Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 8.10.2024, il Tribunale di Massa, ha dichiarato (omissis) colpevole dei reati a lui ascritti (di cui agli artt. 635 e 612-bis cod. pen.), e, su richiesta dell’imputato, ha sostituito, ex art. 56-bis L. 689/81 e succ. mod., la pena inflitta di anni uno e mesi otto di reclusione con quella del lavoro di pubblica utilità.
2. Avverso la suindicata sentenza, ha proposto appello l’imputato, tramite il difensore di fiducia, dinanzi alla Corte di appello di Genova, deducendo i seguenti quattro motivi.
2.1. Col primo motivo, impugna la decisione, in relazione a tutti i capi di imputazione, per insussistenza del fatto. In particolare, si lamenta che la deposizione della persona offesa, tutt’altro che credibile, è rimasta priva di riscontri in relazione all’aggressione del 24 Marzo 2023, oltre che in riferimento agli episodi di danneggiamento ritenuti provati nonostante non vi fosse alcun elemento da cui inferire l’imputabilità all’imputato degli stessi, e nonostante fosse emersa una sequenza dei fatti che mal si concilia con l’attribuzione di essi al predetto. Lo stesso è a dirsi con riferimento all’asserita aggressione e all’asserito danneggiamento del veicolo del 28 Marzo 2023 dal momento che in tal caso la querelante è stata totalmente smentita dall’amica, unica testimone presente ai fatti.
2.2. Col secondo motivo impugna la decisione, in relazione a tutti i capi di imputazione, con riferimento alla quantificazione della pena, lamentando la violazione degli articoli 62-bis e 133 cod. pen. In particolare, si lamenta che il giudice non ha tenuto conto dell’incensuratezza dell’imputato, della parziale confessione dei fatti ascrittigli, della resipiscenza, avendo scritto una lettera di scuse alla persona offesa, del movente della gelosia.
2.3. Col terzo motivo impugna la decisione, in relazione a tutti i capi di imputazione, deducendo la violazione degli articoli 163 e seguenti, cod. pen., affermando la sussistenza di elementi idonei a fondare un giudizio di non recidivanza.
2.4. Col quarto motivo impugna la decisione, in relazione a tutti i capi di imputazione, deducendo la violazione dell’art. 175 cod. pen. per difetto assoluto di motivazione riguardo al benefico della non menzione.
3. La Corte di appello di Genova, con ordinanza emessa il 25.3.2025, ha rilevato, ex art. 593, comma 3, cod. proc. pen., la inappellabilità della sentenza emessa dal Tribunale di Massa, avendo, essa, applicato la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, e ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciarsi sull’appello proposto avverso la stessa, ha altresì disposto, ex art. 568, comma 5, cod. proc. pen., sul presupposto che tra i motivi di appello potessero esservi alcuni riconducibili alle previsioni di cui all’art. 606 cod. proc. pen., la trasmissione degli atti a questa Corte di cassazione, “ove ravvisi la possibilità di qualificare l’appello come ricorso per cassazione”.
4. Pervenuti gli atti in cassazione, è stata fissata l’odierna udienza dinanzi a questa Quinta Sezione, competente per materia, indi le parti, in assenza di richiesta di trattazione orale, hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.
Motivi della decisione
1. L’impugnazione proposta nell’interesse di (omissis), qualificabile come ricorso per cassazione per le ragioni già indicate dalla Corte di appello di Genova, è fondata limitatamente alla non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen.; essa è infondata nel resto, con tratti di evidente inammissibilità.
1.1. Preliminarmente si osserva che la Corte territoriale ha correttamente ritenuto l’inappellabilità della sentenza di primo grado che aveva sostituito la pena detentiva irrogata con quella del lavoro di pubblica utilità, facendo applicazione del disposto normativo di cui all’art. ex art. 593, comma 3, cod. proc. pen. Indi, si è, altrettanto correttamente, limitata, in luogo di dichiarare l’inammissibilità dell’appello, a trasmettere gli atti a questa Corte affinché valutasse se l’impugnazione potesse essere qualificata come ricorso per cassazione.
