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Cassazione penale Sez. IV, 25/09/2025, n. 32018

Massima

In tema di sequestro probatorio, il decreto di convalida deve essere sorretto da una motivazione che, pur potendo essere concisa, deve specificare adeguatamente le ragioni del vincolo, con riferimento al fumus commissi delicti, al nesso di pertinenzialità tra i beni e il reato, e alla concreta finalità probatoria perseguita.

Supporto alla lettura

INFORTUNIO SUL LAVORO

Per infortunio sul lavoro deve intendersi un evento lesivo avvenuto per causa violenta (con azione intensa e concentrata nel tempo), in occasione di lavoro, dal quale astrattamente possono conseguire, nei casi più gravi, la morte del lavoratore oppure postumi di natura permanente (incidenti sulla capacità lavorativa generica e sull’efficienza psicofisica) oltre che temporanei.

Ogni evento può definirsi avvenuto per causa ed in occasione di lavoro, anche al di fuori dell’orario di lavoro, quando il lavoro sia stato la causa del rischio. E’ cioè necessario che intercorra un nesso di causalità anche mediato ed indiretto, tra attività lavorativa e sinistro. Deve ricorrere un rischio specifico o di un rischio generico aggravato dal lavoro e non di un mero rischio generico incombente sulla generalità delle persone (indipendente dalla condizioni peculiari del lavoro).

Rilevano tutte le condizioni, anche ambientali, in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è immanente il rischio di danno per il lavoratore. Solo il rischio elettivo, ovvero quello rapportabile a fatto proprio esclusivo e frutto di una libera e spontanea determinazione del lavoratore, estraneo alle mansioni ed al lavoro, esclude l’occasione di lavoro.

È infortunio sul lavoro anche il così detto “infortunio in itinere”, cioè quello occorso al lavoratore nel tragitto compiuto per recarsi o tornare dal luogo di lavoro a casa. Sono considerati infortuni sul lavoro anche quelli dovuti a colpa del lavoratore stesso.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO

 

1. Il Tribunale del riesame di Belluno, con ordinanza del 21 marzo 2025 depositata il 19 aprile 2025, rigettava l’istanza di riesame presentata dalla difesa di A.A. avverso il decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero il 7 marzo 2025.

Il procedimento trae origine da un infortunio sul lavoro verificatosi il 5 marzo 2025 presso l’impianto di risalita “Porta Vescovo” in località Livinallongo del Col di Lana – Arabba, che coinvolgeva un dipendente della società (Omissis), di cui A.A. era legale rappresentante.

L’evento, secondo la ricostruzione processuale, si caratterizzava per il mancato azionamento del sistema di rallentamento automatico dell’impianto funiviario, determinando l’impatto violento della cabina contro i finecorsa. L’urto provocava la rottura dei dispositivi di arresto e l’oscillazione della cabina sul perno di vincolo, generando un ulteriore impatto contro una traversa d’acciaio della stazione a valle. Ne conseguivano la deformazione strutturale della cabina, la rottura delle pulegge e delle funi di traino, l’abbassamento della cabina di circa trenta centimetri dalla propria sede. Il sinistro determinava lesioni al dipendente, con prognosi di trenta giorni, configurandosi un’ipotesi di lesioni colpose ex art. 590 cod. pen. e inducendo gli inquirenti a ipotizzare il reato di disastro colposo ex artt. 434 e 449 cod. pen.

Immediatamente dopo l’infortunio, il personale dello SPISAL procedeva al sequestro d’iniziativa dell’intero impianto di risalita bifune, comprensivo di cabina comandi, stazioni, sistemi di registrazione dati e cabina di vettura, motivando il provvedimento con la necessità di conservare inalterato il corpo del reato e mettere in sicurezza la fune precipitata a terra.

Con decreto del 7 marzo 2025, il Pubblico Ministero convalidava il sequestro, indicando i reati per cui A.A. risultava indagato: lesioni colpose ex art. 590 cod. pen. e disastro colposo ex artt. 334 e 449 cod. pen. Il decreto qualificava i beni sequestrati come “corpo del reato” o “cosa pertinente al reato”, motivando il mantenimento del sequestro quale strumento indispensabile al fine di approfondire la dinamica dell’incidente occorso, anche eventualmente tramite consulenza tecnica.

