Massima

La qualificazione di materiale pedopornografico richiede la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, ovvero qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di minori che renda manifesta la riproduzione delle nudità a fini di concupiscenza e di ogni altra pulsione di natura sessuale.

Supporto alla lettura

PEDOPORNOGRAFIA

La pedopornografia è la pornografia (ossia la rappresentazione di atti sessuali) in cui sono raffigurati soggetti pre-puberali. Spesso viene confusa con la pornografia minorile (materiale pornografico in cui sono coinvolti soggetti minorenni che però hanno già subito le trasformazioni fisiche e mentali derivanti dalla pubertà), poichè in molte legislazioni viene considerata illegale e punita non la pedopornografia in quanto tale, ma qualsiasi forma di pornografia minorile, ossia la produzione, distribuzione e detenzione di materiale pornografico che coinvolge i minori.

La norma codicistica italiana intende come pedopornografico quel materiale che ritrae o rappresenta visivamente un minore implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica. Ciò si applica anche ai fotoritocchi, fotomontaggi e in generale a immagini fotorealistiche realizzate utilizzando scatti o parti di scatti di soggetti minorenni, ciò vale anche per attività sessuali o analoghe e anche se i fotomontaggi non ritraggono scene realmente accadute.

La legge italiana non si applica ai disegni che siano chiaramente riconoscibili come tali e non come fotorealistici, mentre anche solo il semplice possesso di materiale pornografico coinvolgente minori costituisce reato.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione del Gup del Tribunale in sede del 12 ottobre 2016 con la quale era stata affermata la penale responsabilità di (omissis) per i reati di sostituzione di persona nell’identità digitale, detenzione di materiale pedopornografico e violenza privata.

La corte territoriale ha ritenuto, pur all’esito delle deduzioni defensionali, che l’imputato – previa istituzione di un profilo facebook recante l’immagine di altra persona ed al fine di acquisire la fiducia di minori – avesse intrapreso rapporti telefonici con diverse giovani, alle quali aveva richiesto fotografie a sfondo erotico nella quali le medesime erano riprese svestite, inducendole alla consegna attraverso la prospettazione di diffondere in rete immagini già in suo possesso.

2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, articolando tre motivi.

2.1. Deduce con la prima doglianza, falsa applicazione della legge penale e correlato vizio di motivazione in riferimento al reato di cui all’art. 494 c.p., per averne la corte territoriale affermato la sussistenza sulla scorta delle dichiarazioni delle persona offese dalle quali non emerge, invece, alcuna sostituzione di persona.

2.2. Censura, con il secondo motivo, violazione della legge penale e correlato vizio di motivazione in riferimento al reato di violenza privata, per non avere i giudici di merito considerato il contenuto di una intercettazione telefonica dalla quale risulta come l’imputato fosse vittima delle continue telefonate di (omissis), per interrompere le quali avrebbe prospettato alla medesima di diffondere in rete le fotografie in suo possesso, con conseguente assenza di intenti ricattatori, e per avere valorizzato la deposizione
della persona offesa (omissis), senza considerare la spontanea iniziativa di costei nel trasmettere proprie fotografie all’imputato.

2.3. Il terzo motivo deduce analoga censura in riferimento al reato di cui all’art. 600 quater c.p., in presenza delle dichiarazioni generiche di (omissis), non potendo le immagini in contestazione, spontaneamente consegnate all’imputato dalle persone offese, definirsi di contenuto pedopornografico, bensì ritraenti giovai donne in intimo, e per essere i video realizzati con la minore (omissis) mera documentazione, a ricordo, della relazione intercorsa con l’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono infondati.

2. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) la creazione ed utilizzazione di un profilo su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole (Sez. 5, Sentenza n. 25774 del 23/04/2014Ud. (dep. 16/06/2014), Rv. 259303), trattandosi di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che lo utilizza. Sotto il versante soggettivo, il dolo specifico del delitto di
sostituzione di persona consiste nel fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio, anche non patrimoniale, ovvero di recare ad altri un danno. (Sez. 5, Sentenza n. 41012 del 26/05/2014 Ud. (dep. 02/10/2014) Rv. 260493 N. 3207 del 1981, N. 13296 del 2013 Rv. 255344).

