Svolgimento del processo
1. (omissis) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c).
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p., norma entrata in vigore successivamente alla proposizione dell’appello ma prima della decisione di secondo grado, emessa nel giugno 2016.
Sarebbe stato perciò giuridicamente possibile, per la Corte d’appello, applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in considerazione delle modalità della condotta, della modesta entità del tasso alcolemico e del danno cagionato, come riconosciuto dai giudici di merito, che hanno concesso le attenuanti generiche.
2.1. Ingiustificatamente non è stata concessa la sospensione condizionale della pena, senza minimamente motivare sul punto.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso non può trovare ingresso in questa sede. La questione inerente all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può, infatti, essere dedotta per la prima volta in Cassazione ove la norma di cui all’art. 131 bis c.p., fosse già in vigore alla data dell’emanazione della sentenza impugnata (Cass., Sez. 7, ord. n. 43838 del 27-5-2016, Rv. 268281), come nel caso in esame. Soltanto ove la norma sia entrata in vigore successivamente alla data di emissione della sentenza impugnata, la relativa questione, che ha natura sostanziale, può, in forza dell’art. 2 c.p., comma 4, essere dedotta e rilevata anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 609 c.p.p., comma 2, nei procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione, per fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 131 bis c.p., (Sez. U. 25-2-2016, Tushaj; Sez. U, 25-2-2016, Coccimiglio). Ciò sempre che gli elementi per valutare il ricorrere o meno delle condizioni di applicabilità della predetta causa di non punibilità emergano dalla motivazione della decisione impugnata (Cass., Sez. 3, n. 15449 dell’8-4-2015).
1.1. Nel caso in esame, il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, art. 1, comma 2, è entrato in vigore successivamente all’emissione della sentenza di primo grado,in data 7-10-2014, e alla proposizione dell’appello, in data 27-10-2014, ma prima dell’emanazione della sentenza di secondo grado, che è del 30-5-2016. L’imputato ha dunque avuto tutto il tempo e ogni più ampia possibilità di dedurre la questione.relativa all’applicabil.ità dell’art. 131 bis, nel giudizio di secondo grado, mediante la presentazione di motivi aggiunti, di memorie o anche durante la discussione di fronte alla Corte d’appello. Viceversa, non risulta che l’imputato abbia mai sollevato tale questione, che dunque è stata proposta per la prima volta in sede di legittimità: ciò che è inammissibile.
2. La seconda doglianza è manifestamente infondata. Il beneficio della sospensione condizionale della pena è stato concesso già dal giudice di primo grado, il quale, con ordinanza dell’8 ottobre 2014, ha disposto la correzione dell’errore materiale, consistente nell’omesso riferimento, in dispositivo, alla sospensione condizionale della pena, in contrasto con quanto esposto nella motivazione della sentenza, in cui si dava atto della formulabilità di una prognosi favorevole all’imputato, agli effetti di quanto previsto dagli artt. 163 c.p.p. e s.s.. Il Tribunale ha quindi disposto che nel dispositivo venissero inserite le parole: ” Pena sospesa”. La Corte d’appello ha confermato, in parte qua, la pronuncia di primo grado, ribadendo dunque la concessione del beneficio della sospensione condizionale.
3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2018
