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Cassazione penale sez. IV, 26/09/2025, n. 32157

Massima

Il ricorso presentato in sede di legittimità è inammissibile qualora risulti manifestamente infondato e generico, in quanto non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che si presenti logica, congrua e corretta in punto di diritto e, perciò, immune da vizi di legittimità.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione, nel processo penale, disciplinato dagli art. 606 e ss. c.p.c, è un mezzo di impugnazione ordinario, costituzionalmente previsto avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale ed esperibile negli altri casi previsti dal codice di procedura penale, tramite il quale l’impugnante lamenta un errore di diritto compiuto dal giudice nell’applicazione delle norme di diritto sostanziale (c.d. error in iudicando) o di diritto processuale (c.d. error in procedendo).

Legittimata a ricorrere è la parte che vi abbia interesse e conseguentemente le parti necessarie quali l’imputato (a mezzo di difensore abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori) e il pubblico ministero. Altresì, possono proporre ricorso anche le parti ritualmente costituite come la parte civile, civilmente responsabile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

I giudici della Cassazione possono decidere soltanto nell’ambito dei motivi palesati dal ricorrente, in quanto il giudizio verte sulla fondatezza di tali motivi che devono corrispondere alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 606 c.p.p.:

  • eccesso di potere;
  • error in iudicando;
  • error in procedendo;
  • mancata assunzione di una prova decisiva;
  • carenza o manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorso può essere presentato da una parte o da un suo difensore, che deve essere iscritto ad un albo speciale predisposto dalla Corte stessa, (in mancanza viene nominato uno d’ufficio), quindi il Presidente della Cassazione assegna il ricorso ad una delle sei sezioni della Corte a seconda della materia e di altri criteri stabiliti dall’ordinamento giudiziario. Se rileva l’inammissibilità del ricorso, lo assegna alla VII Sezione Penale (c.d. Sezione Filtro), composta dai magistrati di Cassazione delle altre Sezioni Penali che vi si alternano a rotazione biennale. Entro 30 giorni la sezione adìta si riunisce in Camera di Consiglio e decide se effettivamente esiste la causa evidenziata dal Presidente, in mancanza rimette gli atti a quest’ultimo. Come nel procedimento civile, la Cassazione si riunisce a “Sezioni Unite” quando deve decidere una questione sulla quale esistono pronunce contrastanti della Corte di Cassazione stessa o per questioni di importanza rilevante.

Qualora non si proceda in camera di consiglio, l’art. 614 c.p.p. prevede l’ovvia fase dibattimentale. Particolarità è che la sentenza non viene emanata dopo la chiusura del dibattimento, ma subito dopo il termine dell’udienza pubblica. Tuttavia il presidente può decidere di differire la deliberazione ad un’udienza successiva se le questioni sono numerose o particolarmente importanti e complesse.

Sono quattro i tipi di sentenza che la Corte può emettere:

  • di inammissibilità;
  • di rigetto;
  • di rettificazione;
  • di annullamento (con rinvio o senza rinvio).

Come per il procedimento civile, anche nel processo penale è previsto il “ricorso per saltum“, cioè dal primo grado direttamente in Cassazione (art. 569 c.p.p.), è importante precisare che non si può ricorrere per saltum per i motivi alle lettere d) ed e) dell’art. 606 c.p.p. (prove non ammesse in giudizi di grado inferiore e per illogicità o motivazione carente nella sentenza) in quanto la Cassazione ha potere cognitivo di merito molto ristretto.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza resa il 21 settembre 2023 dal locale Tribunale che ha dichiarato (omissis) colpevole del reato di cui all’art. 187, comma 8, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285.

2. Avverso la sentenza di appello ricorre l’imputato a mezzo del difensore che solleva tre motivi che si enunciano nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art. 173 disp. att. cod. proc. pen.):

2.1. Con il primo motivo, deduce vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., nonché violazione dell’art. 187, comma 8, D.Lgs. 285/1992. Non risulterebbe provato l’elemento oggettivo del reato, perché nessun accertamento veniva eseguito sulla sigaretta rinvenuta nella disponibilità del prevenuto, né alcun elemento concreto conduceva a ritenere che lo stato sintomatico fosse generato dall’uso di sostanze stupefacenti. La motivazione si esaurirebbe in una mera clausola di stile. L’imputato non sarebbe stato invitato a sottoporsi ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, di tal che non è configurabile un suo rifiuto a sottoporvisi. La fattispecie caratterizzata dal mero rifiuto del conducente di un veicolo di sottoporsi al prelievo di campioni di liquidi biologici per l’accertamento della presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope, opposto da soggetto al di fuori delle procedure di cui ai commi 2, 2 – bis e 3 e non sottoposto a cure mediche (comma 4) non sarebbe sussumibile nell’astratta previsione di cui all’art. 187, comma 8, cod. strada;

2.2. Con il secondo motivo, deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 131 – bis cod. pen.;

2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 – bis e 133 cod. pen.

3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato, nonché generico perché non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e, pertanto, immune da vizi di legittimità.

2. La sentenza impugnata, invero, ha dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, in particolare evidenziando come l’istruttoria svolta nel primo grado di giudizio abbia consentito di accertare che questi presentava sintomi tali da far sospettare l’assunzione di sostanze stupefacenti, ovvero arrossamento delle mucose nasali, mancanza di attenzione, occhi lucidi. Segni che inducevano il sospetto di una possibile previa assunzione di stupefacenti la quale legittimava l’invito all’imputato a sottoporsi all’accertamento sanitario mediante il prelievo di liquidi biologici necessari presso una struttura accreditata, invito al quale (omissis) opponeva netto rifiuto.

La sentenza impugnata, pertanto, ha operato un buon governo della giurisprudenza di legittimità laddove ha affermato che il reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamenti sanitari sull’eventuale stato di alterazione psicofisica derivante dall’uso di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 187 cod. strada, è configurabile in casi, come quello in esame, in cui sussista il ragionevole motivo di ritenere che il conducente sia sotto l’effetto delle predette sostanze e gli operanti abbiano acquisito elementi utili per motivare l’obbligo di sottoporsi ad analisi di laboratorio (cfr. Sez. 4, n. 24914 del 19/02/2019, Russo Tiziano, Rv. 276363; Sez. 4, n. 12197 del 11/01/2017, Taglialatela, Rv. 269394, secondo cui il reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamenti sanitari sull’eventuale stato di alterazione psicofisica derivante dall’uso di sostanze stupefacenti, è configurabile esclusivamente nel caso in cui sussista il ragionevole motivo di ritenere che il conducente sia sotto l’effetto delle predette sostanze e gli operanti abbiano acquisito elementi utili per motivare l’obbligo di sottoporsi ad analisi di laboratorio).

In ordine, infine, al trattamento sanzionatorio, la censura sul diniego delle invocate attenuanti generiche appare del tutto generica. La Corte territoriale, peraltro, ha adeguatamente argomentato le ragioni del diniego delle circostanze attenuanti generiche, valorizzando i precedenti penali a carico del soggetto, la volontaria sospensione del programma relativo allo svolgimento della messa alla prova (alla quale era stato ammesso), l’assenza di indici positivi favorevolmente valutabili.

L’invocazione della applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 – bis risulta formulata per la prima volta nella presente sede di legittimità ed è pertanto inammissibile.

3. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso l’1 luglio 2025.

Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2025.

Allegati

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