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Cassazione penale sez. IV, 04/05/2023, n. 18508

Massima

Le innovazioni in materia di procedibilità a querela possono operare retroattivamente, ma tale retroattività incontra un limite nella presentazione di un ricorso inammissibile.

Supporto alla lettura

LESIONI STRADALI PERSONALI

Disciplinato dall’art. 590 bis c.p., si fa riferimento alla fattispecie delittuosa colposa introdotta dalla L. 41/2016 nell’ambito dei delitti contro la persona di cui al titolo XII, libro II, del codice penale. Tale provvedimento ha scorporato dal genus delle lesioni personali colpose, ex art. 590 c.p., le nuove lesioni stradali gravi e gravissime, sono contemplate come autonoma figura di reato e non più come circostanza aggravante, mentre le lesioni lievi e lievissime sono ancora regolate dalla normativa previgente, al pari delle lesioni colpose ordinarie.

La caratteristica principale di tale fattispecie si definisce come una esterma rigidità sanzionatoria, il cui obiettivo è quello di reprimere condotte lesive dell’altrui incolumità a causa di comportamenti tenuti in violazione di una specifica disciplina, quale quella della circolazione stradale.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7 giugno 2022, la Corte di appello di Torino ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Alessandria il 9 febbraio 2021 applicando all’imputato, (omissis), l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e, conseguentemente, riducendo la pena. Nel resto la sentenza di primo grado è stata confermata. (omissis) è stato dunque ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 590 bis cod. pen. per avere, alla guida dell’autovettura targata (omissis), cagionato lesioni gravi a (omissis).

2. Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale verificatosi a (omissis) il (omissis). Le sentenze di primo e secondo grado concordano nel ritenere che la (omissis) (all’epoca ottantenne) fu urtata dal parafango anteriore destro dell’autovettura condotta da (omissis) mentre si trovava sulle strisce pedonali e, a causa dell’urto, fu sospinta in avanti rovinando a terra e riportando gravi lesioni. La persona offesa non è mai stata sentita perché deceduta il (omissis) a causa di fenomeni degenerativi vasculopatici non riconducibili all’incidente. Le modalità del fatto sono state dunque ricostruite sulla base dei rilievi eseguiti dai Carabinieri intervenuti sul posto e delle dichiarazioni rese, oltre che dagli operanti, da (omissis), testimone oculare del sinistro.

3. Il difensore di fiducia dell’imputato ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di appello articolando quattro motivi. Nella parte finale del ricorso, la difesa ha sostenuto che, se il reato di cui all’art. 590 bis cod. pen. fosse divenuto procedibile a querela (come era previsto dalla legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) tale riforma, più favorevole all’imputato, avrebbe dovuto trovare applicazione. Questo tema è stato sviluppato con memoria del 3 aprile 2023.

3.1 Col primo motivo di ricorso, la difesa lamenta violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per essere stata ritenuta la violazione dell’art. 191 d.lgs. 30 aprile 1992, n.285 pur non essendovi certezza alcuna che l’investimento fosse avvenuto mentre la (omissis) transitava sull’attraversamento pedonale. La difesa osserva, in particolare, che i militari intervenuti rinvennero una macchia ematica sull’asfalto vicino ad un’auto parcheggiata oltre alle strisce pedonali e sostiene che la richiesta avanzata nell’atto di appello di procedere ad un accertamento peritale sulla dinamica del sinistro sarebbe stata irragionevolmente respinta.

3.2 Col secondo motivo, il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione, che avrebbe ritenuto attendibile la deposizione resa dalla teste (omissis) – secondo la quale la (omissis) fu urtata mentre si trovava sull’attraversamento pedonale e sollevata in aria per poi ricadere a terra – in contrasto con quanto emerso dai rilievi eseguiti nell’immediatezza, dai quali risulta che l’auto condotta dall’imputato presentava tracce d’urto non soltanto in corrispondenza del parafango anteriore destro, ma anche sulle portiere della fiancata destra.

3.3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. La difesa sostiene che la sentenza impugnata avrebbe attribuito carattere confessorio alle dichiarazioni rese dall’imputato senza tenere conto del fatto che egli ha solo ipotizzato di aver girato la testa sulla sinistra perché cercava uno sportello bancomat e ha precisato invece che, quando impegnò l’attraversamento pedonale, notò alcune persone ferme sul marciapiede, nessuna delle quali era in procinto di attraversare.

