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Cassazione penale sez. V, 07/10/2021, n.115

Massima

Commette un furto il condomino che con allaccio abusivo al contatore condominiale si impossessa dell’energia elettrica destinata ad impianti comuni.

Supporto alla lettura

Il furto consiste nella sottrazione illegittima e dolosa della cosa altrui a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri.
Il delitto di furto si colloca sistematicamente al Titolo XIII “Dei delitti contro il patrimonio” e al Capo I “Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone”.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 14/10/2020 la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la decisione di primo grado, quanto all’affermazione di responsabilità di I.C. e D.S., in relazione al reato di furto aggravato (art. 624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, n. 2) di energia elettrica.
  2. Nell’interesse delle imputate sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione. 3. Il ricorso proposto nell’interesse della I. è affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. c.p.p..

3.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione di legge, rilevando: a) che erroneamente il capo di imputazione aveva individuato la persona offesa nell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale (ATER) di Pescara, dal momento che, per effetto della rivalsa di quest’ultima nei confronti dei condomini, il depauperamento patrimoniale riguardava i vicini; b) che, pertanto, la denuncia presentata dall’ATER, poiché non proveniva dalla persona offesa, non aveva alcun valore; c) che neppure era ravvisabile la contestata circostanza aggravante dal momento che, per manomettere i contatori, liberamente accessibili, era sufficiente svitare una vite e collegare un cavo di rame al dispositivo condominiale, talché il ripristino della situazione anteriore era agevole, non comprometteva la fruibilità del servizio e non rendeva il bene inidoneo alla sua destinazione.

3.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale, dal momento che il fatto dovrebbe essere sussunto nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 646 c.p., alla stregua della giurisprudenza di legittimità che valorizza la circostanza secondo la quale colui che sottragga energia elettrica, allacciandosi alla rete condominiale, si trova in una situazione di compossesso, unitamente agli altri condomini, dell’energia.

3.3. Con il terzo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale, dal momento che l’escussione dibattimentale non aveva consentito di dimostrare che la ricorrente avesse fruito dell’energia né che avesse manomesso il contatore.

3.4. Con il quarto motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p..

  1. Il ricorso proposto nell’interesse della D. è affidato ai seguenti motivi.

4.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge, in relazione alla mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 2, dal momento che la sentenza impugnata non aveva illustrato le ragioni a sostegno di tale conclusione. Secondo la ricorrente, l’esclusione della circostanza aggravante dovrebbe comportare l’improcedibilità per difetto di querela proveniente dal soggetto legittimato (l’Enel e non l’ATER).

4.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 646 c.p., svolgendo considerazioni analoghe a quelle di cui al secondo motivo del primo ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Logicamente preliminare è la questione, prospettata nel secondo motivo di entrambi i ricorsi, dell’invocata riqualificazione del fatto come appropriazione indebita.

La doglianza è infondata.

Poiché sin dal capo di imputazione la condotta è descritta nei termini di un collegamento abusivo ai cavi elettrici a valle del contatore condominiale di un edificio dell’ATER di Pescara, le ricorrenti richiamano Sez. 5, n. 57749 del 15/11/2017, Martorana, Rv. 271989 – 01, secondo la quale integra il reato di cui all’art. 646 c.p. (e non quello di sottrazione di cose comuni) la condotta del condomino il quale, mediante allaccio abusivo a valle del contatore condominiale, si impossessi di energia elettrica destinata all’alimentazione di apparecchi ed impianti di proprietà comune.

La conclusione, di recente ripresa da Sez. 5, n. 29121 del 11/09/2020, Sayad, non massimata, rinviene i propri precedenti in Sez. 2, n. 13551 del 21/03/2002, Venturi, Rv. 221837 – O e Sez. 2, n. 4316 del 26/09/1995 – dep. 26/04/1996, Rullo, Rv. 204758 – 01 e muove dalla premessa che l’energia elettrica sottratta, una volta transitata dal contatore che registra i consumi del condominio, costituisca energia appartenente pro quota anche al condomino che la sottragga; di conseguenza sia costui, sia gli altri condomini, in ragione del comune possesso, tengono una condotta indebitamente appropriativa qualora la consumino nella parte a ciascuno di loro dovuta e la utilizzino al di fuori della stretta sorveglianza degli altri condomini, esercitando, quindi, un autonomo potere dispositivo del bene.

Va sottolineato che le decisioni appena indicate identificano i termini dell’alternativa qualificatoria nel rapporto tra appropriazione indebita e sottrazione di cose comuni di cui all’art. 627 c.p. (oggetto di abrogazione da parte del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lett. d, il cui art. 4 ha delineato uno speculare illecito civile del quale si dirà infra).

