Massima

In materia di reati militari e giurisdizione, il giudice militare è costituzionalmente riconosciuto come giudice naturale precostituito per legge per gli appartenenti alle forze armate, e il legislatore ha legittimamente adempiuto all’obbligo di revisione del tribunale supremo militare istituendo il ricorso per cassazione contro i provvedimenti dei giudici militari (L. 180/81).

Supporto alla lettura

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

Si tratta di norme che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento della magistratura, i principi fondamentali dell’ordinamento giudiziario sono sanciti dalla Costituzione e garantiscono l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato (esecutivo e legislativo).

Il sistema giurisdizionale si divide in diverse branche, ognuna con le sue competenze:

GIURISDIZIONE ORDINARIA: si occupa delle controversie in materia civile e penale e la sua struttura si articola in tre gradi di giudizio:

I GRADO

  • Giudice di pace: competente nelle cause civili di minore entità e reati di minore gravità.
  • Tribunale ordinario: ha competenza generale, e giudica in composizione monocratica o collegiale.
  • Corte d’assise: competente per quanto riguarda i reati più gravi (es. omicidio).

II GRADO

  • Tribunale: sezione speciale per le impugnazioni contro le sentenze del Giudice di pace.
  • Corte d’appello: giudica i ricorsi contro le sentenze del Tribunale.

III GRADO

  • Corte di cassazione: con sede a Roma, è il giudice di legittimità, e si pronuncia sulla corretta applicazione della legge, non sul merito dei fatti.

GIURISDIZIONE SPECIALE: 

  • Giurisdizione amministrativa: competente in materia di ricorsi contro gli atti della pubblica amminsitrazione, con il TAR (Tribunale Amminsitrativo Regionale) in primo grado e il Consiglio di Stato in secondo grado.
  • Giurisdizione contabile: competente nella gestione delle finanze pubbliche e delle responsabilità dei pubblici funzionari con la Corte dei conti.
  • Giurisdizione tributaria: riguarda le controversie tra il cittadino e l’amministrazione finanziaria.
  • Tribunali militari: si occupano dei reati militari, sia in tempo di guerra che di pace.

Nell’ordinamento giudiziario italiano, i magistrati si distinguono in base alla loro funzione:

– magistrati giudicanti: risolvono le controversie e pronunciano sentenze; fanno parte i giudici di pace, i giudici dei tribunali, delle corti d’appello e della corte di cassazione.

– magistrati requirenti: sono i Pubblici Ministeri, che rappresentano l’accusa nei processi penali; hanno l’obbligo di esercitare l’azione penale quando hanno notizia di un reato e la loro struttura ricalca quella dei tribunali (es. Procura della Repubblica presso il Tribunale).

L’ordinamento giudiziario è in continua evoluzione per adeguarlo alle esigenze sociali e alle norme europee. Di recente, infatti, diversi interventi legislativi hanno introdotto importanti riforme riguardanti la giustizia tributaria e l’organizzazione giudiziaria.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Con sentenza 1° ottobre 1981 della Corte militare di appello di Roma, che ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale militare territoriale della stessa città, il soldato (omissis) è stato dichiarato colpevole del reato di cui agli art. 46, 91, 93 c. p. mil. pace in relazione all’art. 56 c.p. ed ai nn. 1, 7 r.d. 11 luglio 1941 n. 1161 (tentata rivelazione non a scopo di spionaggio di notizie di carattere riservato) perché, trovandosi, ristretto nel reclusorio militare di Gaeta, il 22 gennaio 1980, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a rivelare notizie di carattere riservato concernenti la forza e la difesa militare di reclusorio militare di Gaeta, inserendo in una corrispondenza privata, spedita a persona estranea alle forze armate (cui dava anche l’incarico di far pubblicare le notizie stesse dalla stampa quotidiana), un dattilosoritto in cui venivano illustrati i sistemi di difesa del reclusorio militare, dattiloscritto che non perveniva al destinatario per essere stato trattenuto da comandante del reclusorio ai sensi del 6° comma dell’art. 36 d.p.r 29 aprile 1976 n. 431; con l’aggravante della recidiva di cui ai nn. 1, 2 e 3 del 1° cpv. dell’art. 99 c.p. in relazione al 2° cpv. dello stesso articolo per avere commesso il reato durante l’espiazione della pena inflittagli dal Tribunale militare territoriale di Napoli con sentenza passata in giudicato il 15 gennaio 1980 per il reato della stessa indole di rifiuto del servizio militare di leva.

Con la medesima sentenza l'(omissis) veniva assolto per in sufficienza di prove dall’imputazione di procacciamento di notizie di carattere riservato non a scopo di spionaggio (art. 89, 93 c.p. mil. pace in relazione agli art. 1, 7 dell’allegato r.d. 11 luglio 1941 n. 1161).

La corte militare d’appello, peraltro, dichiarava manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla difesa dell’imputato relative agli: 1) art. 3, n. 2, c. p. mil. pace per contrasto con gli art. 103, 3° comma, 25, 1° comma, Cost.; 2) art. 2, 3 1. 7 maggio 1981 n. 180 per contrasto con gli art. 25, 1° comma, 101, 1″ e 2° comma, 102, 2° comma, 104, 1° comma, 106, 1° comma, 108, 2° comma, Cost.; 3) art. 8, ult. comma, 13, 52 r.d. 9 settembre 1941 n. 1022 per contrasto con gli art. 101, 2°comma, 107, 1° comma, 108, 2° comma, Cost.

Le imputazioni contestate all’imputato traggono origine dal fatto che il comandante del reclusorio militare di Gaeta, il 23 gennaio 1980, sospettando che il contenuto di una lettera spedita dal recluso (omissis) e diretta a tale (omissis) potesse determinare pericolo per l’ordine e la sicurezza del reclusorio, si avvaleva del potere concessogli dall’art. 36, 6°
comma, d.p.r. 29 aprile 1976 n. 431 (regolamento sull’ordinamento carcerario) per trattenerla e trasmetterla al giudice di sorveglianza.

