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Cassazione penale sez. V, 04/02/2020, n.8449

Massima

In tema di uccisione o maltrattamento di animali, la crudeltà si identifica con l’inflizione all’animale di gravi sofferenze per mera brutalità, mentre la necessità si riferisce ad ogni situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno a sé o ad altri o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga non altrimenti evitabile.

Supporto alla lettura

UCCISIONE O MALTRATTAMENTO DI ANIMALI 

In materia di tutela penale degli animali, come fattispecie delittuose di maggior rilievo, si segnalano i reati di uccisione e di maltrattamento di animali (artt. 544-bis e 544-ter).

Art.544-bis-Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni

Art.544-ter-Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale.’

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 luglio 2019, la Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del 19 ottobre 2017 del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Lanusei, che, all’esito del giudizio celebrato nelle forme del giudizio abbreviato, aveva condannato alla pena di giustizia:

1) (omissis) per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, (così riqualificati i fatti di cui al capo A); di cui all’art. 544-bis c.p. (così riqualificati i fatti di cui al capo D); di cui all’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., nn. 2 e 5 (così riqualificati i fatti di cui al capo E);

2) (omissis) per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, (così riqualificati i fatti di cui al capo A), riconosciuta a suo carico la contestata recidiva;

3) (omissis) per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, (così riqualificati i fatti di cui al capo M).

2. Ricorrono tutti gli imputati, per il tramite del comune difensore.

2.1. Nell’interesse di (omissis) sono articolati sette motivi, enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. c.p.p..

I. Violazione dell’art. 110 c.p., in riferimento al contributo causalmente efficiente offerto dal ricorrente allo spaccio di sostanze stupefacenti posto in essere dall’ U., atteso che le prove a disposizione avrebbero soltanto dato conto della sua passiva presenza al detto traffico e non, invece, di una sua qualsivoglia attività, materiale o morale, idonea a rendere almeno più agevole la realizzazione del delitto da parte del compartecipe.

Violazione dell’art. 114 c.p., deponendo sia il contesto nel quale ebbero a realizzarsi le cessioni illecite di stupefacenti che gli accertati rapporti di subalternità del S. rispetto all’ U. per un contributo di minima importanza dal primo offerto alla consumazione delle condotte delittuose.

III. e IV. Violazione dell’art. 597 c.p.p. e dell’art. 544-ter c.p.. La Corte territoriale avrebbe operato un’illegittima reformatio in peius della statuizione pronunciata dal Tribunale quanto al capo D), che aveva addebitato al S. il delitto di cui all’art. 544-ter c.p. (Maltrattamento di animali) e non quello di cui all’art. 544-bis c.p. (Uccisione di animali); infatti, in assenza di appello del Pubblico Ministero sulla statuizione di condanna per il delitto di cui all’art. 544-ter c.p., aveva riqualificato il fatto in termini più gravi, pur lasciando inalterata la pena inflitta dal Gup, sebbene il detto punto della decisione non gli fosse stato devoluto in quanto neppure l’imputato aveva fatto questione sulla qualificazione giuridica del reato contestato al capo D).

Il giudice censurato avrebbe fatto, in ogni caso, mal governo della norma di cui all’art. 544-bis c.p., posto che l’uccisione dei due cani si era resa necessaria per neutralizzare il pericolo rappresentato dai cani stessi, che avevano, a loro volta, ucciso tre pecore nella disponibilità dell’ U..

V. Vizio di motivazione, quanto al capo D), da travisamento della specifica informazione processuale offerta dal verbale di visione delle immagini trasmesse dalla telecamera brandeggiata, redatto dal personale del Commissariato di P.S. di Tortolì in data 7 agosto 2011, atteso che dall’esame delle immagini cui si riferisce il verbale menzionato non si evincerebbero nè le modalità dell’uccisione dei cani, nè elementi comprovanti che la loro morte era l’effetto della condotta di S. o di altri.

VI. Vizio di motivazione, quanto al capo E), in ordine alle incongruenze presenti nell’informativa conclusiva del Commissariato di P.S. di Tortolì in relazione alla precisa localizzazione dell’autovettura dell’ U., mediante il dispositivo GPS sulla stessa collocato, per tutto il tempo di svolgimento dell’attività investigativa.

VII. Violazione degli artt. 62-bis e 133 c.p. e vizio di motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, in ragione del fatto che gli stessi elementi (molteplicità delle condotte contestate e capacità a delinquere del S.), valutati ai fini della dosimetria della pena non potevano essere, al tempo stesso, ritenuti indici ostativi al riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 62-bis c.p..

