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Cassazione penale sez. V, 08/04/2024, n. 14370

Massima

L’ambito di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, come esteso dall’art. 593, ultimo comma, cod. proc. pen. (a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2022, in vigore dal 30 dicembre 2022), si estende anche all’appello proposto dalla parte civile ai soli effetti civili ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen.

Supporto alla lettura

GIUDIZIO CARTOLARE DI APPELLO

L’art. 598-ter, comma IV, c.p.p. disciplina la situazione dell’imputato non appellante in caso di udienza non partecipata (art. 598-bis c.p.p.), prevedendo che la Corte di appello, qualora non sussistano le condizioni per procedere in sua assenza ai sensi dell’art. 420-bis, commi I, II e III, c.p.p. disponga la sospensione del processo e le nuove ricerche dell’imputato. Le ragioni di tale disciplina sono identiche a quelle con riferimento alla mancata partecipazione dell’imputato non appellante alle udienze partecipate: si intende, infatti, garantire l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato non appellante.

Tale disposizione di legge non contiene, invece, alcuna previsione per l’imputato appellante. Nè, tantomeno, si richiama la disposizione del comma 1 che consente di procedere in assenza dell’imputato appellante anche fuori dai casi previsti dall’art. 420-bis c.p.p. Sembra che tale silenzio normativo non sia frutto di una dimenticanza da parte del legislatore, ma sia, piuttosto, pienamente coerente con la nuova disciplina della forma dell’impugnazione e, soprattutto, con la diversa logica sottesa alla diversificazione del rito nel giudizio di appello.

Va, infatti, considerato, da un lato, che affinché l’impugnazione sia ammissibile, ove l’imputato sia stato giudicato in assenza in primo grado, è necessario che questi depositi specifico mandato ad impugnare (contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione in giudizio) dopo la pronuncia della sentenza, elemento, questo, sintomatico di conoscenza certa della pendenza del processo e della sentenza stessa; dall’altro lato, va, inoltre, tenuto conto del fatto che, in caso di rito camerale non partecipato, il contraddittorio tra le parti è solo cartolare, ai sensi dell’art. 598-bis, comma I, c.p.p. e, in assenza di una tempestiva richiesta di partecipazione all’udienza, all’imputato è preclusa la possibilità di presenziare a detta udienza.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 27 novembre 2023, il Tribunale di Lodi ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da (omissis), n. q. di parte civile, avverso la sentenza del Giudice di pace di Lodi con cui (omissis) era stato assolto dal reato di diffamazione perché il fatto non costituisce reato.

2. Propone ricorso per cassazione il difensore della parte civile censurando la sentenza del Tribunale per avere questa ritenuto detta parte non legittimata a proporre appello atteso il disposto di cui all’articolo 593, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022. Si deduce, nel ricorso, che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere applicabili anche all’appello della parte civile le limitazioni di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. e ciò in quanto l’unica disposizione che il legislatore detta in modo specifico con riferimento all’impugnazione agli effetti civili (ivi compreso l’appello) della predetta parte contro le sentenze di proscioglimento è quella di cui all’art. 576 cod. proc. pen. il cui dettato non è stato modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022. Le limitazioni di cui al comma 3 dell’art. 593 cod. proc. pen. sarebbero dunque riferibili, come si evincerebbe dalla lettura dell’intero articolo, solo all’imputato e al pubblico ministero anche perché, ove il legislatore avesse voluto estendere ed equiparare l’inappellabilità agli effetti penali delle sentenze di proscioglimento a quella per i soli effetti civili, lo avrebbe dovuto affermare espressamente.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. La questione posta dal ricorrente attiene all’interpretazione dell’art. 593, ult. comma, cod. proc. pen., la cui portata, dal punto di vista oggettivo, è stata ampliata, per effetto dell’art. 34, comma 1, lett. a), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, entrato in vigore a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi dell’art. 99-bis del medesimo decreto legislativo.

Nel testo attualmente vigente, l’ultimo comma dell’art. 593 del codice di rito dispone nel senso che “sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa”.

In altri termini, e per quanto qui rileva, l’ambito dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento è stato esteso ai procedimenti concernenti anche i reati non contravvenzionali, puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.

Dal punto di vista soggettivo, il D.Lgs. n. 150 del 2022 non ha operato alcuna esplicita modificazione dell’art. 593 cod. proc. pen., che, disciplinando i casi di appello, si occupa, nei primi due commi, del pubblico ministero e dell’imputato, mentre ° nel terzo comma, non individua le parti destinatarie della regolamentazione, disponendo con una formula generale che sono “in ogni caso” inappellabili le sentenze ivi indicate. L’inciso “in ogni caso”, infatti, è stato introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11 e vale ad esprimere l’intento del legislatore di circoscrivere la portata del rimedio impugnatorio di secondo grado, escludendolo, per quanto qui rileva, per le sentenze di proscioglimento relative ai reati di minore gravità.