Questi ne disponeva l’apertura e la trasmissione alla competente procura militare perché nel lungo dattiloscritto inserito nella busta, datato 21 gennaio 1980 non firmato ma con il nome di (omissis) scritto a macchina, erano inserite dettagliate informazioni che descrivevano minuziosamente, ed in modo risultato poi veriterio, l’organizzazione e le modalità di esecuzione dei servizi di sicurezza e di vigilanza del reclusorio; allegato al dattiloscritto (che, peraltro, conteneva critiche al sistema di vita dei detenuti nel reclusorio, soprattutto per le gravi carenze igenico-sanitarie) vi era un manoscritto datato 22 gennaio 1980, a firma dell'(omissis) con il quale si dava incarico al (omissis) di far pubblicare il dattiloscritto sulla stampa quotidiana.

Nel corso del procedimento instauratosi a carico dell'(omissis) si accertava, attraverso le deposizioni rese dai responsabili della sicurezza del reclusorio militare, che le notizie relative ai servizi di sicurezza, per la maggior parte, corrispondevano alla realtà e si riferivano ad un piano di difesa del reclusorio contenuto in documenti classificati come « riservati » ed ancora coperti da riservatezza perché ancora in vigore.

L'(omissis) ammetteva di essere l’autore degli scritti incriminati e, in istruttoria, spiegava che una parte delle notizie le aveva apprese per osservazione diretta ed altra parte da altri detenuti; nel dibattimento di primo e secondo grado l'(omissis), invece, sosteneva che tutte le notizie le aveva apprese, senza sua richiesta, nel corso di colloqui avuti con altri detenuti nel quadro delle sue ricerche sulle condizioni di vita dei detenuti militari.

Avverso la sentenza della corte militare d’appello l'(omissis) ha proposto ricorso per cassazione sollevando questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della 1. 7 maggio 1981 n. 180 e dell’art. 3, n. 2, c. p. mil. pace, e deducendo quattro motivi di ricorso.

Il ricorso dell'(omissis) veniva discusso all’udienza del 24 aprile 1982 innanzi alla I sezione penale di questa corte; con ordinanza in pari data il procedimento veniva sospeso avendo la corte, senza statuire sulle questioni di legittimità costituzionali sollevate dal ricorrente, sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale degli art. 6, 16 cpv., 1. 7 maggio 1981 n. 180 per contrasto con la VI disp. trans. Cost, in relazione agli art. 102, 2° comma, 103, 3° comma, Cost, in quanto prevedono la soppressione del tribunale supremo militare e l’attribuzione del potere di decisione sui ricorsi contro i provvedimenti dei giudici militari ad una sezione ordinaria, anziché specializzata, della Corte di cassazione, questione ritenuta pregiudiziale rispetto alle questioni come sopra sollevate dal ricorrente.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 1 del 12/24 gennaio 1983 (id., 1983, I, 274) ha dichiarato non fondata la questione come sopra sollevata.

La discussione del ricorso veniva, quindi, fissata per il 6 aprile 1983 avanti la I sezione penale di questa corte ed in data 22 marzo 1983 con provvedimento del primo presidente assegnata a queste sezioni unite.

Per evidenti ragioni di ordine logico e sistematico vanno, in primo luogo, esaminate le questioni di legittimità costituzionale
sollevate dal ricorrente; peraltro, una di queste, e precisamente quella relativa alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 3, n. 2, c. p. mil. pace, presenta profili ed aspetti attinenti alla giurisdizione del giudice che ha emesso la sentenza impugnata.

Tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente vanno riconosciute e dichiarate manifestamente infon
date giacché non sussiste il dedotto contrasto tra le norme della legge ordinaria indicata e quelle costituzionali richiamate dal
ricorrente.

È manifestamente infondata, invero, la prima di tali questioni che è articolata dal ricorrente sotto il profilo della illegittimità
costituzionale degli art. 2, 3 1. 7 maggio 1981 n. 180 per contrasto con gli art. 25, 1° comma, 101, 2° comma, 102, 2° comma, 104, 1° comma, 106, 1° comma, 108, 2° comma, Cost.

Il ricorrente osserva che, anche con la nuova disciplina della giustizia militare, non si è assicurato al militare imputato un
processo rispettoso delle garanzie costituzionali per cui al tribunale militare è rimasto l’aspetto e la natura di tribunale speciale
volto più ad assicurare l’ordine nelle caserme e la gerarchia della piramide militare che il rispetto della legge.

Infatti: a) si sottrae il cittadino nel giudizio innanzi al tribunale militare al proprio giudice naturale (art. 25, 1° comma, Cost); b) si mantiene in vita un tribunale speciale (102, 2° comma); c) si sottopone il magistrato, anche se militare, al potere dell’esecu
tivo (art. 104, 1° comma); d) i giudici militari non dipendono solo dalla legge (art. 101); e) si consente la nomina di giudici militari senza concorso (art. 106, 1° comma); /) non è garantita l’indipendenza dei giudici militari provenienti dalle varie armi (108, 2° comma).

A sostegno di tali argomentazioni il ricorrente segnala che la legge ha mantenuto giudioi speciali straordinari espressamente
vietati dalla Costituzione; che, escludendo dai collegi i soldati semplici ed i sottufficiali, ha mantenuto il principio del superiore
in grado che giudica l’inferiore; che la magistratura militare è strutturata diversamente da quella ordinaria perché i suoi componenti sono militari; che dai relativi ruoli sono escluse le donne ed i non idonei al servizio militare.

Le argomentazioni del ricorrente non hanno giuridico fondamento.

