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Cassazione penale sez. IV, 21/07/2017, n. 36083

Massima

Il mero decorso del tempo non annulla le esigenze cautelari se la perdurante pericolosità sociale del soggetto, manifestata da condotte criminali successive, non vince le presunzioni di legge e rende la custodia in carcere indispensabile.

Supporto alla lettura

MISURE CAUTELARI

Si tratta di quei provvedimenti, di natura provvisoria ed immediatamente esecutiva, emessi dall’Autorità Giudiziaria, finalizzati a prevenire determinati eventi che possono verificarsi durante le indagini preliminari o nel corso del processo, capaci di compromettere la funzione giurisdizionale.

Le misure cautelari si dividono in:

– PERSONALI: cioè limitative della libertà personale. Possono essere:

  • coercitive (sopprimono o limitano la libertà personale): si distinugono in custodiali, quindi arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.), custodia in carcere (art. 285 c.p.p.), custodia in luogo di cura (art. 286 c.p.p.); non custodiali, divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.), obbligo di presentazione alla P.G. (art. 282 c.p.p.), allontanamento dalla casa familiare (art. 282bis c.p.p.), divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282ter c.p.p.), divieto e obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.)
  • interdittive (diritti e facoltà personali): quindi: sospensione della potestà di genitore (art. 288 c.p.p.), sospensione da un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p.), in questo caso il GIP deve prima procedere ad interrogatorio, divieto di esercitare determinate attività (art. 290 c.p.p.)

– REALI: provvedimenti che incidono sul patrimonio, hanno finalità cautelari riferibili o alla garanzia per il pagamento delle pene pecuniarie, spese di giustizia ed eventuali risarcimenti danni (sequestro conservativo, artt. 316-320 c.p.p.), ovvero all’esigenza di impedire la commissione di nuovi reati o ulteriori conseguenze a quelli già commessi (sequestro preventivo, artt. 321-323 c.p.p.). Tali misure vanno richieste al giudice da parte del P.M., per esse è previsto un sistema di impugnazioni e non sono condizionate ai presupposti dei gravi indizi e delle esigenze cautelari.

Per quanto riguarda le condizioni per l’applicazione di tali misure, bisogna guardare a:

  • limite edittale della pena: delitti, pena dell’ergastolo o della reclusione superiore al massimo a 3 anni per le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare in carcere e per le misure interdittive, pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni per la custodia cautelare in carcere;
  • gravi indizi di colpevolezza;
  • esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.): devono essere specifiche ed inderogabili, relative ad un pericolo di inquinamento probatorio ed attuale, fondate su circostanze, espressamente indicate nel provvedimento, pena nullità (in questo caso la custodia cautelare non può avere durata superiore ai 30 giorni ed è prorogabile fino a un massimo di 90 giorni). Se vi è fuga o pericolo di fuga, quando la pena applicabile in concreto superi i due anni di reclusione, oppure per gravi delitti con uso delle armi o altri mezzi di violenza personale, contro ordine costituzionale, criminalità organizzata.

Il giudice adotterà la misura cautelare più opportuna, secondo i principi di adeguatezza di proporzionalità, di obbligatorietà della custodia cautelare, nel caso di criminalità organizzata, omicidio volontario, prostituzione o pornografia minorile. Non può disporsi la custodia cautelare in carcere di donna incinta, madre di prole inferiore a 3 anni con lei convivente, padre se la madre è deceduta o impossibilitata a dare assistenza alla prole, ultrasettantenne.

L’applicazione della misura avviene con provvedimento del giudice, su richiesta del P.M., il quale dovrà trasmettere al giudice, unitamente alla richiesta di applicazione di una misura cautelare, non solo gli elementi che sono a fondamento di essa, ma anche quelli a favore dell’imputato, le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. All’esecuzione dell’ordinanza dovrà seguire l’interrogatorio (c.d. di garanzia) della persona interessata. Nel caso di mancata esecuzione per irreperibilità della persona da sottoporre alla misura cautelare, l’art. 295 c.p.p. prevede che a seguito di verbale di vane ricerche, il giudice dichiari la latitanza del soggetto, quando la misura sia di tipo coercitivo, ma non necessariamente custodiale.