2.2. Nell’interesse di N.G. sono articolati tre motivi, enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. c.p.p..

I. Vizio di motivazione, in riferimento alla prova inferenziale della cessione continuata di sostanze stupefacenti ascritta al ricorrente al capo A), deducendosi che le intercettazione ambientali n. 2785, 4744, 4745 e 4748, RIT 105/2011 non potrebbero essere considerate rappresentative di fatti noti certi, capaci di supportare il ragionamento logico deduttivo effettuato dai giudici di merito per giungere all’affermazione della responsabilità del imputato, non essendo neppure sicura la sua identificazione.

II. Violazione dell’art. 99 c.p., comma 2, e vizio di motivazione, avendo i giudici di merito riconosciuto in capo al N. la contesta recidiva per la sola esistenza a suo carico di precedenti penali, senza nulla argomentare in ordine all’essere il nuovo fatto delittuoso concreta espressione della maggiore capacità a delinquere acquisita dall’imputato per effetto della pregressa carriera criminale.

III. Violazione degli artt. 62-bis e 133 c.p. e vizio di motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, stimato illegittimo in quanto fondato sull’apprezzamento della rilevante capacità a delinquere dell’imputato, rimasta, tuttavia, indimostrata.

2.3. Nell’interesse di (omissis) vengono articolati due motivi, parimenti enunciati nei limiti stabiliti dall’art. 173 disp. att. c.p.p..

I. Vizio di motivazione, in riferimento alla statuizione di responsabilità per il delitto di cui al capo M), le intercettazioni ambientali (n. 3404 e 2793) non offrendo alcun elemento idoneo nè ad identificare con certezza nel L. uno dei conversanti, nè a verificare se la sostanza stupefacente fosse effettivamente dotata di efficacia drogante.

Violazione degli artt. 62-bis e 133 c.p. e vizio di motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, stimato illegittimo in quanto fondato sul travisamento del certificato del casellario giudiziale del L., non riportante condanne nè per il delitto di omicidio colposo nè per porto di armi.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.

1. Stima il Collegio che l’omogeneità delle questioni sollevate dai ricorrenti renda opportuna una trattazione unitaria dei motivi di ricorso che ad esse si riferiscano, pur se articolati in riferimento alle singole posizioni, onde evitare inutili ripetizioni argomentative.

2. Declinano questioni sulla responsabilità per i delitti loro ascritti tutti gli imputati.

2.1. (omissis), con il primo motivo dei rispettivi ricorsi, contestano l’esistenza della prova della loro responsabilità per i delitti di detenzione e cessione di sostanza stupefacente di cui al capo A) – quanto al S. e al N. – e di cui al capo M – quanto al L.-.

Tutti i rilievi censori formulati, compresi quelli riguardanti il vizio di qualificazione della condotta del S. nei termini del concorso punibile ex art. 110 c.p., risultano, invero, inammissibili, in quanto, a fronte di una motivazione che dà conto, nei limiti della plausibile opinabilità di apprezzamento, della non incongrua valutazione da parte della Corte di appello dei risultati delle intercettazioni ambientali, si appalesano come volti a sollecitare un’alternativa rivisitazione dei contenuti delle stesse, non consentita in sede di legittimità.

Sul punto vale richiamare il pacifico principio di diritto secondo il quale, in materia di intercettazioni, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea e altri, Rv. 268389; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784).

Prive di effettiva valenza disarticolante della motivazione contrastata risultano, poi, le doglianze circa il corretto utilizzo del procedimento inferenziale e la sicura identificazione degli interloquenti, sviluppate nell’interesse di N., e circa l’efficacia drogante della sostanza stupefacente cui si accenna nelle intercettazioni ambientali, sviluppate nell’interesse di L., avendo la Corte territoriale ampiamente richiamato gli specifici elementi in fatto attestanti il certo riferimento a sostanza stupefacente, alla qualità di essa, e alla sicura identificazione degli interloquenti nella persona degli imputati; indicazioni non efficacemente contrastate dai ricorrenti mediante la specifica ed autosufficiente allegazione di decisivi elementi di prova di segno contrario.

Nondimeno, tenuto conto che è jus receptum che, ai fini dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconoscimento e tale valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se correttamente motivata (Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, De Cicco e altri, Rv. 269900; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, Cataldo e altri, Rv. 252712; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta e altri, Rv. 239725; Sez. 6, n. 24438 del 06/05/2005, Musiu e altri, Rv. 231856), i ricorrenti, nel contestare la loro identificazione, non hanno neppure correttamente adempiuto all’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013 – dep. 20/03/2014, Amato e altri, Rv. 259478).