E, invero, non può essere fondatamente contestata le legittimità costituzionale dei tribunali militari quali organi di giurisdizione speciale; infatti, essi sono espressamente previsti e regolati dalla stessa Costituzione (art. 103, 3° comma, VI disp. trans.) che, peraltro, nel disporre la revisione degli organi speciali di giurisdizione all’epoca esistenti, espressamente fa salva la giurisdizione dei tribunali militari insieme a quella della Corte dei conti e del Consiglio di Stato.

L’espressa previsione costituzionale dei tribunali militari, in uno con l’ulteriore previsione di un tempestivo riordinamento del
tribunale supremo militare, rende evidente che il divieto di istituzione e di conservazione di giurisdizioni speciali non è riferibile agli organi della giurisdizione militare ai quali, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, va riconosciuta piena e completa legittimità costituzionale.

Né ha maggior pregio l’ulteriore argomentazione posta dal ricorrente a sostegno della dedotta incostituzionalità dei tribunali militari sotto il profilo del contrasto con l’art. 25, 1° comma, Cost.

L’art. 25, 1° comma, Cost, stabilisce il principio secondo il quale nessuno può essere distolto dal proprio giudice naturale
precostituito per legge; è appena il caso di ribadire che, come risulta dalla detta norma e come è stato più volte autorevolmente
riconosciuto anche dalla Corte costituzionale, deve riconoscersi quale giudice naturale il giudice che sia precostituito per legge
con riferimento vincolante ad una seria indeterminata di ipotesi astratte e con esclusione, al contrario, di qualsiasi riferimento a
fattispecie concrete, in modo che sia esoluso che la competenza del giudice sia determinata in relazione ad un fatto già verificatosi.

Tale esigenza è sicuramente soddisfatta in relazione alla giurisdizione militare giacché, per i soggetti i quali, per la loro
condizione di militari, sono sottoposti a tale giurisdizione il giudice competente (quello militare) è precostituito dalla legge ed è, appunto, il relativo giudice naturale come tale previsto e regolato della stessa Costituzione.

Deve, quindi, conclusivamente affermarsi, in coerenza con quanto già ritenuto dalla Corte costituzionale con la decisione n. 29 del 1958 (id., 1958, I, 505), che il giudice militare è da considerarsi naturale e cioè precostituito per legge sicché va escluso ogni contrasto tra gli art. 2 e 3 1. 7 maggio 1981 n. 180 e l’art. 25, 1° comma, Cost.

Le ulteriori e generiche affermazioni svolte dal ricorrente e relative alla pretesa mancanza di indipendenza dei giudioi militari
e la loro pretesa sottoposizione al potere esecutivo sono decisamente contrastate dalla legge.

La 1. 7 maggio 1981 n. 180 reca modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace, prevede all’art. 15 la costituzione di un organo di autogoverno della magistratura militare sicché deve riconoscersi che è legislativamente assicurata l’indipendenza e la
sottrazione di tali giudici al potere esecutivo. Né, peraltro, può giovare alla tesi del ricorrente la circostanza che tale organo di
autogoverno non sia stato ancora istituito e ciò per un duplice ordine di ragioni: a) in primo luogo la legittimità costituzionale di un organo o di un istituto va verificata sulla base della legge che lo regola dovendosi ritenere irrilevanti a tale fine, anche secondo quanto più volte ritenuto dalla Corte costituzionale, gli eventuali ritardi nell’attuazione concreta di tale legge; 6) la
stessa legge (art. 15 già oit.) istituisce e regola, in via transitoria e fino alla costituzione del previsto organo di autogoverno, un adeguato procedimento inteso ad adottare, con sufficienti garanzie di indipendenza, tutti i provvedimenti attinenti allo stato
giuridico dei magistrati militari prescrivendo l’intervento di un comitato composto dai massimi esponenti della magistratura militare.

Va, conseguentemente, escluso ogni contrasto con l’art. 108, 2° comma, Cost., giacché la legge (art. 1, 15 <1. 7 maggio 1981 n.
180) prevede, quanto all’indipendenza dei magistrati militari, la loro equiparazione ai magistrati ordinari espressamente sancendo, in via generale, l’applicazione delle disposizioni di legge in vigore per questi ultimi, in quanto applicabili, e, in concreto, istituendo organi e procedimenti particolari relativi allo stato giuridico dei magistrati militari.

Il reclutamento per concorso dei magistrati militari esclude ogni sospetto di illegittimità costituzionale in ordine alla formazione dei ruoli di tali magistrati; quanto alla partecipazione dei militari giudici nei tribunali militari, di per sé non contrastante con alcun precetto costituzionale al pari di altre forme di partecipazione popolare agli organi giurisdizionali, il sistema per sorteggio, previsto dalla legge, le garanzie che assistono il procedimento di nomina e la temporaneità dell’incarico escludono l’ipotizzabilità di un condizionamento.

La mancata partecipazione all’amministrazione della giustizia militare delle donne e delle persone non idonee al servizio
militare se ed in quanto possa ritenersi non consentita nella legislazione vigente, è ragionevolmente giustificata dalle peculiari
caratteristiche della giurisdizione militare in riferimento alla natura dei fatti oggetto di tale giurisdizione ed alla qualità delle
persone che vi sono soggette; analoghe considerazioni valgono ad escludere ogni illegittimità in ordine alla mancata partecipazione ai tribunali militari dei soldati e dei graduati.

È del pari manifestamente infondata l’ulteriore questione di illegittimità costituzionale sollevata dall'(omissis).

Essa concerne il criterio con il quale la legge ordinaria (art. 3, n. 2, c. p. mil. pace) determina la sottoposizione del cittadino alla
giurisdizione militare ed è articolata nel modo seguente: illegittimità costituzionale dell’art. 3, n. 2, c. p. mil. pace per contrasto con gli art. 103, 3° comma (giurisdizione per gli appartenenti alla forze armate), 25, 1° comma (giudice naturale), Cost.