La difesa di A.A. presentava istanza di riesame articolata su tre motivi principali: assenza di querela per il reato di lesioni, con prognosi inferiore a quaranta giorni; insussistenza del fumus per il disastro colposo, mancando un accadimento macroscopico e dirompente; carenza di motivazione del decreto di convalida per omessa indicazione precisa delle ipotesi di reato, mancata esplicitazione della funzionalità del sequestro e violazione del principio di proporzionalità.

Il Tribunale del riesame rigettava integralmente l’istanza argomentando che in sede di riesame occorre pronunciarsi solo sull’astratta configurabilità del reato, escludendo verifiche sulla fondatezza concreta e sulla procedibilità. Quanto al disastro, il Collegio riteneva gli elementi rappresentati congrui per l’astratta configurabilità del reato. Sulla motivazione, il Tribunale considerava sufficientemente indicate le ipotesi di reato e giustificava il sequestro esteso all’intero impianto in relazione alla complessità della struttura e all’estensione dell’indagine.

 

2. Avverso l’ordinanza di rigetto, la difesa propone ricorso per Cassazione articolato su due motivi incentrati sul vizio di motivazione del decreto di convalida del sequestro probatorio e sulla conseguente illegittimità dell’ordinanza che ne ha confermato la validità.

 

2.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge ex art. 606, co. I, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 253, 355, comma 2, cod. proc. pen. e 125 cod. proc. pen., nonché agli artt. 42 Cost., art. 1 Prot. 1 CEDU e 275 cod. proc. pen., per motivazione inesistente o meramente apparente del decreto di convalida.

La censura si articola su quattro distinti profili di illegittimità, tutti convergenti verso la dimostrazione della totale inadeguatezza motivazionale del provvedimento impugnato.

Il primo profilo di carenza riguarda la totale assenza di descrizione del fatto di reato.

Per le lesioni personali, l’unico elemento descrittivo è costituito dal rinvio al verbale di sequestro dello SPISAL, nel quale il sinistro viene laconicamente qualificato come “infortunio sul lavoro occorso al dipendente in data 5.3.2025 c/o impianto di risalita Porta Vescovo”. Tale descrizione risulta del tutto inidonea a delineare le modalità dell’accadimento e a chiarire se l’infortunio sia stato determinato da carenze dell’impianto.

Ancora più grave, ad avviso del ricorrente, appare la carenza per l’ipotesi di disastro colposo, dove il decreto, al di là del richiamo normativo – peraltro viziato dall’erronea indicazione dell’art. 334 cod. pen. in luogo dell’art. 434 cod. pen. – non contiene alcun elemento descrittivo che permetta di comprendere sulla base di quali circostanze il Pubblico Ministero abbia configurato il reato.

Strettamente collegata alla indicata carenza è la mancata specificazione del rapporto di pertinenzialità tra i beni sequestrati e i reati ipotizzati.

L’assenza di descrizione fattuale impedisce infatti di comprendere quale sia il collegamento tra l’impianto a fune oggetto del sequestro e le fattispecie criminose contestate, nonché le ragioni per cui i beni sottoposti a vincolo possano essere considerati “corpo del reato” o “cose pertinenti al reato”. Il decreto si limita a utilizzare formule prestampate, con evidenziazioni in grassetto, senza specificare la concreta relazione qualificata tra il reato ipotizzato e il bene sottoposto a vincolo.

Il terzo profilo di illegittimità concerne la violazione del principio di proporzionalità. Il ricorrente denuncia come la mancata descrizione del fatto di reato non consenta di valutare il rispetto dell’equilibrio tra la compressione del diritto di proprietà e di iniziativa economica e le esigenze procedimentali. Il sequestro dell’intero impianto funiviario, comprensivo delle stazioni a valle e a monte con tutte le apparecchiature collegate, risulta manifestamente sproporzionato in assenza di una motivazione che dia conto del necessario contemperamento di interessi e dell’impossibilità di ricorrere a strumenti meno invasivi.

Il quarto e ultimo profilo attiene alla genericità assoluta della finalità probatoria indicata nel decreto. L’indicata finalità (“approfondire la dinamica dell’incidente occorso, anche eventualmente tramite consulenza tecnica”) non consente di comprendere la concreta funzionalità del sequestro rispetto alle specifiche esigenze di accertamento, configurandosi come formula di stile, priva di contenuto.

A sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente richiama una consolidata giurisprudenza di legittimità, ed in particolare la sentenza Sez. 2, 16 novembre 2023, n. 46130, secondo la quale “l’obbligo di motivazione che deve sorreggere, a pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possono considerarsi corpo del reato ovvero cose ad esso pertinenti ed alla concreta finalità probatoria perseguita, con l’apposizione del vincolo reale, deve essere modulato da parte del Pubblico Ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare, non essendo sufficiente il mero richiamo agli articoli di legge, senza, tuttavia, descrivere i fatti, né la ragione per la quale i beni sequestrati dovessero considerarsi corpo del reato o cose ad esso pertinenti, né la finalità probatoria perseguita”.

Particolare vigore assume la contestazione rivolta alla motivazione del Tribunale del riesame, qualificata dal ricorrente come meramente apparente. Il Collegio si è limitato ad affermare, con argomentazione apodittica, che “le ipotesi di reato risultano sufficientemente indicate” e che “in motivazione è espressa la funzionalità delle cose sottoposte a sequestro all’accertamento dei fatti”, senza affrontare nel merito la pur tempestivamente rilevata assenza di una sommaria descrizione del fatto-reato. Ancor più gravemente – sostiene la difesa – il Tribunale ha operato un’indebita integrazione motivazionale del decreto di convalida, delineando gli eventi antecedenti al sequestro sulla base di documentazione non richiamata nel provvedimento impugnato, in violazione del principio giurisprudenziale secondo cui “il giudice del riesame non può integrare la motivazione del relativo decreto in ordine alla specifica esigenza probatoria che giustifica l’adozione del vincolo sul bene, in quanto è dovere del pubblico ministero che ha disposto il sequestro enucleare le ragioni che ne evidenziano in concreto la funzionalità all’accertamento del reato per cui si procede”.

Un ulteriore profilo di illegittimità viene individuato nell’apprensione di hardware informatico – due personal computer presenti nella stazione di valle con tutti i relativi dati e programmi – della quale non viene fatta menzione né nel verbale di sequestro dello SPISAL né nel decreto di convalida, ma che emerge dalla delega di indagini del 7 marzo 2025 e dal verbale di consulenza tecnica del 17 marzo 2025. Tale apprensione, secondo consolidata giurisprudenza, richiede la specificazione del perimetro acquisitivo, anche temporale, dei dati informatici contenuti negli hardware, in ossequio al principio di proporzionalità di derivazione comunitaria.

 

2.2. Il secondo motivo di ricorso, strettamente connesso al primo, ma autonomo nella sua configurazione giuridica, denuncia violazione di legge ex art. 606, co. 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. pen., nonché art. 125, comma 3, cod. proc. pen., per mancata declaratoria di nullità del decreto di convalida in presenza di omessa motivazione.

Il ricorrente sostiene che il Tribunale del riesame ha violato un consolidato principio giurisprudenziale che distingue nettamente tra due ipotesi: quando il provvedimento originario presenti una motivazione meramente lacunosa, l’intervento supplettivo del Collegio del riesame è consentito; quando invece il provvedimento risulti sostanzialmente sprovvisto di motivazione sin dall’origine, deve trovare applicazione l’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., richiamato dall’art. 324, comma 7, del codice di rito, che impone al Collegio del riesame di limitarsi a un atto ricognitivo dell’intervenuta omissione originaria, dichiarando la nullità del provvedimento, senza alcuna possibilità di eterointegrazione successiva.

A sostegno della prospettazione, il ricorrente richiama Cass. Sez. 3, 14 novembre 2023, n. 3038, secondo cui “in tema di impugnazioni cautelari reali, non è consentito al Tribunale del riesame integrare la motivazione del decreto di sequestro preventivo a fini di confisca in punto di periculum in mora, nel caso in cui essa sia del tutto mancante, in quanto tale carenza è causa di radicale nullità del provvedimento ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. pen.”. Ricorda, inoltre, che il principio è stato ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 18954 del 31 marzo 2016) con specifico riferimento al sequestro probatorio: “nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del Tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 al comma nono dell’art. 309 cod. proc. pen., sono applicabili – in virtù del rinvio operato dall’art. 324, comma settimo dello stesso codice – in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il Tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa”.

Nel caso di specie, secondo il ricorrente, il decreto di convalida risulta caratterizzato da una radicale assenza di motivazione, evidenziata dalla mancanza di qualsiasi descrizione del fatto asseritamente illecito, dall’erronea indicazione degli articoli di legge ritenuti conferenti, e dall’improprio utilizzo di clausole di stile e moduli prestampati. Tale carenza costituisce violazione in procedendo stabilita a pena di nullità, che avrebbe dovuto indurre il Tribunale del riesame a rilevare l’originaria nullità del decreto e ad annullarlo, anziché procedere a un’indebita eterointegrazione motivazionale contraria ai principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità.

