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Cassazione penale sez. IV, 08/04/2025, n.15458

Massima

In tema di sostanze stupefacenti, la destinazione della sostanza stupefacente a fini diversi dall’autoconsumo non configura una causa di non punibilità, ma è elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, sicché non è onere dell’imputato darne la prova mentre grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio. Per l’effetto, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (nella specie, la destinazione allo spaccio è stata ritenuta congruamente motivata avendo il giudice di merito valorizzato la divisione della sostanza in singole dosi, il fatto che l’imputato si stava recando in un locale noto per essere luogo di spaccio della sostanza stupefacente, l’assenza di qualsivoglia elemento che valesse a documentare lo stato di tossicodipendenza dell’imputato medesimo).

Supporto alla lettura

ILLECITA DETENZIONE DI STUPEFACENTI

La condotta penalmente sanzionata è posta in essere dal T.U. sugli stupefacenti D.P.R. 309/1990, il cui art. 73 è il fulcro di tutta la disciplina in materia, come modificato in ultimo dal D.L. 36/2014.

La detenzione di sostanze stupefacenti (art. 73) finalizzata allo spaccio costituisce reato, invece la sola detenzione per consumo personale (art. 75) configura un illecito amministrativo. E’ importante quindi distinguere le due fattispecie, la cui linea di confine è molto sottile.

L’art. 73 disciplina il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope. Tale articolo sanziona come reato tutte le condotte si spaccio e la detenzione ai fini dello spaccio, viene quindi sanzionato anche colui che compie qualsiasi attività di cessione e destinazione ad un’altra persona, anche a titolo gratuito. Lo stesso art. 73, al suo interno, contempla due casi in cui la pena è ridotta: quando si tratta di un fatto di lieve entità (ex art. 73, c. V) c.d. “piccolo spaccio” o quando si tratta di droghe leggere. Il bene giuridico tutelato è la salute pubblica, si intende proteggere i cittadini da sostanze droganti che potrebbero essere lesive per chi le assume ma anche dannose per terzi (es. omicidio colposo a seguito di incidente stradale causato da un soggetto che ha fatto uso di sostanze stupefacenti).

Ai fini della distinzione tra le due fattispecie di detenzione per spaccio o per uso personale sarà quindi fondamentale fare riferimento a determinati “parametri di prova” che il giudice valuterà volta per volta. In ogni caso, in Italia,  il possesso di sostanze stupefacenti, a prescindere che sia per uso personale o no, non è consentito dalla legge, e le conseguenze, che si tratti di sanzioni di natura penale o amministrativa, non sa saranno da poco.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con sentenza del 16 gennaio 2024, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Prato di condanna di Gu.Yu. in ordine al reato di cui all’ art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (commesso in Prato l’1 luglio 2016) alla pena di mesi 4 di reclusione e Euro 800 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Nelle sentenze di merito i fatti sono stato descritti nél modo seguente. L’imputato, sottoposto a perquisizione personale mentre stava entrando in un locale notturno, era stato trovato in possesso di plurime bustine, due delle quali contenènti sostanza stupefacente, narcotest positiva per la cocaina, del peso complessivo di gr. 1,98 e tre della quali contenenti sostanza stupefacente, al narcotest positiva per l’eroina, del peso complessivo di gr. 9,28; altre bustine, invece, erano poi risultate contenere sostanza priva di principio attivo drogante.

2.Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, formulando due motivi.

2.1.Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge per avere la Corte di appello confermato il giudizio di responsabilità penale, in assenza di perizia tossicologica sulla natura della sostanza. Il difensore osserva che nel nostro ordinamento rileva non già la definizione farmacologica della sostanza, bensì la definizione legale e che è necessario, pertanto, accertare non solo la natura, ma anche il quantum di principio attivo contenuto nella stessa, al fine di verificarne la concreta offensività. Il narcotest è test speditivo, per sua natura impreciso e fallace, ed è volto, al più, a dimostrare la natura della sostanza, ma non già il contenuto di principio.attivo: l’esito del test ha un valore puramente orientativo sulla natura della sostanza, ma non vale a provare il dato qualitativo. La perizia tossicologica, dunque, avrebbe dovuto essere espletata al fine di verificare se la responsabilità penale fosse da escludere per la irrilevanza del quantitativo di principio attivo.

2.2.Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione per avere la Corte di appello escluso la destinazione della sostanza all’uso personale del ricorrente. La Corte aveva ritenuto provata la rilevanza penale della detenzione e la destinazione a terzi della sostanza sulla base di elementi, quali le modalità di confezionamento e il luogo in cui il ricorrente si era trovato, affatto probanti. Da un lato, infatti, il consumatore acquirente della sostanza riceve il prodotto già confezionato dal venditore e, dall’altro, il fatto di trovarsi in un luogo di spaccio accomuna venditori e acquirenti: ne consegue che gli elementi evidenziati dalla Corte potrebbero valere a dimostrare anche la qualità di acquirente di sostanza in vista del consumo personale. Peraltro, nel caso in esame, la Corte non aveva tenuto conto che Gu.Yu. è soggetto tossicodipendente, sottoposto a programma trattamentale presso il Sert come risulta dalla documentazione già posta all’attenzione-dell’autorità giudiziaria.

