Massima

La modifica dell’art. 4-bis, comma 1-bis, della Legge penitenziaria, avvenuta con il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, ha reso più difficoltoso l’accesso al permesso premio per i detenuti che non collaborano con l’autorità giudiziaria, in relazione a determinati reati. Ora, sono richiesti ulteriori presupposti, come il pagamento delle obbligazioni civili derivanti dalla condanna o l’impossibilità di adempiere. Inoltre, è stato introdotto un criterio misto per valutare la presunzione legata alla mancata collaborazione, considerando diversi indicatori e stabilendo che la sola buona condotta carceraria o dichiarazioni di dissociazione non siano sufficienti. Tuttavia, la Corte ha sottolineato che, in base ai principi costituzionali, non si può ignorare l’importanza del percorso rieducativo effettivamente compiuto dal detenuto, che può giustificare la concessione del beneficio se adeguatamente rieducato.

 

Supporto alla lettura

ART. 41 BIS E 4 BIS ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Il 41 bis ord.pen. dispone il regime di detenzione speciale del cd. carcere duro che limita in modo significativo i diritti del detenuto, come le visite, le comunicazioni e la possibilità di partecipare ad attività ricreative con l’obiettivo di impedire che i detenuti possano continuare a mantenere contatti con l’esterno, in particolare con i gruppi criminosi di appartenenza. Il 41-bis, viene applicato in presenza di specifici reati indicati proprio dall’articolo della legge penitenziaria in questione. Si tratta, naturalmente, di crimini considerati più gravi a livello legale e sono quelli:
• aventi finalità di terrorismo;
• di associazione a delinquere di stampo mafioso;
• commessi per agevolare l’attività delle associazioni mafiose;
• di riduzione o mantenimento in schiavitù;
• di sfruttamento della prostituzione minorile;
• di tratta di persone;
• di acquisto o alienazioni di schiavi;
• di violenza sessuale di gruppo;
• di sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione;
• di associazione a delinquere per contrabbando di tabacchi lavorati all’estero;
• di associazione a delinquere per traffico di sostanze psicotrope o stupefacenti.

Invece, il 4-bis ord. pen. elenca una serie di reati cd. ostativi e  riguarda le condizioni e i termini per l’accesso ai benefici previsti dalla legge n. 354/1975   per chi è condannato per reati di mafia o terrorismo, in particolare in relazione alla collaborazione con la giustizia. Il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modifiche, dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199, ha novellato l’art. 4-bis ord. pen., prendendo le mosse dall’ord. n. 97 del 2021 (e prima ancora dalla Corte EDU), con la quale la Corte costituzionale ha accertato – senza però dichiararla – l’illegittimità del c.d. ergastolo ostativo, statuendo la necessità di superare l’equazione “mancata collaborazione-pericolosità sociale-divieto assoluto di accesso ai benefici”.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 28 ottobre 2021, il Magistrato di sorveglianza di Napoli aveva concesso un permesso premio della durata di un giorno da fruire presso la parrocchia (omissis) a beneficio di (omissis), detenuto nella Casa di reclusione di Napoli – Secondigliano, in espiazione della pena dell’ergastolo inflitta per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, strage, concorso in omicidio, porto e detenzione di armi da fuoco.

1.1. Avverso tale provvedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli aveva proposto reclamo, rilevando che il Magistrato di sorveglianza non aveva considerato che (omissis) stava espiando la pena inflitta per un reato compreso nell’elenco dell’art. 4 – bis, comma 1, Ord. pen. e che egli non aveva mai prestato collaborazione con la giustizia, né erano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o la possibilità di un loro ripristino, secondo le indicazioni della sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale.

1.2. Con ordinanza in data 7 aprile 2022, il Tribunale di sorveglianza di Napoli aveva accolto il reclamo, rilevando che il detenuto non aveva fornito elementi dai quali desumere la rescissione dei legami con l’associazione mafiosa di appartenenza, né aveva mai chiesto di accertare l’impossibilità della sua collaborazione con la giustizia.