 

3. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, alle quali si è richiamato in udienza, chiedendo il rigetto del ricorso.

Il difensore dell’imputato, avendo ricevuto copia di tali conclusioni, ha depositato memoria di replica (con documenti) e ulteriore memoria difensiva integrativa; nella discussione orale, ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. All’esame dei motivi di ricorso è utile premettere i principi che questa Corte ha affermato sulle questioni concernenti gli obblighi di motivazione dei decreti di convalida del sequestro probatorio e i limiti del potere di integrazione motivazionale del giudice del riesame, nel più ampio contesto del bilanciamento tra esigenze di accertamento processuale e tutela dei diritti fondamentali, segnatamente il diritto di proprietà garantito dall’art. 42 della Costituzione e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU.

Il quadro normativo di riferimento è costituito dall’art. 253, comma 1, cod. proc. pen., che impone all’autorità giudiziaria di disporre “con decreto motivato” il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti.

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella pronuncia n. 36072 del 19/04/2018, dep. 2018, Botticelli, Rv. 273548-01: “il decreto di sequestro probatorio – così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti”.

Le Sezioni Unite, con l’indicata pronuncia, hanno definitivamente superato l’orientamento che esentava il sequestro del corpo del reato da specifici obblighi motivazionali, chiarendo che l’art. 253 cod. proc. pen. esprime l’obbligo motivazionale in termini assoluti, indipendentemente dalla natura delle cose da apprendere a fini di prova. Il supremo Collegio ha sottolineato come il dato normativo non consenta differenziazioni tra corpo del reato e cose pertinenti al reato, atteso che il decreto deve essere “motivato” secondo quanto previsto dall’incipit della disposizione.

Particolare attenzione è stata posta sul fatto che “la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione EDU richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità sulla cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione”. Le Sezioni Unite hanno evidenziato che solo attraverso un’adeguata motivazione è possibile garantire che la misura “sia soggetta al permanente controllo di legalità – anche sotto il profilo procedimentale – e di concreta idoneità in ordine all’an e alla sua durata, in particolare per l’aspetto del giusto equilibrio o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero lo spossessamento del bene, e il fine endoprocessuale perseguito”.

La Corte ha inoltre chiarito che l’obbligo di motivazione deve riguardare: a) il fumus commissi delicti; b) le ragioni per le quali la cosa sequestrata sia “collegata” al reato, configurandosi come corpo di reato o cosa pertinente al reato; c) la concreta finalità probatoria perseguita con l’apposizione del vincolo reale.

Per quanto di specifico interesse in questa sede, in ordine al quantum di motivazione richiesto, le Sezioni Unite hanno precisato che non è necessario un compendio argomentativo particolarmente diffuso, potendo la motivazione essere anche “concisa”, purché dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti.

Parimenti consolidato è il principio secondo cui il giudice del riesame può integrare la motivazione del decreto di sequestro, a condizione che esso contenga, sia pur con incompletezze o lacune, le ragioni giustificative del vincolo sul bene (Sez. 2, n. 47000 del 14/11/2008, Saladino, Rv. 242211), mentre deve annullare il provvedimento quando “la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento” (Sez. U., n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789).

 

2. Tanto premesso, ritiene il Collegio che il primo motivo sia infondato.

Il ricorrente contesta l’assenza di descrizione del fatto nel decreto di convalida, limitandosi questo al mero richiamo delle norme presumibilmente violate. La censura non coglie nel segno, avendo il Collegio del riesame correttamente evidenziato che il decreto conteneva una descrizione del fatto mediante richiamo per relationem al verbale di sequestro dello SPISAL, nel quale si dava atto dell’infortunio sul lavoro occorso al menzionato dipendente presso l’impianto di risalita, con fune traente precipitata a terra.

La tecnica motivazionale trova pieno riconoscimento nella consolidata giurisprudenza di legittimità. Come chiarito dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 17 del 21/06/2000 (Primavera, Rv. 216664), la motivazione per relationem è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile.

Nel caso di specie, il decreto di convalida ha espressamente dichiarato che il verbale di sequestro dello SPISAL si intende “qui integralmente trascritto e che si allega al presente decreto per costituirne parte integrante e sostanziale”. La formulazione dimostra che il pubblico ministero ha preso cognizione del contenuto del verbale e lo ha ritenuto coerente con la propria decisione. La circostanza che il verbale sia stato allegato al decreto conferma tale conclusione e garantisce la piena conoscibilità dell’atto di riferimento, dal quale emerge una sintetica descrizione del fatto.