2.1. Nel caso in esame, risulta dalla sentenza impugnata che l’imputato abbia creato un profilo Facebook apponendovi la fotografia di una persona minorenne identificata ((omissis)), al fine dell’agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete con persone iscritte al social network rispondenti alla medesima fascia d’età, così da indurre il ragionevole affidamento di una relazione virtuale paritetica, e con danno della persona di cui è stata abusivamente utilizzata l’immagine. La complessiva condotta dell’imputato risulta ulteriormente connotata da un vero e proprio fine di adescamento in quanto, grazie a siffatto espediente, il (omissis) ha contattato diverse minorenni, successivamente intraprendendo con le medesime relazioni a sfrondo erotico documentate con immagini e con scambio di fotografie.

Nella delineata prospettiva, non rileva – in punto di sussistenza della rilevanza penale del fatto – nè che l’imputato abbia, successivamente alla creazione del profilo, modificato l’immagine, nè che si sia disvelato nella propria identità, trattandosi, all’evidenza, di circostanze postume, sopravvenute alla realizzazione del fine al quale la artificiosa creazione identitaria mirava.

2.2. Le censure articolate a riguardo nel primo motivo di ricorso si appalesano, pertanto, inconducenti.

3. Non sussiste il vizio di travisamento della prova dedotto con il secondo motivo di censura.

3.1. Il ricorrente lamenta la sottovalutazione del contenuto di una intercettazione telefonica nella quale l’imputato aveva riferito all’interlocutrice ((omissis)) di aver “minacciato” (omissis) di diffondere in rete materiale fotografico a sfondo erotico a questa riferibile “al solo scopo di impaurirla” ed al fine di arginare le insistenti richieste della minore, escludendo intenti ricattatori.

3.2. Siffatta prospettazione, in ipotesi rilevante al fine di escludere più gravi fattispecie di reato non contestate, supporta essa stessa in toto la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 610 c.p., in quanto ai fini del delitto di violenza privata, è sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa (Sez. 5, Sentenza n. 29261 del 24/02/2017 Ud. (dep. 13/06/2017) Rv. 270869, N. 11641 del 1989 Rv. 182005, N. 1195 del 1998 Rv. 211230, N. 3403 del 2004 Rv. 228063, N. 40983 del 2005 Rv. 232459, N. 11907 del 2010 Rv. 246551, N. 8425 del 2014 Rv. 259052, N. 4284 del 2016 Rv. 266020), mentre l’inequivoco – e non contestato – tenore testuale dei messaggi di testo trascritti in imputazione dimostra la formulazione di esplicite minacce di divulgazione chiaramente condizionate a condotte pretese dalle persone offese, rispetto alle quali del tutto irrilevante appare la ricostruzione ex post resa a terzi.

4. È, invece, parzialmente fondato il terzo motivo di ricorso.

4.1. In attuazione della Direttiva Europea 2011/93/UE in materia di prevenzione e contrasto all’abuso e allo sfruttamento sessuale dei minori e della pornografia minorile, che ha sostituito la precedente decisione-quadro 2004/68/GAI, il legislatore è stato chiamato ad ampliare l’ambito di tutela in materia, in parallelo con il crescente allarme indotto dalla sempre maggior diffusione e diversificazione, a livello nazionale e internazionale, dei reati a sfondo sessuale su minori “in particolare per quanto riguarda
l’utilizzo sempre maggiore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte dei minori e degli autori di reato” (Convenzione di Lanzarote, Preambolo).

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, ha imposto l’adozione di norme più incisive, volte al contrasto del fenomeno della pornografia minorile in ogni sua forma al fine di “proteggere i minori dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale, indipendentemente da chi ne è l’autore” (Convenzione di Lanzarote, Preambolo).