1.3. Con sentenza n. 5954/2023 in data 20 dicembre 2022, la Prima Sezione della Corte di cassazione annullò con rinvio la predetta ordinanza, rilevando che il Tribunale di sorveglianza non si era soffermato sui requisiti di concedibilità del permesso premio, quali l’assenza di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e l’assenza di pericolo di ripristino degli stessi, limitandosi a richiamare i gravi precedenti del detenuto. Inoltre, una volta che il detenuto alleghi circostanze fattuali quali il lungo periodo di carcerazione e la correttezza del percorso intramurario seguito, il Tribunale di sorveglianza sarebbe sempre tenuto a svolgere le relative verifiche, anche esercitando i propri poteri officiosi.

1.4. Con ordinanza in data 12 febbraio 2024, emessa in sede di rinvio, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha accolto il reclamo proposto avverso il provvedimento di concessione del permesso premio, rilevando, in primis, come al di là del lungo periodo detentivo patito, la richiesta di (omissis) non fosse sostenuta da alcuna allegazione circa l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata o di un pericolo del loro ripristino. Inoltre, l’allarmante curriculum criminale del detenuto, destinatario di ben cinque condanne all’ergastolo con isolamento diurno per gravissimi fatti (tra cui vari omicidi, strage e sequestro di persona a scopo di estorsione), commessi tra il 1985 e il 1996, e già capo del mandamento di Cosa Nostra denominato (omissis)., unitamente alla attuale operatività dell’organizzazione mafiosa, attestata da recenti operazioni di polizia dalle quali erano scaturiti numerosi arresti anche di vecchi esponenti del sodalizio (tra cui l’operazione Metus del 12 luglio 2023, che aveva portato all’adozione di una misura cautelare, tra gli altri, di (omissis) classe 49, al vertice della famiglia mafiosa di Partanna Mondello pur dopo un’ultraventennale carcerazione, terminata nel 2015) dovevano ritenersi significativi al fine di affermare l’esistenza di un pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, anche a prescindere dall’epoca di commissione dei reati e dal lungo periodo di carcerazione subita da Bi.. Né potrebbe ritenersi, secondo il Collegio, che il detenuto abbia operato una revisione critica del proprio vissuto criminale o che abbia preso formalmente le distanze dalla cosca di appartenenza, non essendovi alcun riscontro al riguardo.

2. (omissis) ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. (omissis), deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. e dell’art. 30 – ter, Ord. pen. anche in relazione all’art. 27, terzo comma, Cost., nonché la mancanza e contraddittorietà della motivazione, non avendo l’ordinanza effettuato un concreto bilanciamento tra gli elementi connotanti la caratura criminale di (omissis) e il percorso rieducativo portato avanti dal detenuto.

In particolare, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., che il provvedimento di rinvio si sia arrestato alla mera esposizione del curriculum criminale di Bi. (i numerosi ergastoli per gravissimi reati), senza dare seguito alla verifica degli elementi di fatto cui faceva esplicito riferimento la pronuncia rescindente, quali il lungo periodo di carcerazione e la correttezza del percorso intramurario seguito e, soprattutto, indirettamente stigmatizzando la scelta di non collaborare nonostante il ruolo apicale già rivestito, in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte costituzionale, che ha inteso superare la presunzione assoluta di pericolosità sociale del condannato “di prima fascia” collegata alla mancata collaborazione attiva con la giustizia. E in contrasto anche con la finalità rieducativa della pena, posto che la considerazione dei gravi reati commessi finirebbe per impedire un bilanciamento favorevole rispetto a percorsi carcerari positivi, che nel caso in esame sarebbero stati del tutto obliterati, essendosi il Collegio soffermato soltanto sulla mancata allegazione di elementi da cui desumere la rescissione dei legami con la cosca di appartenenza, a configurare una vera e propria probatio diabolica, sostanzialmente insuperabile.