3.Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Lucia Odello, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

4.Il ricorso deve essere considerato inammissibile;

5.Il primo motivo, con cui censura il mancato accertamento peritale in ordine alla natura e alla quantità della sostanza stupefacente rinvenuta nella disponibilità di Gu.Yu., è manifestamente infondato.

La corte ha fondato la prova della natura stupefacente della sostanza detenuta sull’accertamento tramite narcotest, nel rispetto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di stupefacenti, ai fini della configurabilità di una delle condotte di cui all’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, -non è indispensabile un accertamento peritale della qualità e quantità della sostanza stupefacente, ancorché sequestrata, potendo risultare sufficiente anche il solo narcotest, a condizione che il giudice fornisca adeguata motivazione in – merito alla sussistenza di elementi univocamente significativi della tipologia ed entità di detta sostanza” (Sez. 6, n. 40044 del 29/09/2022, Pataffio, Rv. 283942 nella quale si richiamano Sez. 3 , n. 15137 del 15/02/2019, Rohani, Rv. 275968 -02, relativa ad incidente cautelare e Sez. 4, n. 22238 di 29/1/2014, Feola, Rv 259157).

Data per accertata, per le ragioni su indicate, la natura della sostanza, la individuazione del principio attivo della stessa diventa irrilevante stante l’avvenuta derubricazione nel delitto di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R..n. 309/90 (in tal senso Sez. 6, n. 2599 del 14/12/2021, dep. 2022, Palmas, Rv. 282680 – 01 secondo cui “in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, il c.d. “narcotest” consente di provare la natura stupefacente di una sostanza, ma non anche la quantità di principio attivo in essa contenuto. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l’interesse dell’imputato a ricorrere avverso la condanna per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, avendo lo stesso censurato non la natura drogante della sostanza, ma solo l’entità del principio attivo a fronte della mancata contestazione di alcuna aggravante collegabile alla entità ponderale e non essendo stata richiesta la riqualificazione del fatto in termini di lieve entità)).

Peraltro per la fattispecie in esame, il Tribunale ha applicato la pena ne minimo edittale, onde nessun interesse,concreto può vantare l’imputato in relazione al quantitativo di principio attivo di sostanza stupefacente contenuta nelle bustine sequestrate.

6. Il secondo motivo, con cui si contesta la motivazione della sentenza impugnata in ordine alla finalità illecita della detenzione, è manifestamente infondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, la destinazione della sostanza stupefacente a fini diversi dall’autoconsumo non configura una causa di non punibilità, ma è elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, sicché non è onere dell’imputato darne la prova, mentre grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio (Sez. 6, n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614; v. anche Sez. 6, n. 11025 del 2013, Rv. 255726, quanto alla rilevanza dei parametro della capacità patrimoniale, anche ai fini della precostituzione di scorte per uso personale). Si è anche affermato che la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, debba essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (tra le tante, Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, Gjoka, Rv. 272463).

Nel caso in disamina, la Corte d’Appello, in continuità con la sentenza di primo grado, ha desunto la finalità illecita della detenzione dalla divisione in dosi singole, dal fatto che il ricorrente si stava recando in un locale noto per essere luogo di spaccio della sostanza stupefacente e dall’assenza di qualsivoglia elemento che valesse a documentare lo stato di tossicodipendenza del Gu.Yu.

La censura per cui tale motivazione, nel valorizzare il luogo in cui avvenuto il controllo del ricorrente, sarebbe illogica, non tiene conto che tale elemento è stato posto dalla Corte in relazione a quello della pluralità delle dosi rinvenute, ritenute in maniera ragionevole, incompatibili con un consumo personale. La doglianza relativa alla mancata considerazione dello stato di tossicodipendenza deve ritenersi aspecifica. Se è vero” che al ricorso è allegato un certificato’del Sert, in cui si attesta che Gu.Yu., nell’anno 2023 (e, dunque, a distanza di sette anni rispetto ai fatti in contestazione), aveva chiesto un colloquio presso il centro per le dipendenze, è altrettanto vero che; lo stesso ricorrente afferma solo di aver rappresentato alla Corte lo stato dì tossicodipendenza del Gu.Yu. e non anche di avere prodotto in appello alcuna documentazione che valesse a provare tale stato al momento dei fatti.

7. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa, delle ammende.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2025.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2025.

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