Sostiene il ricorrente che non può ritenersi legittima e corrispondente al dettato costituzionale la norma di legge ordinaria
(art. 3, n. 2, c. p. mil. paoe) che determina la sottoposizione alla giurisdizione militare con il solo riferimento ad un atto di imperio della p.a., quale è quello relativo alla fissazione del momento stabilito per la presentazione alle armi, senza la necessità di alcuna dichiarazione « ricettizia » da parte del giovane chiamato alle armi.

Va rilevato, però che la necessità della dedotta dichiarazione da parte del cittadino chiamato alle armi non trova nessun
riscontro nella legge ed essendo, al contrario, ben evidente che nessuna dichiarazione « recettizia » è richiesta o può essere richiesta per la prestazione di un servizio che è obbligatorio e che è previsto dalla stessa Costituzione (art. 52) in funzione del
dovere di ogni cittadino di difendere la patria.

Quanto, poi, all’identificazione del momento in cui il cittadino assume la qualifica di appartenente alle forze armate, rilevante,
in riferimento all’art. 103, 3° comma, Cost., ed identificato dalla legge ordinaria in quello stabilito per la presentazione alle armi
(si vedano sul punto sez. un. 13 marzo 1954, ric. Musso, id., Rep. 1954, voce Tribunale militare, nn. 22-24; 17 giugno 1974, ric.
Amelio, id., 1975, II, 174; Trib. supr. mil. 4 luglio 1975, ric. Pezzotta, id., iRep. 1977, voce Legge penale, n. 29), non resta da
osservare che esso è stato in tal modo determinato ed identificato dalla legge ordinaria, con elementi di obiettività e di certezza, in funzione ed in applicazione di ragionevoli criteri legislativi.

È, infatti, logico e coerente con ogni principio di ragionevolezza che il momento in cui, in concreto, si realizza la pretesa dello
Stato alla prestazione obbligatoria da parte del cittadino e correlativamente il dovere di questi alla detta prestazione, coincida
con il momento in cui ai fini della sottoposizione alla giurisdizione militare, si determina la modifica dello status del cittadino,
cosi come del resto è da tale momento che, di norma, ha inizio la prestazione del servizio militare (v. art. 82 d.p.r. 14 febbraio
1964 n. 237 secondo il quale la ferma di leva decorre dal giorno in cui ha inizio la presentazione al servizio alle armi).

Per questi motivi la definizione legislativa adottata in relazione all’art. 103, 3° comma, Cost., non può essere ritenuta in contrasto con tale ultima norma essendo una estrinsecazione ragionevole e legittima della discrezionalità del legislatore, prevista e consentita dalla stessa norma costituzionale.

Con motivo aggiunto illustrato da una memoria, il ricorrente solleva, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 1. 7
maggio 1981 n. 180 per contrasto con l’art. Ili, 2° comma, 102, 1° e 2° comma, 104, 105, 107, 108, 110 Cost.

La questione attiene alla costituzione del p.m. e della sua rappresentanza nei giudizi in Cassazione relativi a ricorsi avverso
le sentenze della corte militare di appello cosi come regolata dalla 1. 180/81, e viene dedotta sotto un duplice profilo. a) La norma richiamata (art. 5 1. 180/81) viola l’art. III Cost, perché non attua compiutamente il precetto costituzionale. Infatti, a norma della VI disp. trans. Cost., il legislatore avrebbe dovuto procedere al riordinamento del tribunale supremo militare in relazione all’art. III Cost, prevedendo, quindi, il giudizio di legittimità della Corte di cassazione in tutte le decisioni degli organi della giustizia militare; tale precetto non può ritenersi compiutamente adempiuto a giudizio del ricorrente, se non con l’attribuzione « alla Corte di cassazione, cosi come essa era ed è costituita, con l’organo inquirente presso di essa istituito che, se non fa parte della corte in senso stretto e tanto meno del collegio giudicante, è tuttavia l’organo che ne integra l’entità ». Rileva, inoltre, il ricorrente che la costituzione di uno speciale ufficio del p.m. in funzione della provenienza del provvedimento impugnato da un determinato giudice speciale, fa alterare lo spirito del precetto costituzionale che vuole siano assoggettati ad un unico sindacato e presso lo stesso organo sia le sentenze dei giudici ordinari che quelle dei giudici speciali; ciò, inoltre, determina l’illegittima creazione di una situazione diversa a favore degli organi di giustizia militare rispetto a quella degli altri, giudici speciali, con inaccettabili conseguenze specie nel corso di giudizi aventi ad oggetto questioni di giurisdizione. b) L’art. 5 1. 180/81 viola gli art. 104, 105, 107, 110 Cost, giacché comporta l’esercizio della funzione propria dei magistrati del p.m. presso la Corte di cassazione da parte di magistrati militari non nominati dal Consiglio superiore della magistratura e non soggetti al potere disciplinare di tale organo ma nominati, invece, dal ministro per la difesa. Ciò comporta a giudizio del ricorrente una espropriazione, a danno del C.S.M., di funzioni ad esso attribuite dalla Costituzione e dalle leggi sull’ordinamento giudiziario che, peraltro, si riflette in una menomazione delle garanzie dei magistrati del p.m. presso la Corte di cassazione.

Questa corte osserva che non sussiste la denunciata illegittimità costituzionale.

La questione sollevata dal ricorrente muove dalla norma contenuta nel capoverso della VI disp. trans, e finale Cost, le quali
prescrive che entro un anno dalla data di entrata in vigore della Costituzione si deve provvedere con legge al riordinamento del
tribunale supremo militare in relazione all’art. III Cost.

In adempimento di tale precetto è stata emanata, sia pure con notevole ritardo rispetto ai tempi prescritti, la 1. 7 maggio 1981 n.
180 recante modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace.

Con tale legge si è adempiuto il precetto costituzionale, dettato in relazione alla prima applicazione dell’art. Ill Cost., prevedendo e regolando, con espresso richiamo alle norme del codice di procedura penale, il ricorso per cassazione contro i provvedimenti dei giudici militari (art. 6 1. cit.).