Avverso l’ordinanza che applica le misure, oltre il ricorso per cassazione è previsto il duplice rimedio del riesame e dell’appello.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale per il riesame di Catania il 28 novembre – 19 dicembre 2016, in accoglimento, per quanto in questa sede rileva, dell’appello ex art. 310 c.p.p. del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Catania del 20 maggio 2016, reiettiva della richiesta di applicazione di misure cautelari, ha applicato la custodia cautelare in carcere nei confronti di (omissis) alias (omissis), indagato per i reati di cui agli artt. 74, con il ruolo di promotore e di organizzatore, D.P.R. n. 309 del 1990artt. 73 ed 80, con l’aggravante della transnazionalità (capi nn. 1 e 4 dell’editto) e per detenzione di armi da guerra e comuni da sparo (capi da n. 5 a n. 9 dell’editto), fatti tutti contestati come commessi non oltre il mese di (omissis).

L’esecuzione della misura è sospesa ex art. 310 c.p.p., comma 3.

2. Va premesso che il G.i.p. aveva il 20 maggio 2016 disatteso integralmente la richiesta cautelare del P.M., pur ritenendo la sussistenza dei prescritti indizi di colpevolezza, stimando inattuali le esigenze cautelari, per decorso di più di tre anni dai fatti, anche tenuto conto del contenuto della novella di cui alla L. 16 aprile 2015, n. 47 (pp. 368 e 402 dell’ordinanza del G.i.p.).

3. Ricorre per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale per il riesame (omissis) alias (omissis), tramite difensore, che si affida a due motivi con i quali denunzia violazione di legge (li si indica secondo quanto previsto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1).

3.1. Mediante il primo motivo il ricorrente censura violazione degli artt. 178310581 e 591 c.p.p., per avere il Tribunale per il riesame illegittimamente disatteso l’eccezione che era stata formulata all’udienza camerale incentrata sull’inammissibilità, per difetto di specificità sotto il profilo individualizzante, dell’appello cautelare del P.M..

3.2. Con il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 274 e 275 c.p.p. e della L. n. 47 del 2015, per non avere tenuto conto i giudici di merito della considerevole distanza temporale dai fatti contestati (non oltre l'(omissis)), elemento che è invece necessario tenere in considerazione ai fini della valutazione sull’attualità delle esigenze cautelari, mentre non si rinverrebbe adeguata motivazione al riguardo nell’ordinanza impugnata.

Richiamati precedenti di legittimità stimati pertinenti, si sottolinea che la prova della mancanza di attualità nel caso di specie deriverebbe, oltre che dalla distanza temporale rispetto ai fatti, anche dalle circostanze che molti coindagati che si ipotizza fare parte dell’associazione sono detenuti in carcere e che in relazione ad un procedimento pendente più recente valorizzato nell’ordinanza impugnata (giornalisticamente chiamato “Operazione Odissea”) il Tribunale per il riesame, all’epoca adito, ha escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato associativo ex D.P.R. n. 309 del 1990art. 74.

Motivi della decisione

1. Va premesso che non sono in contestazione i gravi indizi di colpevolezza, già ritenuti sussistenti dal G.i.p..

2. Quanto al primo motivo di ricorso, l’appello cautelare del P.M. del Tribunale di Catania non è strutturato in modo talmente generico da risultare inammissibile e, come correttamente ritenuto dal Tribunale per il riesame di Catania, l’impugnazione in questione, che verteva soltanto in punto di esigenze cautelari, è da stimarsi sufficientemente definita nell’oggetto, nei motivi e nelle argomentazioni addotte a sostegno.