2.2. Il terzo e il quarto motivo del ricorso nell’interesse di S., nell’attingere la statuizione di conferma dell’affermata responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo D) della rubrica, deducono questioni manifestamente infondate.

Tale è quella che si riferisce alla reformatio in pejus cui il giudice di appello avrebbe dato corso riqualificando il fatto di cui al capo D), contestato nei termini del meno grave delitto di maltrattamento di animali, di cui all’art. 544-ter c.p., nel delitto di uccisione di animali, di cui all’art. 544-bis c.p..

Al riguardo occorre considerare che il Tribunale, nella motivazione sul detto capo (pag. 11 della sentenza di primo grado), aveva affermato: “Non potersi dubitare che la condotta, così come accertata, sia riconducibile nell’alveo di cui alla fattispecie prevista dall’art. 544-bis e non dell’art. 544-ter”, per essere: “l’azione dei due soggetti… indirizzata e finalizzata sin da subito all’eliminazione fisica dei due cani, non certo al maltrattamento fine a sè stesso”. Ciò sta a denotare che, al di là dell’omessa indicazione in dispositivo dell’operata riqualificazione del fatto, la volontà decisoria del Tribunale era quella di condannare il S. per il delitto di cui all’art. 544-bis c.p. e non per il delitto di cui all’art. 544-ter c.p., senza tra l’altro che da tale riqualificazione sia derivato all’imputato alcun effettivo pregiudizio, essendogli stata irrogata una pena (di mesi quattro di reclusione, pur tenuto conto della riduzione per il rito prescelto) ampiamente compatibile con i limiti edittali del reato di cui all’art. 544-ter c.p., avuto riguardo altresì all’aggravante di cui al comma 3 detto articolo (legittimamente contestata in fatto) della morte dell’animale maltrattato. Nè, d’altro canto, il ricorrente si è in alcun modo doluto della ridetta operata riqualificazione con l’atto di gravame, posto che, nell’incipit del motivo sviluppato sul capo D) (pag. 3 dell’atto di appello del 28 marzo 2018) ha dato per scontato che il GUP avesse ritenuto: ” S.P. colpevole del reato contestatogli al capo D) – riqualificato nel reato previsto dall’art. 544-bis c.p. -“, tanto da avere articolato rilievi in diritto soltanto con riferimento all’esistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 544-bis c.p., come si desuma dalle deduzioni critiche circa il fatto che: “L’uccisione dei cani fosse avvenuta per crudeltà e senza necessità”.

Quanto sin qui riferito rende ragione dell’insussistenza della denunciata violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 3.

Del pari destituita di giuridico fondamento è la questione relativa all’asserito malgoverno della norma incriminatrice di cui all’art. 544-bis c.p., con particolare riferimento agli elementi costitutivi della crudeltà e della necessità dell’uccisione degli animali.

Premesso che il delitto di cui all’art. 544-ter c.p. è integrato dal fatto di cagionare, per crudeltà o senza necessità, una lesione ad un animale ovvero di sottoporlo a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, con la previsione di un aumento di pena ove dalle indicate situazioni derivi la morte dell’animale, mentre il delitto di cui all’art. 544-bis c.p. è integrato dal fatto di cagionare, per crudeltà o senza necessità, la morte di un animale, va chiarito che ricorre l’ipotesi di cui all’art. 544-ter c.p., comma 3, che rientra nella categoria dei cd. reati aggravati dall’evento, ove la morte dell’animale, ancorchè costituisca una conseguenza prevedibile della condotta dell’agente, non sia riferibile ad un comportamento volontario e consapevole dello stesso, mentre ricorre la fattispecie di cui all’art. 544-bis c.p., laddove si accerti, invece, che l’agente ha agito con la volontà, diretta o anche solo eventuale, di cagionare la morte dell’animale. Da ciò consegue la correttezza dell’operata sussunzione del fatto commesso dall’imputato, siccome accertato dai giudici di merito e ben lumeggiato dal Tribunale, entro lo schema del delitto di uccisione di animali.