3. In data 6 maggio 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

2. Preliminarmente va ricordato che i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato disposto per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per vizio della motivazione, giacché, mentre nel primo caso il giudice è vincolato al principio di diritto espresso in sede rescindente, restando ferma la valutazione dei fatti accertati nel provvedimento impugnato, nella seconda è investito di pieni poteri di cognizione e può procedere – salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno – a un nuovo esame del compendio probatorio, se del caso addivenendo a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito, con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 5, n. 42814 del 19/06/2014, Cataldo, Rv. 261760 – 01; Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, Montali, Rv. 252333 – 01; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, Gambino, Rv. 248413 – 01).

3. Nel caso di specie, il Giudice del rinvio non si è adeguato ai principi espressi all’esito del giudizio rescindente.

3.1. Con la sentenza n. 253 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 – bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui esso non prevedeva che, alle persone detenute per i delitti di cui all’art. 416 – bis cod. pen. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, potessero essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58 – ter Ord. pen., allorché fossero stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti; e, in via consequenziale, nella parte in cui non prevedeva che alle persone detenute per i delitti ivi contemplati, ma diversi da quelli sopra indicati, potessero essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia ex art. 58 – ter Ord. pen. allorché fossero stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.

A seguito di tale intervento, quindi, la situazione della persona detenuta per reati di cui all’art. 4 – bis, comma 1, Ord. pen., che non avesse intrapreso un percorso di collaborazione, doveva ritenersi oggetto – in tema di permesso premio – di una presunzione relativa di perdurante pericolosità, vincibile soltanto con l’acquisizione di elementi capaci di escludere tanto l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, quanto il pericolo che questi legami potessero essere riannodati.

La giurisprudenza di questa Corte aveva, inoltre, affermato l’illegittimità della decisione che avesse dichiarato l’inammissibilità della richiesta di permesso premio da parte di tale categoria di persone detenute per difetto della specifica allegazione di elementi di prova dell’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e del pericolo del loro ripristino, essendo a tal fine sufficiente l’allegazione di elementi fattuali (quali, ad esempio, l’assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all’opera rieducativa) che, anche solo in chiave logica, fossero idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità sancita dalla legge, potendo, eventualmente, il giudice completare l’istruttoria anche d’ufficio (v. Sez. 1, n. 33743 del 14/07/2021, Marazzotta, Rv. 281764 – 01). Ciò anche tenuto conto del passaggio della sentenza n. 253 del 2019 in cui la Corte costituzionale aveva chiarito che l’istante ha l’onere di indicare la “prospettazione di massima” delle circostanze suffraganti la sua richiesta, spettando poi al Tribunale la decisione finale, alla stregua dell’esame della documentazione e degli atti.

3.2. Dopo la modifica dell’art. 4 – bis, comma 1 – bis, Ord. pen. ad opera del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, il permesso premio può ora essere concesso, anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58 – ter, ai detenuti e agli internati per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, per i delitti di cui agli artt. 416 – bis e 416 – ter cod. pen., per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 – bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, per i delitti di cui all’art. 12, commi 1 e 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e per i delitti di cui all’art. 291 – quater, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e all’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, purché gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta, altresì, la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitone che in quelle della giustizia riparativa.

