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Cassazione penale sez. IV, 11/07/2018, n. 31617

Massima

In materia di particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.), la questione relativa alla sua applicabilità non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità se la norma era già in vigore al momento dell’emanazione della sentenza impugnata, avendo l’imputato avuto piena possibilità di sollevare la doglianza nel giudizio di merito. È inammissibile il ricorso che reiteri una richiesta di sospensione condizionale della pena già concessa e motivatamente confermata nei precedenti gradi di giudizio.

Supporto alla lettura

PUNIBILITA

La punibilità si definisce come l’insieme delle eventuali condizioni, ulteriori ed esterne rispetto al fatto antigiuridico e colpevole, che fondano o escludono l’opportunità di punirlo. Ad esempio, l’art. 131-bis c.p. prevede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto quando l’offesa è, per le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, particolarmente tenue e se il comportamento non è abituale.

Sulla base della teoria generale del reato, secondo la concezione tripartita (maggioritaria), l’ illecito penale si scompone in:

1) Il fatto: è l’insieme degli elementi oggettivi che individuano e caratterizzano ogni singolo reato come offesa a uno o più beni giuridici.

2) l’antigiuridicità: esprime il rapporto di contraddizione tra il fatto e l’ordinamento giuridico

3) la colpevolezza:  l’insieme dei requisiti dai quali dipende la possibilità di muovere all’agente un rimprovero per aver commesso il fatto antigiuridico ( dolo, colpa, dolo misto a colpa, assenza di scusanti, la conoscenza o la conoscibilità della legge penale violata)

Invero, alla luce della teoria quadripartita del reato, anche la punibilità assurgerebbe ad elemento costitutivo del reato anziché costituire una mera “normale conseguenza” del reato. In altri termini, ove la punibilità difetti per qualsiasi ragione, non sarebbe ravvisabile reato nonostante la compresenza degli altri elementi.

Le cause di esclusione della punibilità sono:

  • cause personali concomitanti di non punibilità:  alcune situazioni che attengono
    alla posizione personale dell’agente o ai suoi rapporti con la vittima; cause personali
    sopravvenute di non punibilità: comportamenti dell’agente susseguenti alla commissione
    del fatto antigiuridico e colpevole;
  • cause oggettive di non punibilità: situazioni che ineriscono all’entità dell’offesa;
  • cause di estinzione del reato: fatti naturali o giuridici successivi alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole, che o sono del tutto indipendenti da comportamenti dell’agente o che non esauriscono in un comportamento dell’agente. Il legislatore rimette al giudice il compito di valutare l’opportunità di un’effettiva punizione dell’autore di un fatto antigiuridico e colpevole.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. (omissis) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c).

2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p., norma entrata in vigore successivamente alla proposizione dell’appello ma prima della decisione di secondo grado, emessa nel giugno 2016.

Sarebbe stato perciò giuridicamente possibile, per la Corte d’appello, applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in considerazione delle modalità della condotta, della modesta entità del tasso alcolemico e del danno cagionato, come riconosciuto dai giudici di merito, che hanno concesso le attenuanti generiche.

2.1. Ingiustificatamente non è stata concessa la sospensione condizionale della pena, senza minimamente motivare sul punto.

Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso non può trovare ingresso in questa sede. La questione inerente all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può, infatti, essere dedotta per la prima volta in Cassazione ove la norma di cui all’art. 131 bis c.p., fosse già in vigore alla data dell’emanazione della sentenza impugnata (Cass., Sez. 7, ord. n. 43838 del 27-5-2016, Rv. 268281), come nel caso in esame. Soltanto ove la norma sia entrata in vigore successivamente alla data di emissione della sentenza impugnata, la relativa questione, che ha natura sostanziale, può, in forza dell’art. 2 c.p., comma 4, essere dedotta e rilevata anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 609 c.p.p., comma 2, nei procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione, per fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 131 bis c.p., (Sez. U. 25-2-2016, Tushaj; Sez. U, 25-2-2016, Coccimiglio). Ciò sempre che gli elementi per valutare il ricorrere o meno delle condizioni di applicabilità della predetta causa di non punibilità emergano dalla motivazione della decisione impugnata (Cass., Sez. 3, n. 15449 dell’8-4-2015).

1.1. Nel caso in esame, il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28art. 1, comma 2, è entrato in vigore successivamente all’emissione della sentenza di primo grado,in data 7-10-2014, e alla proposizione dell’appello, in data 27-10-2014, ma prima dell’emanazione della sentenza di secondo grado, che è del 30-5-2016. L’imputato ha dunque avuto tutto il tempo e ogni più ampia possibilità di dedurre la questione.relativa all’applicabil.ità dell’art. 131 bis, nel giudizio di secondo grado, mediante la presentazione di motivi aggiunti, di memorie o anche durante la discussione di fronte alla Corte d’appello. Viceversa, non risulta che l’imputato abbia mai sollevato tale questione, che dunque è stata proposta per la prima volta in sede di legittimità: ciò che è inammissibile.

2. La seconda doglianza è manifestamente infondata. Il beneficio della sospensione condizionale della pena è stato concesso già dal giudice di primo grado, il quale, con ordinanza dell’8 ottobre 2014, ha disposto la correzione dell’errore materiale, consistente nell’omesso riferimento, in dispositivo, alla sospensione condizionale della pena, in contrasto con quanto esposto nella motivazione della sentenza, in cui si dava atto della formulabilità di una prognosi favorevole all’imputato, agli effetti di quanto previsto dagli artt. 163 c.p.p. e s.s.. Il Tribunale ha quindi disposto che nel dispositivo venissero inserite le parole: ” Pena sospesa”. La Corte d’appello ha confermato, in parte qua, la pronuncia di primo grado, ribadendo dunque la concessione del beneficio della sospensione condizionale.

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2018

Allegati

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