3. Quanto all’aspetto del decorso del tempo e della sua significatività in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, correttamente ha richiamato il Collegio di Catania la previsione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, terzo periodo, che prevede – anche – per la contestazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990art. 74, richiamato dall’art. 51 c.p.p., comma 3-bis, una duplice presunzione, per quanto attenuata e relativa, sia di sussistenza delle esigenze cautelari sia di indispensabilità della custodia in carcere, “salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.

Ciò posto, il Collegio non ignora – e, anzi, condivide – l’orientamento, espressione dei canoni fondanti dell’ordinamento, secondo il quale “In tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990art. 74 in relazione a condotte risalenti nel tempo, la sussistenza delle esigenze cautelari deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità; ciò in quanto per tale fattispecie associativa, qualificata unicamente dai reati fine, non può essere applicata la regola di esperienza valida per le associazioni di tipo mafioso, della tendenziale stabilità del sodalizio, in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo” (Sez. 3, n. 17110 del 19/01/2016, Schiariti, Rv. 267160; in conformità, cfr. Sez. 3, n. 23367 del 17/12/2015, dep. 2016, Marzoli, Rv. 267341; Sez. 6, n. 1406 del 02/12/2015, dep. 2016, Rubini, Rv. 265917; Sez. 6, n. 44129 del 22/10/2015, Vitali, Rv. 265457; Sez. 4, n. 26570 del 11/06/2015, Flora, Rv. 263871).

Sta di fatto, però, che nel caso di specie non solo nessun elemento dimostra l’essere venute meno le esigenze cautelari (relativamente) presunte, tanto che lo stesso G.i.p. scrive espressamente, alla p. 368 dell’ordinanza del 30 maggio 2016, che “In effetti deve dirsi che il nucleo criminoso non si è fermato”, ma anche, come evidenziato dal Tribunale per il riesame nell’ordinanza impugnata (pp. 6-7), oltre alla posizione apicale del ricorrente, all’assiduità dei contatti anche con l’estero ed alla costanza nella programmazione delle attività relative ai fatti per cui si procede, la protrazione dell’attività criminosa da parte di (omissis) alias (omissis) è dimostrata dall’essere stato lo stesso arrestato, insieme ad altre quattordici persone, nell’ambito del procedimento dell’anno 2015 giornalisticamente denominato “(omissis)” per traffico di stupefacenti, con le aggravanti della ingente quantità e della transnazionalità: in conseguenza ha, non illogicamente, concluso il Tribunale per il riesame di Catania che deve ritenersi che l’indagato viva abitualmente dei proventi illeciti derivanti dal traffico di stupefacenti e che lo stesso, con elevata probabilità, tornerà a delinquere (p. 7 dell’ordinanza impugnata).

Ebbene, anche ove, dando per assodato quanto si assume nel ricorso, pur senza allegare alcunchè a riprova, cioè che il Tribunale per il riesame, all’epoca adito, abbia escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato associativo ex D.P.R. n. 309 del 1990art. 74, resterebbe quale significativo indice di perdurante pericolosità sociale la ulteriore violazione da parte di (omissis) alias (omissis), dopo i fatti per cui è processo, del D.P.R. n. 309 del 1990artt. 73 e 80 e della L. 16 marzo 2006, n. 146art. 4.

Corretto risulta, in definitiva, il ragionamento svolto dai giudici di merito circa il mancato superamento, nel caso di specie, delle presunzioni (relative) di pericolosità e di, correlativa, adeguatezza della custodia in carcere, avendo peraltro, sotto tale ultimo profilo, in maniera sintetica ma congrua, spiegato il Tribunale per il riesame di Catania che non è possibile fare affidamento sulla capacità e sulla volontà del soggetto, già peraltro resosi responsabile di una fuga, di osservare misure alternative (pp. 7 e 5 dell’ordinanza impugnata).

4. Discende da tutte le considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna, per legge (art. 616 c.p.p.), del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Tribunale Distrettuale del riesame perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 92 Disp. att. c.p.p..

Manda alla Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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