Con la stessa legge, in correlazione con l’espressa previsione del ricorso per cassazione contro i provvedimenti dei giudici militari, è stato costituito presso la Corte di cassazione un ufficio autonomo del pubblico ministero composto dal procuratore generale militare della repubblica e da uno o più sostituiti procuratori generali militari, magistrati militari di Cassazione (art. 5 1. cit.).

Ed è appunto su tale ultima norma che si accentrano le critiche e le censure di incostituzionalità del ricorrente sopra specificate; tali censure non hanno, però, giuridico fondamento.

Esse, pervero, muovono dal dichiarato presupposto che un preciso e puntuale adempimento della norma costituzionale sopra richiamata (VI disp. trans, e finale) richieda lo svolgimento, la trattazione e la decisione del ricorso per cassazione da parte di tale organo cosi come esso è normalmente composto e costituito.

Tale presupposto non è riscontrabile in alcun principio costituzionale né in alcuna norma della Costituzione né in altra legge avente valore costituzionale.

Sull’argomento va richiamata l’ordinanza n. 862 del 24 aprile 1982 cit. emessa dalla I sezione penale di questa corte in questo stesso procedimento penale con la quale si è sollevata d’ufficio la questione di legittimità costituzionale degli art. 6, 16, cpv., 1. 7 maggio 1981 n. 180 nella parte in cui dette norme hanno attribuito il potere di decisione sui ricorsi contro i provvedimenti dei giudici militari ad una sezione ordinaria, anziché specializzata, della Corte di cassazione. Con detta ordinanza viene prospettata l’illegittimità delle norme di legge suddette ritenendosi che la VI disp. trans. Cost, abbia imposto al legislatore ordinario di procedere, tra l’altro, all’istituzione, presso la Corte di cassazione e come parte integrante della stessa, di una sezione specializzata onde dare concreta attuazione all’art. IIICost, e consentire l’utilizzazione, prevista dall’art. 102, 2° comma, Cost., della specializzazione propria della giurisdizione militare la quale, altrimenti, sarebbe rimasta totalmente acefala contro il disposto dell’art. 103, 3° comma, Cost.

Le argomentazioni e le affermazioni esposte nella predetta ordinanza non sono state condivise dalla Corte costituzionale la
quale, però, lungi dal negare la possibilità di partecipazione di giudici specializzati al giudizio di cassazione per reati militari, ha emesso la piena legittimità di tale partecipazione, ilnfatti, la Corte costituzionale (sent. n. 1 anno 1983, cit.) ha ritenuto che sarebbe stata ben possibile e legittima l’istituzione presso la Corte di cassazione di una sezione specializzata per i ricorsi in materia militare, ma ha escluso che la soluzione della sezione specializzata possa essere considerata la sola e l’unica necessariamente imposta al legislatore ordinario ai fini della revisione del tribunale supremo militare prescritta dalla VI disp. trans. Cost.

Viene cosi autorevolmente smentita la tesi del ricorrente relativamente alla composizione della Corte di cassazione per i giudizi
in materia militare con argomentazioni che vanno integralmente condivise da queste sezioni unite, in forza della considerazione che la possibilità di partecipazione di cittadini estranei alla magistratura a sezioni specializzate per determinare materie presso gli organi giudiziari ordinari è esplicitamente ammessa e, anzi, prevista dalla stessa Costituzione (art. 102).

Nella specie, però, il legislatore, legittimamente operndo nel l’ambito della Costituzione, non ha inteso adottare la soluzione
della sezione specializzata con la partecipazione, cioè, di estranei alla magistratura con ciò risolvendo, in modo legittimo e pur
sempre conforme alla Costituzione, un problema di ordinamento giudiziario ed in tal modo esercitando la propria scelta discrezionale fondata su un’insindacabile valutazione di opportunità.

Resta, però, la decisiva considerazione secondo la quale il legislatore ben avrebbe potuto, qualora l’avesse ritenuto opportuno, istituire per i ricorsi in materia militare una sezione specializzata presso la Corte di cassazione, non può, quindi, disconoscersi che a maggior ragione, deve ritenersi legittima e conforme al dettato costituzionale, la istituzione dell’ufficio autonomo del p.m.m. presso la Corte di cassazione giacché essa rappresenta un minus rispetto alla istituzione della sezione specializzata.

In conclusione il legislatore ordinario ha adempiuto l’obbligo costituzionale sancito dalla VI disp. trans. Cost, prevedendo e regolando, con l’art. 6 1. 180/81, il ricorso per cassazione contro i provvedimenti dei giudici militari e su tale punto non possono
muoversi, né sono mossi in questa sede, censure o rilievi di illegittimità costituzionale giacché è ormai previsto in via ordinaria il giudizio di legittimità in ordine a tali procedimenti.

Tale controllo ben poteva essere affidato dal legislatore alla Corte di cassazione nella sua ordinaria composizione ovvero ad una sezione specializzata della corte stessa; nell’ambito di tale seconda soluzione, il legislatore ha ritenuto, con una valutazione di opportunità che è sottratta a censure sul piano costituzionale, di non istituire una sezione specializzata e di limitare la utilizzazione della specializzazione propria dei magistrati militari prevista dall’art. 102, 2° comma, Cost., alla partecipazione del pubblico ministero militare.

Tale soluzione va ritenuta corretta e legittima sul piano costituzionale perché fondata sull’esercizio di poteri e prerogative
proprie della legislazione ordinaria, cosi come espressamente sancito dall’art. 108 Cost., che riserva alla legge ordinaria la disciplina dell’ordinamento giudiziario ordinario e di quello relativo alle altre magistrature.

