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Cassazione penale sez. IV, 19/07/2017, n.41997

Massima

L’aggravante ex art. 625 c.p. non s’integra in caso di bene lasciato incustodito dal legittimo possessore. Inoltre, in caso di furto, la sottrazione di più beni a più persone offese richiede la formale contestazione di fatti di reato diversi.

Supporto alla lettura

Definizione: Il furto consiste nella sottrazione illegittima e dolosa della cosa altrui a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri. Il furto è disciplinato dall’art. 624 c.p. e sanziona l’impossessamento della cosa mobile altrui attraverso la sottrazione del bene al soggetto detentore al fine di trarne profitto per sé o per altri. Circa l’elemento soggettivo, il furto è reato a dolo specifico, in quanto richiede non solo la coscienza e volontà di sottrarre al detentore la cosa mobile altrui e di impossessarsene, ma altresì il fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto. A differenza del reato di truffa, il furto si concretizza in un’azione realizzata sul bene altrui contro o in assenza della volontà del titolare, che viene definitivamente spogliato della cosa detenuta. La carica offensiva del delitto di furto risiede, dunque, nella condotta di sottrazione lesiva della sfera del consenso del detentore del bene, con conseguente danno alla sua integrità patrimoniale. Ai fini della realizzazione del furto, non è necessaria la manifestazione di una volontà contraria all’apprensione del bene, data per presunta anche nelle ipotesi in cui l’impossessamento avvenga fuori dalla sfera di controllo del detentore in maniera clandestina ovvero sfruttando la sua momentanea carenza di attenzione. Qualora il furto venga commesso mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa si ravvisa l’integrazione della fattispecie autonoma di reato di cui all’art. 624 bis c.p., introdotta dalla legge n. 128/2001, oggetto peraltro di una recente riforma che ha ulteriormente inasprito la pena originariamente prevista. La formulazione della norma in esame persegue lo scopo di estendere la tutela della sfera domestica alla sfera del domicilio penalisticamente inteso, assorbendo nella nozione di privata dimora, certamente più ampia e comprensiva di quella di abitazione, tutti quei luoghi non pubblici nei quali le persone si trattengono per compiere atti della loro vita privata ovvero attività di carattere culturale, professionale e politico. Con la sentenza n. 52117/2014, le Sezioni Unite sono nuovamente intervenute sulla questione del momento in cui si commette il reato di furto nei supermercati, affermando il principio secondo il quale superare le casse integra solamente il tentativo. Il furto con destrezza rappresenta un’aggravante del reato, che si verifica quando il ladro compie le azioni con particolari abilità, astuzia o avvedutezza. Ciò significa che la vittima viene sorpresa e non è in grado di vigilare normalmente sull’oggetto in questione.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

  1. La Corte di Appello di Ancona, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente K.H., con sentenza del 18/1/2016 confermava la sentenza n. 854/2015 emessa in data 12.6.2015 dal Tribunale di Macerata in composizione monocratica con la quale il predetto, all’esito di processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, è stato riconosciuto colpevole delle condotte illecite di cui alla rubricata imputazione, diversamente qualificata quella commessa ai danni della p.o. D.M.R.A. come tentato furto aggravato dalla destrezza, e, esclusa la contestata aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 6, riconosciuta sussistere la contestata recidiva infraquinquennale, unificati detti fatti di reato ex art. 81 cpv. c.p., è stato condannato alla pena finale di anni uno e mesi due di reclusione ed Euro 300 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia carcere.
  2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, K.H., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att., cod. proc. pen., comma 1:

Con un primo motivo si deduce, sotto il duplice profilo dell’errore di legge e del vizio motivazionale, che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata adeguatamente con il proposto motivo di appello con cui la difesa aveva eccepito in via preliminare la nullità del giudizio di primo grado ex art. 522 c.p.p., comma 1 e art. 604 c.p.p., comma 3 per essere il proprio assistito stato condannato per un fatto diverso da quello a lui originariamente contestato, essendo il medesimo stato tratto a giudizio per rispondere di un unico furto, mentre, all’esito di rito abbreviato, è stato condannato per la commissione di due furti, di cui uno tentato, senza che il P.M., procedesse ad alcuna modifica dell’imputazione. Nel merito, si rileva, la difesa aveva chiesto riconoscersi la sussistenza di un unico furto tentato, un ragione del fatto che l’azione delittuosa si è svolta costantemente sotto il controllo della D.M..