Ed invero, anche di recente è stato ribadito l’orientamento – che si va oramai definitivamente consolidando, e che questo Collegio condivide anche alla luce dell’imprinting che ha, a monte, ricevuto dalle Sezioni Unite di questa Corte – secondo cui in tema di impugnazioni, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice adito, prescindendo da qualunque analisi valutativa in ordine all’indicazione della parte, deve limitarsi, a norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, quindi, a trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente (cfr. da ultimo, Sez. 5, Sentenza n. 42578 del 27/09/2024, Prencipe, Rv. 287234 – 02, che in motivazione ha anche precisato, tenuto conto del difforme principio affermato da Sez. U, n. 16 del 1997, dep. 1998, Rv. 209336-01, che in tema di giudizio di legittimità, nel caso di successione di decisioni contrastanti delle Sezioni Unite della Corte di cassazione intervenute sul medesimo tema, il precedente vincolante, ai sensi dell’art. 618 comma 1-bis cod. proc. pen., deve essere individuato nella sentenza pronunciata per ultima in ordine temporale, la quale prevale su quelle anteriori – nel caso di specie Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221, che, confrontandosi con la opposta statuizione di Sez. U, Rv. 209336-01 del 1997, suindicata, esclude la necessità di compiere una “indagine introspettiva” sulla “reale volontà della parte impugnante” e, dunque sui “riflessi pregiudizievoli che derivavano all’ammissibilità dell’impugnazione dalla deliberata scelta di un mezzo non consentito dalla legge”. Nel medesimo solco, Sez. U, n. 45372 del 31/10/2001, De Palma, non massimata, nonché Sez. 5, Sentenza n. 35796 del 13/07/2023, Rv. 285134 – 02; Sez. 5, Sentenza n. 313 del 20/11/2020, dep. 07/01/2021, Rv. 280168 – 01).
Passando quindi a valutare l’atto di impugnazione proposto avverso la sentenza del Tribunale di Massa, si osserva che vertendosi nel caso di sentenza inappellabile l’impugnazione non è qualificabile come ricorso per saltum sicché essa va valutata con riferimento a tutti i vizi di cui all’art. 606 cod. proc. pen. esperibili in caso di ricorso per cassazione.
Ciò posto, si devono rammentare i limiti che contraddistinguono la valutazione di legittimità, dal momento che il disposto normativo di cui all’art. 606 del codice di rito nell’enunciare i vizi che possono essere fatti valere col ricorso per cassazione pone delle indicazioni precise al riguardo, che sono state oggetto di puntale interpretazione da parte di questa Corte oramai assurta a diritto vivente.
Ed infatti, è noto che l’orizzonte di verifica della Corte di cassazione è circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l’interpretazione delle norme applicate, mentre sono preclusi al sindacato di legittimità profili ricostruttivi della prova e della versione dei fatti articolata dai giudici di merito, in assenza di vizi di manifesta illogicità della motivazione ovvero di profili di travisamento della prova (cfr. ex multis Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
I limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p. (la cui violazione appare evocata nell’atto d’impugnazione), non sono nella sostanza mutati a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006. È cioè da ribadire come la predetta novella non abbia comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento.
Tanto premesso, scorrendo il primo motivo, si ha modo di appurare che le censure sono portate sulla valutazione delle risultanze processuali, non già evidenziando effettive illogicità o contraddittorietà del discorso giustificativo, ma semplicemente invocandone uno di segno diverso sulla base di una critica che finisce con l’attaccare direttamente gli elementi acquisiti (ad es., si invoca la inattendibilità della persona offesa mettendo in evidenza circostanze di fatto, qui non sindacabili, che smentirebbero la versione dell’accaduto dalla medesima resa, e che, peraltro, non necessariamente si risolvono in contraddizioni inficianti o in contrasti decisivi ai fini della decisione).
Ciò a fronte dell’accertata sussistenza dei fatti da parte del giudice di primo grado che nel procedere all’accurata ricostruzione della vicenda, sulla base dei plurimi elementi emersi, ha peraltro già tenuto fuori alcuni episodi di danneggiamento rispetto ai quali non si era raggiunta la prova della loro riconducibilità all’imputato.
Costituisce invero oramai principio pacifico che non è ammissibile un ricorso che, anziché individuare vizi di legittimità nel provvedimento impugnato, esibisca direttamente alla Corte di cassazione elementi di prova che si pretendono evidenti e dimostrativi del vizio di errata valutazione probatoria. La Corte di cassazione non ha il compito di trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, e pertanto non si può addentrare nell’esame del contenuto documentale delle stesse, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato e, tanto meno, se contenute in un atto di parte.
In definitiva, il giudice di merito ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte da ultimo, Cass., Sez. IV, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove i rilievi, le deduzioni e le doglianze espresse dal ricorrente si sviluppano nell’orbita delle censure di merito, sicché, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili ai termini dell’articolo 606, comma 3, cod. proc. pen.
L’intervenuta qualificazione dell’appello come ricorso per cassazione in applicazione del principio del favor impugnationis non consente tuttavia di stravolgere i parametri di valutazione propri del giudizio di legittimità.
1.2. Infondata è la censura sul trattamento sanzionatolo che peraltro sembra sostenere che, mentre la gravità del reato e l’intensità del dolo influiscono sulla determinazione della pena base, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche avrebbe dovuto, invece, aversi riguardo ai diversi profili, emergenti nel caso di specie, della incensuratezza, della parziale confessione, della resipiscenza e del movente della gelosia.