4.2. La l. 172/2012, di ratifica della Convenzione, è intervenuta non solo sul catalogo e sulla formulazione delle fattispecie incriminatrici, ampliandone la portata, ma ha, soprattutto, introdotto nell’ordinamento, all’art. 600 ter c.p., una definizione derivata, in termini quasi tralatizi, dall’art. 20, comma 2, della Convenzione di Lanzarote, secondo cui “per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

Una formulazione, dunque, volutamente molto ampia, ricomprendente “ogni rappresentazione”, realizzata “con qualunque mezzo”, e soprattutto oggettiva, da cui deriva la definizione giuridica di materiale pedopornografico, intendendosi per questo qualunque rappresentazione del minore che ne effigi la nudità con finalità sessuale o che ne ritragga il coinvolgimento in atti sessuali, non richiedendosi, invece, che lo stesso processo creativo a monte sia stato condotto attraverso manipolazioni, nè tantomeno attraverso la strumentalizzazione passiva del minore che può, persino, averlo autoprodotto.

In particolare, in virtù della modifica introdotta dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4, comma 1, lett. L), per la qualificazione del materiale rappresentativo come pedopornografico non è necessaria una esibizione lasciva degli organi genitali di soggetti minori di anni diciotto, ma è sufficiente una qualunque rappresentazione degli stessi organi per scopi sessuali (Sez. 3, Sentenza n. 5874 del 09/01/2013 Cc. (dep.
06/02/2013) Rv. 254420), in presenza dell’attitudine del materiale stesso alla concupiscenza.

Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto per cui la qualificazione di materiale pedopornografico richiede la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, ovvero qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di minori che renda manifesta la riproduzione delle nudità a fini di concupiscenza e di ogni altra pulsione di natura sessuale.

4.4. In siffatta prospettiva, l’art. 600 quater c.p., sanziona la mera detenzione di materiale pedopornografico, anche a fini di consultazione personale e senza divulgazione a terzi ed a prescindere dalle modalità genetiche e creative attraverso il quale la rappresentazione sia stata eseguita, in linea con agli artt. 3,27 e 117 Cost., e art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, in quanto la fattispecie incriminatrice si armonizza con gli obblighi internazionali che definiscono un livello “minimale” di tutela e si inserisce in un sistema organico che punisce, in via decrescente, ogni condotta
relativa allo sfruttamento sessuale dei minori (V. Sez. 3, Sentenza n. 20429 del 02/04/2014 Ud. (dep. 16/05/2014) Rv. 259632), mentre la produzione di materiale pedopornografico rileva a prescindere dal pericolo della relativa diffusione (Sez. un., ud. 31 maggio 2018, informazione provvisoria; sez. 3^, 20 marzo 2017 – 12 aprile 2018, ord. n. 10167).

5. La sentenza impugnata non appare rispondente al necessario standard giustificativo in riferimento all’accertamento della natura di materiale pedopornografico dei reperti ai sensi dell’art. 600 quater c.p., come modificato dalla L. n. 172 del 2012.

Non è dato, invero, evincere con sufficiente determinatezza se le fotografie ed i video trovati in possesso dell’imputato rappresentassero l’effigie di nudi, riconducibili alle minori persone offese, esplicativi di una finalità sessuale o raffigurassero esplicitamente il coinvolgimento delle stesse in atti sessuali, assumendo pertanto la natura di reperti pedopornografici nei termini declinati dall’art. 600 ter c.p., comma 7.

6. La sentenza impugnata deve essere, sotto tale profilo, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano perchè, in applicazione del principio di diritto enunciato, proceda a nuovo esame limitatamente ai capi D) ed F).

7. Deve essere disposto l’oscuramento dei dati sensibili evidenziati, in considerazione della natura della contestazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi D) ed F) dell’imputazione con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Milano; rigetta il ricorso nel resto.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli atri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2018

Allegati

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