Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 13 giugno 2022, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva ritenuto (omissis), (omissis) e (omissis), colpevoli dei delitti di atti persecutori (capo A), di lesioni personali (capo B) e di tentata violenza privata (capo C), consumati ai rispettivi danni dei vicini di casa (omissis), (omissis) ed (omissis), (tutti persone offese dei reati sub A e C, la sola (omissis), anche del delitto sub B), irrogando loro le pene indicate in dispositivo e condannandoli a risarcire i danni cagionati alle predette parti civili.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di gravame, la Corte d’appello osservava quanto segue.
Dalle concordanti dichiarazioni delle persone offese (le rilevate antinomie del loro narrato avevano riguardato solo aspetti secondari della complessiva vicenda) era emerso come gli odierni imputati avessero posto in essere molestie e minacce di ogni sorta al fine di rendere la loro permanenza nella loro abitazione insopportabile.
Infatti, (omissis) e (omissis) in particolare, che dimoravano nell’appartamento soprastante a quello delle persone offese, li avevano tormentati con continui schiamazzi e rumori, non altrimenti giustificati, mentre la (omissis) li aveva molestati con i latrati dei propri cani e danneggiandone l’antenna della televisione.
Fra i tanti, si erano verificati anche due episodi connotati da particolare aggressività: il (omissis), (omissis), istigato da (omissis) ed (omissis), aveva picchiato violentemente sulla porta d’ingresso dell’abitazione delle persone offese, finendo per danneggiarla; il (omissis), avevano bruciato il campanello dell’appartamento posto all’esterno della porta d’entrata dell’abitazione delle medesime.
Più volte erano state danneggiate le autovetture delle persone offese ed erano stati esplosi dei fuochi d’artificio nei pressi del loro balcone. Quotidiani erano gli insulti e le minacce.
Tutte le descritte condotte avevano certamente causato lo stato d’ansia e di timore per l’incolumità propria e dei propri familiari denunciato dalle persone offese, tanto da indurle, fra l’altro, ad installare un cancello in metallo davanti alla porta di ingresso del loro appartamento. (omissis) poi, per il disdoro ed il timore che ne era derivato, aveva anche cessato di recarsi nel precedente luogo di lavoro, mutando così occupazione.
Le dichiarazioni, sempre concordanti, delle persone offese costituivano anche un adeguato fondamento probatorio per gli ulteriori reati ascritti agli imputati, di lesioni personali e di tentata violenza privata.
2. Propongono ricorso tutti gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.
2.1. Gli Avv.ti (omissis) e (omissis), per (omissis), deducono, con l’unico motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputata per il delitto di atti persecutori.
Posto che le condotte contestate consistevano soprattutto in rumori molesti provenienti dall’appartamento immediatamente soprastante a quello occupato dalle persone offese, la prevenuta non poteva essere chiamata a risponderne, abitando ella due piani sopra.
La sola partecipazione della ricorrente ai due episodi altrimenti citati, del (omissis), non concretava quella continuità d’azione che il reato contestato presuppone.
Non si erano poi adeguatamente distinte le condotte consumate dai vari imputati.
2.2. L’Avv. (omissis), per (omissis) e (omissis), articola tre motivi di ricorso.
2.2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dei ricorrenti per tutti i reati loro ascritti.
La Corte d’appello si era limitata a richiamare quanto affermato dal Tribunale trascurando così quanto dedotto nell’atto di appello.
In particolare, quanto ai possibili eventi del reato di atti persecutori, si erano evidenziate le plurime contraddizioni in cui erano incorse le persone offese nel riferire quanto loro derivato dalle consumate condotte.
Contraddizioni che, nel ricorso, venivano riportate.
Anche in riferimento alla ritenuta responsabilità dei ricorrenti in ordine ai residui delitti, la Corte si era limitata a richiamare quanto argomentato dal primo giudice.
2.2.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata derubricazione dei fatti ascritti ai ricorrenti nella gradata ipotesi di cui all’art. 660 c.p..
2.2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in riferimento alla mancata riduzione della pena tenendo conto della incensuratezza degli imputati e della occasionalità della loro condotta.
3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto (omissis), ha concluso, con nota scritta, per l’inammissibilità del ricorso.
I ricorsi presenti nell’interesse degli imputati sono tutti inammissibili.
1. L’unico motivo dedotto nel ricorso di (omissis) ed il primo ed il secondo motivo del ricorso comune a (omissis) e a (omissis) – spesi sulla ritenuta colpevolezza dei medesimi in ordine ai reati come loro ascritti – sono interamente versati in fatto e non tengono così conto dei limiti del sindacato demandato alla Corte di cassazione che è deputato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, così da non consentire la riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
2. La Corte territoriale, infatti, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva considerato come, alla luce della complessiva ricostruzione delle numerose molestie consumate dai prevenuti a danno dei querelanti (non certo nelle sole due occasioni le cui date erano state specificamente riportate in sentenza e che avevano comunque visto la fattiva compartecipazione della (omissis) che pur non dimorava nell’appartamento immediatamente soprastante a quello occupato dalle persone offese), doveva confermarsi la penale responsabilità di tutti gli imputati per il contestato delitto di atti persecutori.
Quanto al concorso nel delitto della (omissis) la consapevole partecipazione della stessa alle due condotte partitamente considerate dai giudici del merito non escludeva, ed anzi confermava, la commissione degli ulteriori atti vessatori dalla medesima personalmente attribuiti dai giudici del merito.
Quanto, poi, all’evento del reato, l’installazione di un ulteriore chiusura in metallo a protezione della propria abitazione costituiva un evidente riscontro oggettivo allo stato di grave ansia e timore, per l’incolumità propria, che tali continue vessazioni (del resto finalizzate ad ottenere un forzato abbandono da parte dei querelanti della loro abitazione) avevano loro ingenerato.
Tutto quanto testè ricordato aveva impedito alla Corte d’appello di pervenire alla invocata alla derubricazione del fatto nel gradato reato punito dall’art. 660 c.p..
2. Anche il terzo motivo del ricorso (omissis) e (omissis) è manifestamente infondato posto che, certo, non poteva ritenersi la loro condotta connotata dall’invocata occasionalità (in specie quella che aveva dato luogo alla condanna per il delitto di atti persecutori) e che, comunque, la pena irrogata era prossima al minimo edittale ed aveva trovato congrua giustificazione anche nell’ulteriore verifica compiuta dalla Corte d’appello, in risposta ad analoga censura, considerando altresì la condizione disabilità di una delle persone offese.
3. All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando i medesimi in colpa, della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2023