Con un secondo motivo, sempre sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, si deduce l’esclusione anche della destrezza. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il secondo motivo di ricorso è fondato e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla motivazione circa la riconosciuta aggravante della destrezza ed alla connessa questione, qualora la stessa dovesse essere esclusa, della procedibilità dei reati, con rinvio alla Corte di Appello di Perugia, giudice di secondo grado cui spetta la competenza in sede di annullamento con rinvio di sentenza della Corte territoriale anconetana, che consta di unica sezione. Il ricorso va, invece, rigettato, nel resto.
  2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Come già correttamente rilevato dalla Corte territoriale i fatti per cui è intervenuta condanna sono stati compiutamente contestati all’odierno ricorrente nell’imputazione, nella quale è stato fatto preciso riferimento all’operata sottrazione, con destrezza, di due borse appartenenti a persone diverse e che le proprietarie detenevano entrambe nell’occorso all’interno dello stabilimento balneare “(OMISSIS)” di (OMISSIS).

Condivisibilmente, pertanto, è stato ritenuto che, al di là del fatto che nell’editto accusatorio non sia stato menzionato l’art. 81 cpv. cod. pen., ciò nondimeno l’imputato è stato chiaramente chiamato a rispondere di due distinte sottrazioni operate ai danni di due distinte persone offese, ossia di una pluralità di fatti di reato di cui il medesimo peraltro, non può non essersi reso conto già all’atto stesso della loro deliberazione e perpetrazione, posto, che i beni di cui si è impossessato sono stati estratti da due differenti borse da donna che erano state lasciate momentaneamente incustodite dalle partecipanti ad una festa di compleanno in corso di svolgimento presso il sopra citato stabilimento balneare.

E’ di tutta evidenza, infatti – come si legge nel provvedimento impugnato – che in un simile contesto fattuale dette borse (che sono state separatamente frugate dal K. e riscontrate contenere ciascuna un portafoglio ed altri effetti personali delle rispettive proprietarie) non potevano che appartenere a differenti persone e che il soggetto agente, nel momento in cui ha deciso di impossessarsi di alcuni dei beni (ovviamente di valore) contenuti prima in una e poi nell’altra di esse, ha posto in essere distinte condotte fattuali, sorrette da un autonomo processo volitivo ed indirizzate verso un soggetto passivo evidentemente diverso, con conseguente integrazione di distinti reati.

La sentenza si colloca correttamente nell’alveo del dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di furto, l’agente che sottrae una pluralità di cose detenute da più soggetti, realizza una pluralità di reati, quando opera in un contesto spaziale che giuridicamente non può ricondursi ad un unico detentore (così Sez. 5, n. 41141 del 19/5/2014, Pop ed altro, Rv. 261204 che, in applicazione del principio, ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva ravvisato più reati di furto in relazione alla sottrazione di più motori fuoribordo consumata presso un porticciolo).

Ricorda, infatti, la Corte marchigiana che, posto che se è vero che nel paradigma dell’art. 624 cod. pen. la pluralità dei beni, ancorchè appartenenti formalmente a persone diverse, ma sottratti in un medesimo contesto spaziale riconducibile ad un unico detentore, non può che condurre alla conclusione dell’unicità del reato, dal momento che la norma incriminatrice resta indifferente alla titolarità formale delle cose mobile di cui ci si sia impossessati, è altrettanto vero che quando, tuttavia, come nella specie, la sottrazione avvenga in un contesto spaziale, che giuridicamente non può ricondursi ad un unico detentore, tale essendo la situazione che si verifica quando beni ordinariamente detenuti da soggetti diversi sono collocati in un medesimo spazio, si impone la conclusione della pluralità di reati.