 

2.2. Il secondo profilo di censura attiene alla genericità della finalità probatoria indicata nel decreto (“approfondire la dinamica dell’incidente occorso, anche eventualmente tramite consulenza tecnica”). Anche tale doglianza risulta infondata, avendo il Collegio giudicante correttamente valutato l’adeguatezza di tale motivazione rispetto alle esigenze investigative concrete.

L’ordinanza ha argomentato che, in motivazione, è espressa la funzionalità delle cose sottoposte a sequestro all’accertamento dei fatti, con particolare riferimento alla necessità di approfondire la dinamica dell’incidente occorso, anche eventualmente tramite consulenza tecnica, evidenziando che l’accertamento è evidentemente esteso all’intero impianto, comprese le due stazioni, ed alle apparecchiature collegate (comprensive dei software), che dunque vengono intese attratte alle indagini ricostruttive aventi ad oggetto la dinamica del sinistro.

L’argomentazione appare congruente con i principi stabiliti dalle Sezioni Unite (n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548-01), che non richiedono un compendio argomentativo particolarmente diffuso, purché la motivazione, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti. La finalità probatoria indicata nel caso di specie risulta specificamente correlata alla natura tecnica dell’indagine e all’oggetto del sequestro.

Il ricorrente lamenta altresì la violazione del principio di proporzionalità, sostenendo che il sequestro dell’intero impianto funiviario risulterebbe sproporzionato in assenza di adeguata motivazione. Il rilievo non merita accoglimento, avendo il Collegio del riesame specificamente affrontato il profilo di cui si discute. L’ordinanza ha infatti precisato che il sequestro di tutti gli impianti non appare piegato ad una mera finalità esplorativa, essendo stato motivato, sia pure succintamente, in relazione all’esigenza di comprensione della dinamica del sinistro, che, almeno allo stato, non consente di limitarlo a una parte delle cose coinvolte nel mancato funzionamento dell’impianto.

La motivazione dimostra una corretta applicazione del principio di proporzionalità, evidenziando come l’estensione del sequestro non abbia finalità meramente esplorative, ma sia giustificata dalla natura tecnica dell’indagine e dall’interconnessione funzionale dei componenti dell’impianto.

La circostanza che tra i beni sequestrati vi siano i computer destinati a gestire il funzionamento dell’impianto è coerente con queste premesse e nel ricorso non si chiarisce se in questi apparecchi elettronici fossero contenuti dati inerenti alla vita privata degli utilizzatori.

 

2.3. Nel considerare i profili relativi alla configurazione dei reati ipotizzati, occorre premettere che il Tribunale del riesame ha correttamente applicato i principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti e alle finalità del controllo giurisdizionale sui decreti di convalida del sequestro probatorio.

Come chiarito dall’ordinanza impugnata, in sede di riesame il Tribunale deve pronunciarsi esclusivamente in ordine all’astratta configurabilità del reato ipotizzato, con esclusione dell’esercizio di una verifica in concreto della sua fondatezza e della rilevabilità della mancanza delle condizioni di procedibilità, atteso che tale verifica è ipotizzabile solo nella fase processuale vera e propria.

Quanto al reato di lesioni personali colpose ex art. 590 c.p., il ricorrente ha dedotto l’insussistenza del fumus delicti invocando l’assenza di querela e la prognosi inferiore a quaranta giorni. La censura si rivela manifestamente infondata, avendo il Tribunale correttamente evidenziato che, essendo il vincolo destinato ad assicurare le fonti di prova, è ben possibile disporre il sequestro probatorio anche in mancanza di una condizione di procedibilità che possa ancora sopravvenire, richiamando il consolidato principio secondo cui la provvisoria mancanza d’una condizione di procedibilità può considerarsi elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale, ma è inidonea ad inficiare la legittimità del sequestro probatorio (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260313).

Sul piano fattuale, il Tribunale ha correttamente individuato gli elementi costitutivi del reato nelle circostanze dell’infortunio occorso al dipendente, presso l’impianto di risalita, caratterizzato dal mancato azionamento del sistema di rallentamento automatico con conseguente impatto violento della cabina e lesioni personali con prognosi di trenta giorni. La ricostruzione operata dall’ordinanza dimostra come l’evento non possa considerarsi meramente accidentale, ma si inserisca in un quadro di possibili violazioni delle norme di prevenzione infortuni, con conseguente configurabilità dell’elemento colposo del reato. Il collegamento causale tra la condotta omissiva e l’evento lesivo risulta adeguatamente delineato attraverso la descrizione del malfunzionamento dell’impianto e delle sue conseguenze dirette sull’incolumità del lavoratore.