Questo intendimento è stato potenziato dalla riforma del 2021 – 2022, dal momento che l’art. 1, comma 13, lett. c), l. 27 settembre 2021, n. 134, con carattere di generalità, persegue l’obiettivo di escludere l’appellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.

Si tratta di un mutamento del contesto normativo che impone una rimeditazione dei confini dell’impugnazione di secondo grado, tenendo conto che la conclusione, nel senso dell’inappellabilità, non priva comunque la parte di uno strumento di controllo della decisione giurisdizionale, alla luce della persistente possibilità di proporre ricorso per cassazione.

Ora, pur tenendo conto delle peculiarità che caratterizzano il regime delle impugnazioni dinanzi al giudice di pace, si osserva che il D.Lgs. 28 giugno 2000, n. 274 non detta disposizioni specificamente riferite alla parte civile, se non per il caso del ricorrente che abbia chiesto la citazione a giudizio dell’imputato, a norma dell’art. 21 dello stesso D.Lgs. (art. 38). E, in questo caso, nel quale la parte civile assume il ruolo di accusatore privato (v., infatti, di recente, Sez. 4, n. 43463 del 27/10/2022, Catalano, Rv. 283748 – 01), l’impugnazione contro la sentenza di proscioglimento è ammessa negli stessi casi in cui è ammessa l’impugnazione del pubblico ministero.

In questa prospettiva, non è in discussione il potere generale di impugnazione riconosciuto dall’art. 576 cod. proc. pen. alla parte civile, ma la ragionevolezza di un sistema che, rispetto alle sentenze di proscioglimento, in difetto di una norma specificamente attributiva del potere di appello e in un contesto che mira a circoscrivere l’impugnabilità delle sentenze di secondo grado, riconosca alla parte civile, che abbia fatto valere esclusivamente una pretesa risarcitoria o restitutoria, poteri più ampi di quelli riconosciuti al pubblico ministero e soprattutto alla stessa parte civile che, valendosi dei poteri di cui all’art. 21 D.Lgs. n. 274 del 2000, abbia introdotto una pretesa non dipendente dall’iniziativa della pubblica accusa.

È soprattutto il confronto interno ai poteri riconosciuti alla stessa parte civile, secondo che si avvalga o non dei poteri riconosciuti dall’art. 21 cit., a disvelare l’intrinseca incoerenza della diversificazione del regime dell’appello.

In tale contesto, non appaiono rilevanti le conclusioni di Sez. 3, n. 22924 del 11/05/2006, Scialpi, Rv. 234156 – 01, che, oltre ad essere precedenti alla generalizzazione che pare emergere dall’innovazione del 2018 resa palese dall’inciso “in ogni caso”, sono legate alle peculiarità del caso di specie, nel quale era stata posta la questione della sopravvenuta inammissibilità dell’appello della parte civile ai soli effetti civili avverso le sentenze di proscioglimento di primo grado. E, infatti, al termine del suo percorso argomentativo, Sez. 3, n. 22924 del 2006 chiarisce che, anche a volere interpretare la nuova normativa come escludente il potere della parte civile di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, il principio tempus regit actum non potrebbe mai consentire il rilievo della inammissibilità dell’atto di appello della parte civile in una fase in cui il relativo procedimento ha già condotto, al momento dell’entrata in vigore della legge, ad una pronuncia su di esso.

Ad avviso del Collegio, su un piano generale, indipendentemente dalla portata dell’art. 576 cod. proc. pen., sono proprio, per un verso, l’art. 593 cod. proc. pen. – che, in difetto di una /ex specialis come l’art. 37 D.Lgs. n. 274 del 2000 per l’imputato, assume portata generale – e, per altro verso, una lettura sistematica fondata sul significato dell’art. 38 D.Lgs. n. 274 del 2000, che convincono dell’inappellabilità della sentenza nel caso di specie. Sono, quindi, questi dati normativi a costituire il fondamento di una lettura specificatrice del generale potere di impugnazione attribuito dall’art. 576 cod. proc. pen.

3. Ciò posto, si osserva che il Tribunale di Lodi non ha affrontato il tema dell’applicabilità dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. Tuttavia, l’eventuale violazione della norma che impone la trasmissione degli atti al giudice competente, in caso di erronea qualificazione dell’impugnazione, non è stata dedotta dal ricorrente, il quale ha esplicitamente chiesto, “in accoglimento dei motivi di gravame sopra esposti”, di “annullare la sentenza impugnata con tutte le conseguenze di legge, affinché l’appello possa essere esaminato nel merito”. D’altra parte, la violazione dell’art. 568, comma 5 del codice di rito neppure rientra tra le questioni rilevabili d’ufficio, ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., da parte di questa Corte di legittimità.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato alla rifusione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 22 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria l’8 aprile 2024.

Allegati

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