  1. Siffatta soluzione non appare persuasiva.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la distinzione tra il delitto di cui all’art. 646 c.p. e i delitti nei quali la condotta ha natura di sottrazione e non di appropriazione risiede nell’esistenza nel primo caso e non nei secondi di un già acquisito ed autonomo potere dispositivo dell’agente sul bene (v., ad es., Sez. 4, n. 54014 del 25/10/2018, Veccari, Rv. 274749 – 0; Sez. 4, n. 10638 del 20/02/2013, Santoro, Rv. 255289 – 0; Sez. 4, n. 23091 del 14/03/2008, Esposito, Rv. 240295 – 0) da identificarsi come potere di fatto che si esercita al di fuori del controllo di chi disponga di un potere giuridico maggiore.

In tema di distinzione tra furto e appropriazione indebita, è pertanto decisiva l’indagine circa l’esistenza di siffatto potere di autonoma disponibilità sul bene.

Se questo sussiste, il mancato rispetto dei limiti in ordine alla utilizzabilità del bene integra il reato di appropriazione indebita; in caso contrario, è configurabile il reato di furto.

D’altra parte, l’autonomo potere dispositivo in questione non è ravvisabile nella semplice esistenza di rapporto materiale con la cosa, determinato da un affidamento condizionato a determinati adempimenti e conseguente ad un preciso rapporto giuridico (ad es., di lavoro), soggetto ad una specifica regolamentazione.

Per questa ragione, si è ritenuto che si configuri il reato di furto e non di appropriazione indebita nel caso del dipendente di una ditta di trasporti che sottragga la merce a lui affidata (Sez. 4, n. 10638 del 20/02/2013 cit.; Sez. 4, n. 23091 del 14/03/2008 cit.) o nel caso dell’impossessamento di diversi elementi di un immobile – quali le porte, i radiatori e un armadio a muro – oggetto di vendita all’incanto, operato dai precedenti proprietari nel periodo in cui, dopo la vendita, erano stati autorizzati dall’acquirente a ritardarne il rilascio (Sez. 4, n. 54014 del 25/10/2018 cit.)

Ora, l’energia della quale i singoli condomini (e, per effetto di eventuali contratti che attribuiscano diritti personali di godimento, anche i conduttori) possono disporre – ossia l’oggetto del potere dispositivo che questi ultimi possono esercitare attivando, con gli interruttori all’uopo predisposti, l’erogazione dell’energia stessa – è l’energia che, transitando attraverso il contatore, serva in concreto le parti comuni o i beni comuni.

Al contrario, la condotta, variamente realizzata, attraverso la quale l’autore riesca a deviare il flusso dell’energia, dopo che essa è transitata dal contatore condominiale, verso gli impianti degli spazi ad uso esclusivo come il proprio appartamento, non si colloca all’interno dell’esercizio del potere dispositivo del quale ciascun condomino è titolare, ma al di fuori di quest’ultimo, come reso palese dal fatto che il risultato è conseguibile solo attraverso modalità di deviazione dell’energia – ossia, attraverso una sottrazione – che non raggiunge affatto gli-spazi condominiali. Su un piano generale, infatti, la condotta appropriativa si realizza quando l’agente dia alla cosa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni del suo possesso (v. già, Sez. U, n. 1 del 28/02/1989, Cresti, Rv. 181792 – 0, in motivazione): ciò che va inteso nel senso di un abuso rispetto al potere dispositivo del quale il soggetto è titolare.

Pertanto, l’energia passata per il contatore condominiale e’, proprio per questo, ossia proprio per la destinazione assunta a servizio delle parti comuni, indisponibile ad un uso privato del condomino che non ne acquisisce l’autonomo possesso e che solo attraverso una condotta di sottrazione, la distrae a proprio esclusivo vantaggio.

La soluzione è confermata dalla ricostruzione dottrinale secondo la quale le nozioni di possesso e detenzione sono illuminate dalle condotte descritte dalle fattispecie incriminatrici, ossia dalle condotte di appropriazione e di sottrazione.

In questa prospettiva, si è osservato che, intanto bisogna ricorrere alla sottrazione per instaurare la signoria di fatto sulla cosa, in quanto: a) altri abbia la disponibilità materiale della stessa; b) l’autore non si trovi nella posizione di consentigli la materiale disponibilità.

Ora, appunto, alla luce delle superiori considerazioni appare evidente che la condotta dell’autore altera la destinazione condominiale dell’energia elettrica impressa per effetto della sua registrazione ad opera del contatore.

La soluzione opposta sovrappone – erroneamente nella prospettiva penalistica qui rilevante – il dato della sottrazione che consente un’autonoma disponibilità dell’energia – prima non esistente – da parte del singolo condomino o locatario con il fatto che, essendo l’energia sottratta dopo che il contatore condominiale ha registrato il consumo, il costo finisce astrattamente per gravare sulla collettività dei condomini (e quindi pro quota anche sull’autore della sottrazione).