Ebbene, se è vero che ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche possono prendersi in considerazione anche aspetti ulteriori rispetto a quelli riconducibili ai parametri di legge, è altrettanto vero che i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. costituiscono pur sempre, anch’essi, dei punti di riferimento cui il giudice può attenersi anche ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche (e ciò trova conferma anche nel disposto normativo di cui al comma secondo dell’art. 62-bis c.p.).
La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è, peraltro, oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria – come nel caso di specie – a rigore non può essere neppure sindacata nella presente sede di legittimità, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (ex multis, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 – 01; Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, dep. 23/02/2004, Rv. 229768 – 01).
Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può, d’altra parte, essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (tra tante, Sez. 4, Sentenza n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489 – 01).
E nel caso di specie il Tribunale ha sottolineato la gravità dei fatti e la particolare intensità del dolo, evidenziando che l’intenzione dell’imputato era quella di terrorizzare la persona offesa e fare terra bruciata intorno a lei anche diffamandola gravemente al fine di mantenere il controllo sulla sua vita.
E, sulla base di tali argomenti, il Tribunale, ha, al contempo, escluso la riconoscibilità delle circostanze attenuanti generiche e applicato la pena attestandola al di sopra del minimo edittale di anni uno, mesi sette di reclusione (aumentata per il danneggiamento alla pena inflitta di anni uno e mesi 8 di reclusione), ritenendo evidentemente recessivi altri aspetti.
D’altronde l’incensuratezza, come già evidenziato, non è, per espressa previsione normativa, elemento di per sé sufficiente a fondare il riconoscimento delle attenuanti generiche. Neppure il movente della gelosia, la lettera di scuse -peraltro a giudizio avviato – , la confessione parziale dei fatti, costituiscono, come giustamente evidenzia l’avvocato generale nella requisitoria in atti, fattori che in qualche misura possano porsi come elementi idonei a controbilanciare gli altri aspetti ritenuti impeditivi, la cui indubbia sussistenza è apparsa, comunque, dirimente.
1.3. Parimenti ampiamente motivata è la decisione di rigetto della richiesta di riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, evidentemente richiesto – come si evince dalle conclusione riportate nell’epigrafe della sentenza impugnata – in via principale, in alternativa quindi alla pena sostitutiva che è stata applicata, stante il divieto di farne applicazione nei casi in cui sia disposta la sospensione condizionale della pena, previsto dall’art. 61-bis, legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che, come ha già avuto modo di precisare questa Corte (da ultimo Sez. 5, Sentenza n. 45583 del 03/12/2024, Rv. 287354 – 01), trova applicazione – solo – in relazione ai fatti commessi – come nel caso di specie – dopo l’entrata in vigore di tale ultima disposizione.
Sicché il caso di specie esula dal tema affrontato da Sez. 3, Sentenza n. 2223 del 24/09/2024, dep. 20/01/2025, Rv. 287394 – 01, che ha affermato che l’istanza di applicazione del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, in quanto indicativa della volontà dell’imputato di eseguire la pena, comporta l’implicita rinuncia alla richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena, con conseguente preclusione della formulazione, in sede di gravame, di doglianze riguardanti il difetto di motivazione circa il diniego del beneficio, attesa l’incompatibilità tra i due istituti.
Nella fattispecie in esame l’istanza di applicazione della pena sostitutiva non è stata avanzata all’esito della lettura del dispositivo che non aveva riconosciuto la sospensione condizionale della pena, ma in via subordinata, alternativa, a quella di applicazione della sospensione condizionale della pena. In altri termini si era chiesto in prima battuta di non scontare la pena e, ove non fossero stati ravvisati i presupposti per la sospensione condizionale della pena, di sostituirla con quella del lavoro di pubblica utilità (col consenso dell’imputato che aveva quindi manifestato la volontà di eseguire la pena ma nel caso di mancato riconoscimento del beneficio richiesto in via primaria).
Non opera dunque nel caso di specie la preclusione della formulazione, in sede di gravame, di doglianze riguardanti il difetto di motivazione circa il diniego del beneficio in parola, affermata nella suindicata sentenza della terza sezione di questa Corte.
Ciò posto, passando ad esaminare nello specifico la doglianza, come detto infondata per essere ampiamente esaustiva la motivazione di rigetto del Tribunale, si osserva che questo ha escluso il beneficio della sospensione condizionale della pena tenuto conto, da un lato, della pervicacia dimostrata dall’imputato nel tenere le condotte persecutorie e della volontà di annientare la vita personale e sociale della persona offesa, ritenuta espressiva di un’allarmante inclinazione a comportamenti antigiuridici oltre che antisociali, nonché, dall’altro, del contegno processuale dello stesso, volto quasi a negare l’evidenza e finalizzato alla dimostrazione di circostanze prive di effettiva efficacia probatoria a discarico ma connotate dal fine di rovinare la reputazione della persona offesa. Il tutto perfettamente in linea con l’ossessione persecutoria alla base delle ipotesi criminose per le quali si procede.