Tale principio va applicato, ad esempio, in ipotesi di più vetture simultaneamente rubate dallo stesso parcheggio.

Corretta pertanto appare la conclusione – da cui deriva anche l’infondatezza del motivo sul punto oggi riproposto – che, alla stregua di quanto evidenziato, non possa assumersi esservi stato alcuno scollamento trai fatti contestati e quelli ritenuti in sentenza. In tal senso corretto appare il richiamo al dictum delle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità di cui alta sentenza 36551/2010, secondo cui in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, per cui l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.

Nel caso di specie, oltre a farsi chiaro riferimento a distinte condotte sottrattive nell’imputazione, viene rilevato nel provvedimento impugnato che la pluralità di persone offese risultava chiaramente dalle diverse denunce sporte in relazione ai beni loro differentemente sottratti, per cui l’imputato è stato da subito posto nella condizione di comprendere di essere chiamato a rispondere di più reati.

  1. Fondato è il secondo motivo di ricorso.

Con la recente pronuncia n. 34090 del 27.4.2017, Quarticelli, non ancora mass., le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno, infatti, affermato il principio che: “la circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 4, richiede un comportamento dell’agente, posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso; sicchè non sussiste detta aggravante nell’ipotesi di furto commesso da chi si limiti ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa”. Secondo il dictum delle SSUU Q., che il Collegio condivide, dunque, è furto con destrezza, caratterizzato da una risposta punitiva gravosa, che sanziona più seriamente le condizioni di minorata difesa delle cose di fronte all’abilità dell’agente, quello qualificato da una condotta spoliativa attuata con particolare ingegno, astuzia e scaltrezza e dunque, per ravvisare l’aggravante, è necessario che l’agire non si limiti alla mera sottrazione del bene, pur facilitata dall’altrui disattenzione o dalla momentanea assenza, ma riveli connotati di capacità ed efficienza offensiva che incrementino le possibilità di portarlo a compimento ed offendano più seriamente il patrimonio.

Se il furto si realizza a fronte della distrazione del detentore, o dell’abbandono incustodito del bene, anche se per un breve lasso di tempo, che non siano preordinati e cagionati dall’autore, nè accompagnati da altre modalità insidiose e abili che ne divergono l’attenzione dalla cosa, il fatto manifesta la sola ordinaria modalità furtiva, inidonea a ledere più intensamente e gravemente il bene tutelato ed è privo dell’ulteriore disvalore preteso per realizzare la circostanza aggravante e per giustificare punizione più seria. Merita dunque condivisione – secondo le SSUU Q. – l’orientamento che propugna una nozione più restrittiva di destrezza perchè “assegnare valore qualificante alla sola prontezza nell’avvalersi della situazione favorevole comunque creatasi significherebbe valorizzare la componente soggettiva del reato e la pericolosità individuale, ponendo in secondo piano la materialità del fatto come concretamente offensivo del bene giuridico, in contrasto col principio di cui all’art. 25 Cost., comma 2, che, menzionando il fatto commesso, esclude che il reato possa essere considerato in termini di sola rimproverabilità soggettiva e con la stessa natura oggettiva della circostanza.

Il punto della destrezza andrà dunque rivalutato, alla luce del sopra indicato principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, dal giudice del rinvio che, qualora non ritenga sussistente l’aggravante in questione, sarà chiamato a verificare anche la sussistenza delle condizioni di procedibilità di ciascun reato.

PQM

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’aggravante della destrezza ed alla connessa questione della procedibilità dei reati, con rinvio alla Corte di Appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2017

Allegati

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