La norma di cui all’art. 5 1. 180/81, essendo evidentemente una norma attinente all’ordinamento giudiziario (ordinario e militare) va considerata quale estrinsecazione del potere discrezionale previsto dall’art. 108, 1° comma, Cost, e, pertanto, legittimamente formulata in aderenza con i principi e le norme della Costituzione. La riconosciuta legittimità di tale norma evidenzia l’infondatezza dei rilievi svolti dal ricorrente in ordine all’esercizio di funzioni giurisdizionali da parte di magistrati non nominati dal Consiglio superiore della magistratura.

Peraltro, l’istituzione dell’ufficio del p.m.m. presso la Corte di cassazione, si sottrae ad ogni censura o sospetto di incostituzionalità anche perché essa è fondata su ragionevoli ed adeguati criteri di valutazione aderenti e conformi ai principi costituzionali.

Ed invero va, in primo luogo, rilevato che la singolarità della creazione di un ufficio del p.m. speciale presso un organo della giurisdizione ordinaria è sicuramente giustificato dalla singolarità della situazione da risolvere legislativamente ed è a questa correlata e ciò può giustificare sufficientemente quelle « ampie zone di incertezza interpretativa » (conflitti di giurisdizione, ecc.) cui accenna il ricorrente senza che ciò, tuttavia, possa determinare evidentemente alcuna conseguenza sul piano della legittimità costituzionale dell’innovazione.

Non va tralasciata, inoltre, la considerazione che la natura della materia che è l’oggetto della giurisdizione militare, peculiare sia per le particolari caratteristiche dei fatti reato che per le qualità dei soggetti che vi sono sottoposti, rende quanto mai opportuno ed utile la partecipazione del magistrato specializzato del p.m. la cui presenza, al contrario di quanto avviene per altri organi di giurisdizione speciale, è prescritta anche nei precedenti gradi di giudizio.

Si può aggiungere, inoltre, che già, nel precedente regime legislativo, la giurisdizione militare, in sede di tribunale supremo, era esercitata da magistrati militari ed ordinari essendo prevista la partecipazione a tale supremo organo di consiglieri di cassazione. E d’altra parte, la partecipazione dell’ufficio del p.m.m. al giudizio in Corte di cassazione trova un sicuro fondamento nel fatto che, al contrario di quanto avviene per altre giurisdizioni speciali (Consiglio di Stato, Corte dei conti), per i provvedimenti dei giudici militari è previsto e consentito, in via ordinaria, il giudizio di legittimità senza alcuna limitazione, sicché potrebbe ritenersi del tutto ingiustificata ed arbitraria l’esclusione da tale giudizio del competente ufficio del p.m., pur presente nei precedenti gradi di merito.

La questione di costituzionalità come sopra proposta va, quindi, dichiarata manifestamente infondata.

Vanno ora esaminati i motivi di ricorso proposti dall’Andreis.

Con il primo si deduce: violazione e falsa applicazione degli art. 91, 93 c. p. mil. pace in relazione all’art. 56 c.p., il tutto in relazione all’art. 6 1. 7 maggio 1981 n. 180 ed all’art. 524 c.p.p.

Con tale mezzo si sostiene che erroneamente la corte di merito ha ritenuto di potersi configurare il tentativo in ordine al delitto di rivelazione di notizie di carattere riservato trattandosi di reato formale.

L’assunto è, però, infondato. A parte la considerazione della evidente inutilità della proposta censura la quale, se condivisa da
questa corte, dovrebbe portare alla configurazione dell’ipotesi del delitto consumato e non solo tentato giacché l’impossibilità di
configurazione del tentativo nel reato c.d. formale ha come conseguenza la configurazione del reato consumato una volta che sia posta in essere l’azione idonea a commettere il reato, va rilevato che questa corte ha più volte affermato che, ai fini della configurazione della ipotesi del tentativo di reato, la questione non va risolta sulla base del carattere c.d. formale del reato.

Sulla identificazione di tale carattere sono state, pervero, mani festate opinioni e pareri discordi in dottrina sicché deve negarsi a tale carattere l’idoneità a discriminare le varie ipotesi di configurazione di reato nella forma tentata. Ciò che è rilevante, a tali fini, è la natura concreta dell’azione con la quale si pone in essere il reato ed è in riferimento a tale natura che va verificata la possibilità di configurazione del tentativo.

Quando l’azione in cui si concreta il reato si realizza con un solo atto ovvero con una condotta che si esaurisce in un solo momento è evidente che non può parlarsi di tentativo di reato giacché l’istantaneità della condotta posta in essere dall’agente fa si che il reato sia già consumato con l’esaurimento della condotta, se questa è idonea per la configurazione del reato, ovvero che non è proprio a parlarsi di reato, neppure nella forma tentata, per l’inidoneità della condotta.

Diverso è il caso in cui la condotta dell’agente si realizza o con un comportamento di questi non esaurentesi immediatamente o con una serie o pluralità di atti finalizzati alla commissione del reato; in tali ipotesi la frazionabilità del tempo della condotta delittuosa ammette e consente un’interruzione del comportamento delittuoso sicché questo può essere interrotto, per qualsiasi causa, anche indipendente dalla volontà dell’agente, dando luogo alla figura del reato tentato.

Sulla base di tali principi e ritenuto che la condotta dell'(omissis) non si è esaurita unicamente ed immediatamente con la
spedizione della missiva di cui all’imputazione giacché il fatto stesso della spedizione si è protratto per tutto il tempo necessario
per il recapito della lettera al suo destinatario, correttamente dal giudice di merito è stato configurato il delitto nella forma tentata come contestata. Infatti, il delitto di rilevazione di notizie di carattere riservato, previsto e punito dagli art. 91 e 93 c.p. mil. pace, è configurabile nella forma tentata qualora sia commesso mediante spedizione di una lettera che, per cause indipendenti dalla volontà dell’agente, non giunga al destinatario; in tal caso, infatti, il prolungamento nel tempo della condotta delittuosa rende possibile l’interruzione dell’iter delittuoso e la punibilità dell’azione ai sensi dell’art. 56, 1° comma, c.p.