3.3. Rispetto al quadro normativo e giurisprudenziale delineatosi successivamente alla richiamata pronuncia della Corte costituzionale, dunque, i requisiti per l’accesso al permesso premio si sono ulteriormente arricchiti nel senso che è ora necessario l’avvenuto adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, salvo che l’interessato dimostri l’assoluta impossibilità di tale adempimento. Viceversa, il legislatore non ritiene necessaria “la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitone che in quelle della giustizia riparativa”, la cui esistenza il giudice è, comunque, chiamato ad accertare e che, dunque, può comunque assumere rilievo a fini decisori. Su un piano differente da quello dei requisiti per l’accesso al beneficio si colloca, poi, il giudizio sulla presunzione relativa di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ovvero di pericolo di un loro ripristino; presunzione che il legislatore configura a partire dalla mancata collaborazione con la giustizia del detenuto. In tal caso, gli elementi valutabili ai fini dell’eventuale superamento della presunzione, che devono essere specificamente allegati dall’interessato, sono costituiti dalle “circostanze personali e ambientali”, dalle “ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione”, dalla “revisione critica della condotta criminosa” e da “ogni altra informazione disponibile”. Quest’ultima clausola, peraltro, consente di attribuire rilevanza anche a ulteriori indicatori quali – oltre alle ricordate “iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitone che in quelle della giustizia riparativa” – la “regolare condotta carceraria”, la “partecipazione del detenuto al percorso rieducativo” e la “dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza”; indicatori che, tuttavia, per espressa previsione normativa, non possono consentire, da soli, di superare la presunzione in parola, secondo quanto si evince dal dato testuale, che evidenzia la necessità di allegare, rispetto ad essi, elementi “diversi e ulteriori”.

Dunque, ancora una volta, il legislatore ha confermato l’indicazione, già enunciata dalla giurisprudenza di legittimità, per cui il richiedente deve semplicemente allegare gli elementi di prova in grado di dimostrare l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata o del pericolo di un loro ripristino, ferma restando la possibilità (rectius la doverosità) degli eventuali approfondimenti istruttori da parte dello stesso giudice nell’esercizio dei poteri officiosi conferitigli, in via generale, dall’art. 678 cod. proc. pen. (in argomento v. Sez. 1, n. 48719 del 15/10/2019, Tagacay De Castro, Rv. 277793 – 01, secondo cui, nel procedimento di sorveglianza, non sussiste un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento favorevole, ma soltanto un onere di allegazione, consistente nella prospettazione e indicazione dei fatti sui quali la richiesta si fonda, incombendo poi sul giudice il compito di procedere, anche d’ufficio, ai relativi accertamenti). E nulla disponendo la norma novellata in ordine ai criteri del ragionamento probatorio e dei meccanismi di natura inferenziale che ne stanno alla base, deve ritenersi, ancora una volta, che gli elementi valutabili possano anche essere di natura logica, soprattutto per quanto concerne la dimostrazione di fatti negativi, come l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata (così la già citata Sez. 1, n. 33743 del 14/07/2021, Marazzotta, Rv. 281764 – 01), dimostrabili soltanto attraverso un ragionamento controfattuale.

3.4. Consegue alla richiamata ricostruzione normativa che con l’entrata in vigore della nuova disciplina, le condizioni di accesso al permesso premio sono divenute più gravose rispetto a quelle sussistenti dopo l’intervento della Corte costituzionale, essendosi, da un lato, prevista la necessità di ulteriori presupposti di ammissibilità della domanda (ovvero “l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici”) ed essendo stato codificato, dall’altro lato, un criterio misto per il giudizio sulla presunzione relativa conseguente alla mancata collaborazione; criterio che, accanto alla individuazione di taluni indicatori valutabili, contempla anche la regola legale della insufficienza di alcuni di essi (ovvero la “regolare condotta carceraria”, la “partecipazione del detenuto al percorso rieducativo” e la “mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza”).

A fronte della introduzione di una disciplina, comunque, più rigorosa per l’accesso al beneficio de quo, la cui immediata applicabilità alle procedure pendenti costituisce piana applicazione del principio tempus regit actum più volte affermata dalla giurisprudenza (ex plurimis Sez. 1, n. 38278 del 20/04/2023, Perrone, Rv. 285203 – 01), deve ribadirsi, sulla scorta di un consolidato indirizzo della giurisprudenza costituzionale, ricordato dalla stessa pronuncia rescindente (v. pag. 7), che “non è tuttavia consentito al legislatore disconoscere il percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio” (così Corte costituzionale, sentenza n. 32 del 2020). In una ipotesi siffatta, invero, l’intervento normativo si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e del finalismo rieducativo della pena (artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.), poiché “negare, a chi si trovi nella posizione di quel condannato, la concessione del beneficio, equivarrebbe a disconoscere la funzione pedagogico – propulsiva del permesso premio (sentenza n. 253 del 2019), quale strumento idoneo a consentirne un suo iniziale reinserimento nella società, in vista dell’eventuale concessione di misure alternative alla detenzione, in assenza di gravi comportamenti che dimostrino la non meritevolezza del beneficio nel caso concreto (sentenza n. 504 del 1995; nello stesso senso, sentenze n. 137 del 1999 e n. 445 del 1997)” (così, ancora, Corte costituzionale, sentenza n. 32 del 2020).

