/03/2011, Rv. 250218).

2. La sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi esposti, in quanto è partita dal presupposto incontestabile della offensività delle espressioni utilizzate dagli imputati (diversamente sarebbe stata esclusa la sussistenza del reato e non già ritenuta operante la scriminante) per riconoscere che gli epiteti rivolti alla parte offesa presentavano una stretta attinenza alle vicende che avevano visto l’opposizione contrapporsi al Sindaco in merito alla erogazione dell’indennità di funzione, a cui il primo cittadino aveva dichiarato di voler rinunciare in campagna elettorale.

In quest’ambito, gli epiteti “falso, bugiardo, ipocrita” si ricollegano, secondo la Corte territoriale, al mancato adempimento delle promesse elettorali nonchè all’avere omesso di dichiarare pubblicamente il proprio ripensamento sul tema dell’indennità di funzione e, quanto all’aggettivo “malvagio”, ad azioni giudiziarie, asseritamente infondate, che egli aveva promosso contro gli avversari politici.

Il contesto politico e di contrapposizione in merito a scelte di carattere politico-amministrativo è, secondo la Corte d’Appello, evidente dalla lettura integrale del manifesto all’interno del quale erano contenute le espressioni ingiuriose.

E’ apparso quindi chiaro ai giudici di merito che l’attacco al (omissis) riguardava specificamente le scelte politiche ed amministrative sue e della sua maggioranza e, del tutto correttamente, si è escluso che sia trasmodato in un attacco alla dignità morale ed intellettuale della persona offesa, così come sostiene, invece, il ricorrente.

2.1. Le osservazioni svolte nella seconda parte del ricorso, in cui si contesta che le vicende politiche sottese alla controversia sfociata nella pubblicazione di quel manifesto si siano svolte così come ricostruito in entrambe le sentenze di merito, non hanno rilevanza, da un lato in quanto contengono generiche censure in fatto rispetto ad una identica ricostruzione della vicenda nei due giudizi di merito, che differiscono soltanto in ordine alla valutazione dei presupposti del diritto di critica, dall’altro, in quanto, come si è detto, il requisito della verità del fatto assume, nel diritto di critica, un rilievo più limitato che nel diritto di cronaca.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2018

Allegati

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