Non merita accoglimento neppure l’ulteriore motivo di ricorso con il quale si deduce: la violazione e falsa applicazione dell’art.
479 c.p.p. in relazione agli art. 91, 93, 46 c. p. mil. pace, il tutto in relazione all’art. 6 1. 7 maggio 1981 n. 180 ed all’art. 524 c.p.p.

Si sostiene con tale mezzo la mancanza di motivazione sul l’affermazione di responsabilità giacché, a giudizio del ricorrente, l’impugnata sentenza non ha evidenziato alcuna prova circa il dolo consistente, nella specie, nella volontà di comunicare all’esterno del reclusorio le notizie riservate.

Sottolinea il ricorrente che la corte di merito non ha tenuto adeguato conto, ai fini dell’indagine sul dolo, di decisive circostanze di fatto quali: a) lo speciale controllo sulla corrispondenza eseguito dal comando del reclusorio, b) la breve permanenza nel detto reclusorio (in cui si trovava da appena tre giorni), c) il fine proposto che era solo quello di far conoscere le cattive condizioni di vita dei detenuti.

La censura non ha pregio giacché la corte di merito, sul punto in questione, ha ampiamente e congruamente motivato il proprio convincimento osservando, tra l’altro, che è decisiva, ai fini della riconosciuta sussistenza del dolo, la considerazione secondo la quale il proposito e la volontà dell’Andreis di divulgare le notizie contenute nella lettera incriminata si rileva con certezza dall’invito che l’Andreis nella stessa lettera rivolgeva al destinatario di far pubblicare le notizie comunicate nella stampa nazionale.

A fronte di tale decisiva e motivata affermazione non può riconoscersi alcun pregio e giuridico fondamento alle argomentazioni del ricorrente che attengono a circostanze di fatto già negativamente valutate dai giudici di merito e, in parte, non rilevanti ai fini della necessaria indagine sulla sussistenza dell’e
lemento soggettivo del reato contestato (breve permanenza nel reclusorio, speciale controllo eseguito sulla corrispondenza, ecc.).

Con il terzo motivo di ricorso l’Andreis deduce: la violazione e falsa applicazione dell’art. 479 c.p.p. in relazione agli art. 89, 93 c. p. mil. pace, il tutto in relazione all’art. 6 1. 7 maggio 1981 n. 180, 524, n. 1, c.p.p.

Si sostiene che, in ordine al delitto di procacciamento di notizie di carattere riservato, l’assoluzione avrebbe dovuto essere pronunziata con formula ampia mancando del tutto la prova di un’attività di ricerca e procacciamento delle notizie riservate, e riconoscendo gli stessi giudici di merito come probabile l’ipotesi che le notizie siano state apprese per contatti con gli altri detenuti.

La censura non può trovare accoglimento.

L’assoluzione con formula dubitativa dalla imputazione di procacciamento di notizia di carattere riservato è stata pronunziata dai giudici del merito legittimamente ed in aderenza alle risultanze processuali acquisite.

Ed invero, premesso che il controllo di questa corte va limitato alla congruità e logicità della motivazione adottata senza alcun sindacato sulla fondatezza del dubbio espresso dai giudici del merito, non può non riconoscersi che la motivazione svolta sul punto dalla sentenza impugnata va esente da qualsiasi censura.

Invero la pronunzia assolutoria è stata adottata dai giudici del merito a seguito di approfondito esame di tutte le risultanze procesuali emerse a carico ed a favore dell’imputato in ordine al volontario procacciamento delle notizie coperte da riservatezza; l’esame di tali risultanze, però, è stato ragionevolmente giudicato dalla corte militare di appello non tranquillizzante ai fini della affermazione della responsabilità dell’imputato, pur riconoscendosi l’innegabile peso e l’ampia rilevanza degli elementi di prova acquisiti a carico dello stesso.

Tali elementi, perciò, non sono stati ritenuti decisivi perché non sufficientemente univoci e non incompatibili con la possibilità di apprensione non intenzionale delle notizie riservate da parte di con-detenuti o di altre persone presenti nel reclusorio.

Il contrasto tra elementi di prova è, quindi, obiettivo e concreto e tale da giustificare la formula dubitativa adottata che deve ritenersi legittima quando, come nella specie, gli elementi di prova a carico dell’imputato, pur riconosciuti rilevanti e significativi, siano stati non del tutto svalutati ma solo attenuati nella loro efficacia probatoria a seguito di motivata valutazione dei contrari elementi di prova favorevoli. Sono, infine, infondate le censure proposte con il quarto motivo di ricorso con il quale, cumulativamente, il ricorrente deduce: la violazione e mancata applicazione degli art. 62, n. 1 e 62, n. 2, c.p., 48, cpv., c.p. mil. pace in relazione all’art. 524, n. 1.

Si sostiene che illegittimamente non è stata concessa l’attenuante di cui all’art. 62, n. 1, c.p. essendo innegabile, perché emergente chiaramente dalle risultanze processuali, e precisamente dalla storia personale dell’imputato, dal suo comportamento in carcere, dalla stessa precedente condanna (rifiuto di prestare il servizio militare di leva), che l’azione di esso Andreis è stata determinata esclusivamente da motivi inerenti il suo impegno sociale e politico per l’eliminazione delle pessime condizioni di vita nel reclusorio di Gaeta.

Analogamente si sostiene l’illegittimità del diniego di concessione dell’attenuante della provocazione che, invece, deve trovare pieno e legittimo fondamento nello stato d’ira determinato dalle pessime ed inaccettabili, perché contrarie alla legge, condizioni di vita imposte ai detenuti nel reclusorio di Gaeta.