4. Alla stregua di quanto precede, deve ritenersi che l’ordinanza impugnata non abbia emendato i vizi rilevati già in sede rescindente.

Sotto un primo profilo va osservato che il Tribunale di sorveglianza ha sostanzialmente compiuto, pur senza enunciarlo, il preliminare scrutinio in ordine alla circostanza che, al momento del sopravvenire della disciplina di maggiore rigore, (omissis) avesse già raggiunto un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio, sicché in base al principio della ed. non regressione trattamentale egli potesse esservi ammesso alla stregua della normativa vigente anteriormente, quale ridisegnata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019.

Tuttavia, sotto altro aspetto, nella sostanza l’ordinanza impugnata ha nuovamente omesso di valutare il percorso inframurario del detenuto, pur improntato alla partecipazione al trattamento, con una condotta irreprensibile, una costante attenzione alla formazione scolastica, un atteggiamento propositivo rispetto a una serie di progetti extracurriculari; e rispetto al quale il Tribunale avrebbe dovuto operare un concreto bilanciamento con quanto emergente dalla biografia criminale dell’istante, valutando anche le allegazioni difensive, secondo cui i reati per cui è condanna erano risalenti nel tempo, (omissis) sarebbe rimasto estraneo a vicende processuali successive, gli sarebbe stato, da tempo, revocato il regime differenziato di cui all’art. 41 – bis Ord. pen., le sue missive non sarebbero mai state sottoposte a sequestro per fini precauzionali, mentre i colloqui si sarebbero limitati al nucleo familiare. Invero, di fatto, l’ordinanza impugnata ha nuovamente motivato il rigetto del reclamo essenzialmente sulla scorta della (peraltro rilevante) gravità dei reati per cui è stato condannato, oltre che della mancanza di un’idonea giustificazione dell’omessa collaborazione con la giustizia. E la mancata collaborazione è, a sua volta, l’elemento sulla base del quale parrebbe essere affermata, da parte degli organi inquirenti e di polizia, la mancata rottura dei rapporti con il contesto criminale di provenienza, su cui l’ordinanza basa la ritenuta attualità del pericolo di un ripristino dei collegamenti con il sodalizio mafioso di appartenenza. Una modalità argomentativa che, tuttavia, concretizza una sostanziale assolutizzazione del ruolo della mancata collaborazione e del curriculum criminale del richiedente e, correlativamente, della presunzione di pericolosità che essa sostiene, in chiaro conflitto con le indicazioni della Corte costituzionale nella sentenza n. 253 del 2019. Sul punto, del resto, anche l’affermazione della mancanza di elementi da cui desumere la maturazione di una rivisitazione critica dei propri vissuti appare solo apoditticamente enunciata, ma non collocata nell’ambito di una adeguata descrizione dell’osservazione scientifica della personalità, che la lunghissima detenzione avrà certamente consentito di esperire, ma i cui esiti non sono stati affatto riportati.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di sorveglianza di Napoli. In sede rescissoria, il Giudice del rinvio manterrà intatto il suo potere valutativo, che gli consentirà di addivenire alla soluzione di merito ritenuta più corretta, ma dovrà, comunque, compiere la necessaria comparazione tra il percorso detentivo e la biografia criminale del detenuto oltre a valutare l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata o il pericolo di un loro ripristino alla luce degli elementi anche di natura logica indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 253 del 2019.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Napoli.Così deciso il 28 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria il 4 settembre 2024.

Allegati

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