Quanto ai requisiti, comuni alle due fattispecie, della crudeltà e dell’assenza di necessità della lesione o della morte dell’animale, può sostenersi, con la dottrina, che la crudeltà si identifica con l’inflizione all’animale di gravi sofferenze per mera brutalità, mentre, con la pacifica giurisprudenza di questa Corte, che la “necessità” si riferisce ad ogni situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile (Sez. 3, n. 49672 del 26/04/2018, B, Rv. 274075; Sez. 3, n. 50329 del 29/10/2015, Vitali, Rv. 268646). Il che sta a significare che di certo non può parlarsi della necessità di uccidere gli animali, evocata dal ricorrente, e sussiste, invece, anche la crudeltà, ove sia accertato – come nel caso al vaglio – che gli animali uccisi (i due cani) non avessero messo in pericolo l’incolumità di persone e di ulteriori beni dell’imputato o di chi per lui, essendo stati soppressi senza ragione o, comunque, dopo aver compiuto l’ipotetico misfatto (l’uccisione di tre pecore), vale a dire in un momento ed è, questa, circostanza ampiamente chiarita dai giudici di merito – in cui non sussisteva più l’attualità del pericolo.

2.3. Il quinto motivo del ricorso nell’interesse di S. è inammissibile, in quanto deduce il travisamento della presunta prova dell’uccisione dei cani da parte del ricorrente – il verbale delle operazioni di visione da parte della polizia giudiziaria delle immagini captate dalla telecamera brandeggiata – senza assolvere all’onere di autosufficienza del ricorso e, peraltro, finendo per declinare un errore di fatto – segnatamente tra quanto riportato dagli operanti e quanto visibile dalle immagini captate non scrutinabile in questa sede.

2.4. Il sesto motivo del ricorso nell’interesse dello stesso S., nello sviluppare doglianze in punto di valutazione della prova posta a fondamento della statuizione di responsabilità per il delitto di cui al capo E) – furto aggravato di utensili ed attrezzature da un ristorante – ripropone, tout court, il contenuto dei rilievi di gravame, contestando genericamente, senza, cioè, confrontarvisi criticamente, le argomentazioni addotte dal Tribunale a sostegno del rigetto della proposta impugnazione. Ciò ne comporta l’inammissibilità, tale essendo la sanzione che colpisce il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti nel precedente grado e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838; in termini Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970).

3. Le questioni in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio sollevate da tutti gli imputati sono manifestamente infondate o sviluppano questioni non consentite nel giudizio di legittimità.

3.1. Il secondo motivo nell’interesse di S. è privo di giuridico pregio.

La motivazione rassegnata dalla Corte territoriale a corredo del diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., esclusa in ragione dell’essere l’imputato: “l’uomo di fiducia” dell’ U., in quanto tale incaricato di preparare e di consegnare le dosi agli acquirenti, dà conto del pieno allineamento della stessa alla giurisprudenza di questa Corte, costante nell’affermare che:” In tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione (art. 114 c.p.), non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell'”iter” criminoso” (Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012 – dep. 09/01/2013, Modafferi e altro, Rv. 254051).

3.2. Il secondo motivo del ricorso nell’interesse di N. è generico.

La motivazione in punto di conferma della contestata e ritenuta recidiva di cui all’art. 99 c.p., comma 2, in capo al ricorrente, non è affatto fondata su una acritica valorizzazione dei precedenti penali dell’imputato, ma fa leva sull’essere i fatti di cessione di sostanza stupefacente, di cui è stato riconosciuto colpevole, espressione, in ragione della loro gravità, di una chiara propensione a delinquere già in precedenza manifestatasi.

3.3. Il settimo motivo del ricorso nell’interesse di S., il terzo motivo del ricorso nell’interesse di N. e il secondo motivo del ricorso nell’interesse di L., declinando censure in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche in loro favore, sono inammissibili, vuoi per manifesta infondatezza, vuoi per patente genericità.

Il motivo nell’interesse di S. è declinato in spregio al pacifico principio di diritto secondo il quale:” Ai fini della determinazione della pena, il giudice può valutare la gravità del fatto e la personalità dell’imputato, già prese in considerazione ai fini della valutazione sulla configurabilità o meno delle circostanze attenuanti generiche, in quanto legittimamente lo stesso elemento può essere rivalutato in vista di una diversa finalità” (Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013 – dep. 13/01/2014, Debbiche Helmi e altri, Rv. 258011), “ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del “ne bis in idem”” (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, P.G., Rechichi e altri, Rv. 264378).

Il motivo nell’interesse di N. risente della stessa genericità, che inficia quello, dedotto sempre nel suo interesse, in punto di riconoscimento della recidiva ex art. 99 c.p., comma 2, cui espressamente si richiama.

Il motivo nell’interesse di L. è generico, poichè articolato senza tener conto che dal certificato del casellario giudiziale in atti risultano a suo carico plurimi precedenti penali per violazioni della disciplina degli stupefacenti, per reati contro il patrimonio e per reati contro la fede pubblica.

4. S’impone, pertanto, la declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi, cui consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2020

Allegati

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