Per quanto concerne il reato di disastro innominato colposo ex artt. 434 e 449 c.p., il ricorrente ne ha contestato l’astratta configurabilità sostenendo l’assenza di un accadimento macroscopico e dirompente. Anche tale doglianza risulta infondata, avendo il Collegio fornito una dettagliata e convincente ricostruzione della dinamica dell’incidente che evidenzia la sussistenza degli elementi tipici della fattispecie. L’ordinanza ha specificamente argomentato come gli elementi emersi – il mancato azionamento del sistema di rallentamento automatico, l’impatto violento della cabina contro i finecorsa, la conseguente oscillazione e l’urto contro la traversa d’acciaio, la deformazione strutturale della cabina, la rottura delle pulegge e delle funi di traino, nonché i danni ai tamponi di fine corsa – integrino un quadro fattuale che, valutato con il parametro appropriato alla sede del riesame, fonda un giudizio di astratta configurabilità del reato ipotizzato.

Il Tribunale ha correttamente precisato che la valutazione non deve avvenire nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, bensì con riferimento all’idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, connotato da gravi danni strutturali all’impianto funiviario, con compromissione dei sistemi di sicurezza e potenziale pericolo per l’incolumità pubblica derivante dal malfunzionamento di un’infrastruttura di trasporto.

L’ordinanza ha inoltre evidenziato come non possa dubitarsi della congruità degli elementi rappresentati, tenuto conto della concatenazione causale che ha portato dal malfunzionamento iniziale del sistema di rallentamento alle conseguenze strutturali descritte, dimostrando come l’evento non si sia limitato a un semplice incidente circoscritto, ma abbia assunto caratteristiche di particolare gravità e potenziale diffusività del pericolo (pag. 2, par. 4.1: “pericolo in relazione a soggetti terzi a prescindere dall’unicità del soggetto che viaggiava nella cabina”). La valutazione operata dal Collegio appare quindi conforme ai principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, che richiede in sede di riesame non la certezza della sussistenza del reato, ma la sola verifica dell’astratta configurabilità della fattispecie sulla base degli elementi disponibili.

 

3. Ugualmente infondato è il secondo motivo di ricorso.

Il ricorrente sostiene che, in ragione della radicale assenza di motivazione, il Collegio del riesame non avrebbe potuto procedere ad integrazione motivazionale, dovendo limitarsi a dichiarare la nullità del decreto. La censura è manifestamente infondata.

Come chiarito dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 18954/2016, il divieto di integrazione opera soltanto quando “la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento”. Nel caso di specie, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il decreto di convalida conteneva gli elementi essenziali per la valutazione della legittimità del sequestro, seppur in forma sintetica.

Il Tribunale ha legittimamente operato un’integrazione motivazionale nei limiti consentiti dalla giurisprudenza di legittimità, non sostituendosi al pubblico ministero nella valutazione delle esigenze investigative, ma limitandosi a completare il quadro argomentativo sulla base degli elementi già presenti nel decreto e nei documenti richiamati.

L’operato del Collegio del riesame si mostra pienamente conforme ai principi consolidati in materia di integrazione motivazionale. Come evidenziato nell’ordinanza, il decreto di convalida, pur presentando una motivazione sintetica, conteneva comunque gli elementi essenziali attraverso il richiamo ai verbali di polizia giudiziaria e l’indicazione della finalità probatoria. Di conseguenza, il Collegio poteva completare il quadro motivazionale, evidenziando la coerenza tra l’oggetto del sequestro e le esigenze investigative, e ha provveduto in tal senso senza operare valutazioni sostitutive, ma limitandosi a esplicitare le ragioni già implicite nel provvedimento impugnato.

L’integrazione risulta conforme al principio secondo cui il giudice del riesame può far valere ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’atto a lui sottoposto, a condizione che l’atto in questione sia, per l’appunto, in qualche modo motivato, rimanendo invece tenuto ad annullare il provvedimento solo quando questo si limiti alla mera constatazione dell’oggetto del sequestro senza alcuna argomentazione (ex multis, Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, Emme Ci Tex Srl, Rv. 285747).

4. Alla declaratoria di rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Conclusione

 

Così deciso in Roma il 4 luglio 2025.

 

Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2025.

Allegati

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