Alla luce di tali argomenti il Tribunale ha concluso che non è pronosticabile che l’imputato in futuro si asterrà dalla commissione di ulteriori reati e che quindi, in mancanza del presupposto fondamentale per il riconoscimento della sospensione condizionale della pena, dovesse escludersi l’applicazione di tale beneficio (il cui buon esito rimane in definitiva affidato alla remora legata alla revoca del beneficio stesso in caso di commissione di nuovo reato).
1.4. Residua da valutare il quarto motivo di ricorso che lamenta il mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna – compatibile con l’intervenuta sostituzione della pena detentiva, di anni uno e mesi otto di reclusione, con quella del lavoro di pubblica utilità, come si evince chiaramente dal comma 3 dell’art. 175 cod. pen. – e la mancanza assoluta di motivazione al riguardo, pure a fronte di richiesta difensiva in tal senso.
La doglianza è fondata, risultando effettivamente non affrontato il punto relativo al menzionato beneficio.
Ed invero, si ritiene che la motivazione posta a sostegno della non meritevolezza della sospensione condizionale della pena non possa valere come valida giustificazione anche del mancato riconoscimento della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, svolgendosi la valutazione di tali istituti su piani non del tutto coincidenti.
Come ha avuto modo di affermare più volte questa Corte, il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale persegue finalità diverse rispetto a quello della sospensione condizionale della pena perché, mentre quest’ultima ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un’efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo ha lo scopo precipuo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, sicché non è contraddittoria la decisione che neghi uno dei due benefici e conceda l’altro (cfr. per tutte, Sez. 3, n. 51580 del 18/09/2018, Rv. 274106 – 01).
Nella medesima prospettiva, Sez. 2, Sentenza n. 16366 del 28/03/2019, Rv. 275813 – 01 ha affermato che il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen. è fondato sul principio dell'”emenda” e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando l’obbligo del giudice di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.
Ed ancora, Sez. 3, Sentenza n. 24362 del 22/02/2023, Rv. 284669 – 01 che ha ulteriormente precisato che il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, concedibile dal giudice esclusivamente sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., è diretto a favorire il ravvedimento del condannato, mediante l’eliminazione di conseguenze del reato suscettibili di compromettere o intralciare la sua possibilità di lavoro (Conf.: n. 560 del 1995, Rv. 200029-01).
Stante la diversità delle finalità e valutazioni sottese ai due istituti, non perfettamente coincidenti tra loro, si può anche, viceversa, affermare che ove non sia riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena non necessariamente debba conseguire il diniego della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Se l’ottica di valutazione relativa al beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale è quindi quella di favorire l’emenda (che evidentemente la sospensione condizionale della pena, mera remora alla commissione di ulteriori reati, non persegue direttamente), appare evidente che, ove sia intervenuta, come nel caso di specie, la sostituzione della pena detentiva con la pena sostitutiva, costituente una risposta sanzionatoria che, accanto alla portata special preventiva, ha anche un precipuo intrinseco effetto risocializzante e riparativo in generale, come d’altronde impone l’articolo 27 della Costituzione – effetto che ancor più si avverte nel caso in cui la pena sostitutiva applicata sia, come nel caso di specie, quella del lavoro di pubblica utilità -, a maggior ragione si sarebbe imposta una valutazione in ordine alla possibilità di riconoscere la non menzione della condanna.
Tale beneficio, invero, non avendo nulla a che vedere con quello della sospensione condizionale della pena, non a caso non compatibile con l’applicazione della pena sostitutiva proprio per la finalità che il legislatore intende promuovere con tale istituto come rinnovato con la riforma Cartabia, persegue, come detto, finalità rieducativa analoga a quella sottesa alla pena sostitutiva, contribuendo all’avvio alla risocializzazione.
Con la conseguenza che a rigore i due istituti convergono nel rafforzare quell’esigenza di emenda che l’ordinamento sanzionatorio penale promuove.
Fermo restando, ovviamente, che rimane affidata alla discrezionalità del giudice di merito la valutazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento del beneficio in parola, non discendendo esso automaticamente dall’avvenuta sostituzione della pena detentiva breve, trattandosi pur sempre di istituti soggetti ai rispettivi specifici statuti.
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al beneficio della non menzione della condanna con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Genova; e che il ricorso deve essere rigettato nel resto.
In ragione del tipo di reato, in caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al beneficio della non menzione della condanna con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Genova. Rigetta il ricorso nel resto.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso il 9 luglio 2025.
Depositata in Cancelleria il 2 settembre 2025.