Si deduce ancora l’illegittimo diniego di concessione della speciale attenuante di cui all’art. 48 c. p. mil. pace, (ottima condotta). Rileva il ricorrente, al proposito, che erroneamente la corte di merito ha considerato solo la condotta « militare » in senso stretto (servizio attivo) mentre avrebbe dovuto, invece, valutare la condotta relativa a tutto il periodo di servizio militare compreso quello svolto in carcere. Peraltro, la corte di merito, aggiunge il ricorrente, illegittimamente ha valutato negativamente il comportamento prima del servizio militare in tal modo erroneamente riconoscendo valore, ai fini dell’attenuante, alla condotta ed alle scelte filosofiche e politiche precedenti alla prestazione del servizio.

Quanto alla censura che attiene al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 1, c.p. (aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale) va rilevato che tale attenuante può riconoscersi sussistente solo quando risulti che l’imputato abbia agito per motivi che superino la media dei sentimenti umani ed i bisogni di ogni comune persona.

L’attenuante, quindi, va esclusa quando la condotta dell’agente sia ispirata soltanto da normali impulsi, magari anche commendevoli, ma non caratterizzati da quel particolare valore morale o sociale che è richiesto dalla legge per l’attenuazione di pena.

L’esigenza di assicurare ai detenuti, comuni e militari, condizioni di vita di livello accettabile, adeguate e sufficienti al soddisfacimento di tutti i loro bisogni sia di natura materiale che spirituale è, infatti, normalmente condivisa da ogni appartenente all’attuale società sicché non viene caratterizzata da un particolare (ovvero eccezionale) impegno morale o sociale l’azione di colui il quale propugni e sostenga, con la propria personale iniziativa, il soddisfacimento di tale esigenza. L’attenuante richiesta, pertanto, non può essere concessa al ricorrente e ciò proprio per la mancanza del « particolare valore del motivo che ha determinato la sua azione ».

D’altra parte, la corte di merito ha escluso, in fatto e con motivazione adeguata e coerente con le risultanze processuali, che l’azione diretta alla divulgazione delle notizie di carattere riservato possa essere considerata come finalizzata e strumentale rispetto all’intento dichiarato di miglioramento delle condizioni di vita carceraria non essendo riscontrabile, in concreto, alcun collegamento tra tali condizioni e le misure di prevenzione e sicurezza adottate dalle autorità preposte alla direzione del reclusorio.

Senza fondamento, inoltre, il ricorrente si duole della mancata concessione dell’attenuante della provocazione; questa è stata legittimamente negata in quanto non prevista per il reato conte stato e per il quale è stata pronunziata sentenza di condanna.

Come risulta chiaramente dalla legge (art. 49 c. p. mil. pace.) per i reati militari la provocazione costituisce circostanza di attenuazione della pena soltanto nei casi espressamente stabiliti dalla legge (art. 176, 194, 198, 206, 244, 245, 247, 248 c.p. mil. pace, 204 c.p. mil. guerra) e tra tali casi non rientra il reato conte stato al ricorrente.

Per i reati militari l’attenuante della provocazione ha carattere speciale e non è, al contrario dell’analoga attenuante prevista dal codice penale, di applicazione generale essendo limitata dalla legge ai soli reati per i quali essa è espressamente prevista.

Non ha fondamento neppure l’ultima censura proposta e relativa al mancato riconoscimento della speciale attenuante di cui all’art. 48, ult. comma, c. p. mil. pace.

L’attenuante prevista da detta norma può essere concessa quando il colpevole sia militare di ottima condotta o di provato valore; esclusa in questo caso l’ipotesi del provato valore, la censura del ricorrente attiene al mancato riconoscimento dell’ottima condotta, che è stata esclusa, dai giudici di merito, anche sulla base della considerazione che l'(omissis) si era reso in precedenza colpevole di altro reato militare decisivamente qualificante essendo consistito nel rifiuto radicale di prestare il servizio militare.

La decisione non merita censura.

Va rilevato, in primo luogo, che l’attenuante in parola ha carattere facoltativo e non obbligatorio sicché il suo riconoscimento è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito; dell’esercizio di tale potere la corte d’appello ha dato adeguato conto rilevando la mancanza di elementi di prova indicativi e rivelatori di un’ottima condotta militare da parte dell’imputato.

Ma non merita censura alcuna anche l’ulteriore ragione in forza della quale è stata denegata la richiesta attenuante.

È evidente, infatti, che l’ottima condotta militare richiesta dalla legge per la configurazione della attenuante non può identificarsi nel semplice puntuale adempimento dei doveri inerenti alla condizione di militare durante l’effettivo espletamento del relativo servizio, giacché un tale comportamento non supera il limite della pura e semplice buona condotta.

Da ciò consegue che per aversi ottima condotta è necessario qualcosa di più, che sia evidentemente indicativo di una particolare dedizione e di una eccezionale partecipazione del militare al servizio prestato ed alla organizzazione militare; questo plus che può essere idoneo a concretare l’ottima condotta militare e che può, in concreto, manifestarsi in vario modo e con diverse modalità, evidentemente, però, in nessun caso può prescindere e può non essere sorretto da una convinta e totale adesione del militare al suo obbligo di contribuire alla difesa della patria e di adempiere, in conseguenza, la prestazione militare richiestagli dallo Stato.

Il rifiuto offerto alla prestazione del servizio militare, ancorché ed a maggior ragione se fondato su motivi di carattere ideologico o politico, contrasta, quindi, di per sé, con la configurabilità di un’ottima condotta idonea per il riconoscimento dell’attenuante giacché esclude necessariamente una particolare deduzione ed un compiuto adempimento della prestazione del servizio militare.

Legittimamente, quindi, è stata denegata all’Andreis l’attenuante richiesta dovendosi, per le ragioni sopra indicate, affermare che è legittimo il diniego dell’attenuante di cui all’ult. comma dell’art. 48 c. p. mil. pace, al militare che non abbia ottemperato all’obbligo di presentarsi alle armi adducendo di rifiutare il servizio militare e che, costretto a prestare tale servizio, commetta un reato militare, giacché il rifiuto opposto, anche se determinato da motivi ideologici o di coscienza, fa escludere, di per sé, l’ottima condotta militare.

(omissis)

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