Ma questo profilo è un posterius, estraneo alla individuazione dei tratti qualificanti della fattispecie e vale piuttosto ad individuare la persona offesa dal reato.

Peraltro, nel caso di specie, come si dirà subito infra, risulta che le imputate siano mere assegnatarie di alloggi di proprietà dell’ATER, titolare del rapporto contrattuale con l’ente erogatore dell’energia e, oltre che responsabile dell’uso dei beni comuni, destinatario della richiesta di pagamento per i consumi registrati.

Una volta ritenuto che si tratti di illecito non appropriativo, va del pari escluso che venga in rilievo una sottrazione di cose comuni quale delineata dall’abrogato art. 627 c.p. (e oggi, dall’illecito civile delineato dal D.Lgs. n. 7 del 2016, art. 4, comma 1, lett. b): “il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, s’impossessa della cosa comune, sottraendola a chi la detiene, salvo che il fatto sia commesso su cose fungibili e il valore di esse non ecceda la quota spettante al suo autore”).

E ciò innanzi tutto sul versante soggettivo, dal momento che, in difetto di ulteriori specificazioni, le ricorrenti risultano mere assegnatarie degli alloggi e non emerge alcun trasferimento del diritto di proprietà (che solo potrebbe valere ad attribuire loro la qualità di comproprietarie, ai fini del menzionato illecito civile).

Ma anche nel caso del condomino, si osserva che all’applicabilità dell’illecito civile osta il rilievo, puntualmente sottolineato dalla dottrina che si è occupata dell’art. 627 c.p., per il quale quest’ultima fattispecie presuppone che l’agente non abbia la detenzione (nel senso che non si trovi nella materiale possibilità di disporre del bene oggetto di sottrazione), laddove, nel caso di specie, l’autore ha il potere di disporre dell’energia, in quanto servente gli impianti condominiali, e la sottrae in quanto, attraverso la condotta di sottrazione, acquisisce un potere dispositivo del quale prima era privo.

  1. Ciò posto, il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’ I. è inammissibile per manifesta infondatezza.

Posto che la questione dell’esatta identificazione della persona offesa assume rilievo solo in quanto si discuta di un reato procedibile a querela, è sufficiente rilevare che la contestazione della circostanza aggravante della violenza sulle cose, ritenuta dai giudici di merito, trova smentita nella consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale (v., ad es., Sez. 4, n. 3339 del 22/12/2016 – dep. 23/01/2017, Rifici, Rv. 269013 – 0, in motivazione), l’esercizio della violenza sulle cose consiste in una qualsiasi manomissione atta a determinare quanto meno un mutamento della destinazione d’uso della cosa stessa: non e’, quindi, necessaria la rottura o la definitiva inservibilità del bene su cui è stata esercitata la manomissione, essendo sufficiente che l’alterazione rimuova gli ostacoli posti dall’opera dell’uomo a difesa del bene in funzione del suddetto mutamento di destinazione.

  1. Il terzo motivo del medesimo ricorso è inammissibile, in quanto assertivamente e genericamente, senza confrontarsi in alcun modo con i dati istruttori, contesta la fruizione dell’energia elettrica e insiste nell’assenza di prova di una manomissione ad opera dell’imputata (ossia in un profilo privo di rilievo ai fini dell’auspicata esclusione della commissione del fatto, una volta dimostrato che l’appartamento assegnato alla donna era alimentato con l’allaccio abusivo al contatore condominiale).
  2. Il quarto motivo del medesimo ricorso è inammissibile, per l’assorbente ragione che la pena edittale prevista per il furto aggravato si colloca al di fuori dello spettro applicativo dell’art. 131 bis c.p..
  3. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse della D. è inammissibile, per manifesta infondatezza.

Al netto delle questioni già esaminate supra e sottolineata l’assoluta genericità di formulazione della doglianza, deve solo aggiungersi che, in tema di furto di energia elettrica, l’aggravante della violenza sulle cose – prevista dall’art. 625 c.p., comma 1, n. 2, – è configurabile anche quando l’allacciamento abusivo alla rete di distribuzione venga materialmente compiuto da persona diversa dall’agente che si limiti a fare uso dell’allaccio altrui, trattandosi di circostanza di natura oggettiva, valutabile a carico dell’agente se conosciuta o ignorata per colpa, con la conseguenza che la distinzione tra l’autore della manomissione e il beneficiario dell’energia può rilevare, ai fini della configurabilità del reato o della circostanza aggravante, solo nel caso in cui incida sull’elemento soggettivo. (Sez. 4, n. 5973 del 05/02/2020, Mariella, Rv. 278438 – 01).

  1. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascuno delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

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