3.4. Col quarto motivo, il difensore lamenta violazione di legge per essere stata affermata la penale responsabilità dell’imputato in presenza di un comportamento imprevedibile della persona offesa la quale impegnò l’attraversamento senza accertarsi che non sopravvenissero auto alla sua sinistra e, con tale condotta, rese inevitabile l’urto ancorché (omissis) procedesse a velocità bassissima. La difesa sottolinea che l’urto avvenne quando l’auto aveva già impegnato l’attraversamento pedonale e che, a detta dei testi, la (omissis) aveva iniziato l’attraversamento una prima volta per poi tornare indietro, sicché (omissis) poteva fare legittimo affidamento sul fatto che, tornata sul marciapiede, l’anziana si sarebbe fermata e non avrebbe cercato nuovamente di attraversare.

3.5. Nella parte finale del ricorso, la difesa ha sottolineato che la persona offesa non ha sporto querela per le lesioni e neppure lo hanno fatto gli eredi (i quali, anzi, nell’accettare il risarcimento del danno, hanno rinunciato a chiedere la punizione del conducente della vettura investitrice). Di conseguenza ha chiesto che, se il reato di cui all’art. 590 bis cod. pen. fosse divenuto procedibile a querela di parte, di questa modifica normativa si tenesse conto perché più favorevole all’imputato.

Tale argomentazione è stata sviluppata con memoria del 3 aprile 2023 sottolineando che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, il reato di cui all’art. 590 bis, comma 1, cod. pen. è oggi procedibile a querela di parte.

4. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso ad eccezione dell’ultimo. Secondo il Procuratore generale, poiché non v’è in atti una querela sporta dalla persona offesa e non v’è stata costituzione di parte civile in giudizio, nel caso di
specie dovrebbe trovare applicazione il comma 9 dell’art. 590 bis cod. pen. [introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 150/2022] e la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata senza rinvio per mancanza di querela.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità. Ne consegue che il mutato regime di procedibilità del reato di cui all’art. 590 bis cod. pen. non può rilevare nel caso di specie e la sentenza impugnata deve essere confermata.

2. I primi quattro motivi di ricorso sono tra loro strettamente connessi e, per questo, possono essere esaminati congiuntamente. Nel formularli la difesa invoca una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio e una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova senza confrontarsi in termini specifici con l’iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito per affermare la responsabilità penale.

2.1. La difesa lamenta, in primo luogo, che i giudici di merito non abbiano ritenuto necessaria una perizia tecnica finalizzata a ricostruire la dinamica del sinistro, ma non spiega perché tale perizia sarebbe stata indispensabile alla decisione a fronte della descrizione dei fatti fornita da (omissis) (testimone
oculare dell’incidente) e della compatibilità tra quanto narrato dalla testimone e i rilievi eseguiti dai Carabinieri intervenuti sul posto. A questo proposito la Corte territoriale ha sottolineato che la presenza di tracce dell’urto nella parte laterale destra dell’autovettura e il fatto che la macchia di sangue rilevata sulla carreggiata non si trovasse sulle strisce pedonali, ma più avanti rispetto alla direzione di marcia dell’auto, non sono circostanze incompatibili rispetto alla descrizione dei fatti fornita dalla (omissis) ed anzi la confermano. Secondo la teste, infatti, la (omissis) fu urtata, sbalzata in avanti, cadde e urtò il capo per terra. A fronte di tali argomentazioni la difesa non ha fornito una argomentata ricostruzione alternativa della vicenda e, soprattutto, non ha spiegato perché, a fronte di un urto (non controverso) tra il parafango anteriore destro dell’auto e il pedone, la presenza di tracce di urto su tutta la fiancata destra consentirebbe di escludere che l’investimento sia avvenuto in corrispondenza delle strisce pedonali.

2.2. Secondo il ricorrente, nell’attraversare la strada, la (omissis) tenne una condotta imprudente che potrebbe essere considerata come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento ai sensi dell’art. 41 cod. pen. La difesa sostiene, in particolare, che: prima di iniziare l’attraversamento, la
persona offesa non prestò la dovuta attenzione all’autovettura che sopraggiungeva alla sua sinistra; tornò indietro dopo aver iniziato l’attraversamento e poi riprese ad attraversare; non attraversò in corrispondenza delle strisce pedonali, ma leggermente più avanti tenuto conto della direzione di marcia dell’autovettura. Si deve osservare, allora, che l’art. 191 cod. strada impone ai conducenti di «dare la precedenza, rallentando gradualmente e fermandosi, ai pedoni che transitano sugli attraversamenti pedonali o si trovano nelle loro immediate prossimità» e che, come risulta dalla sentenza impugnata e
dalle stesse dichiarazioni dell’imputato, nulla ostacolava la piena visibilità del marciapiede. Pertanto, anche volendo ammettere che la (omissis) abbia iniziato l’attraversamento subito dopo le strisce pedonali e che (omissis) abbia proseguito la marcia dopo aver constatato che le persone presenti sul
marciapiede erano ferme, ciò non varrebbe ad escludere la responsabilità colposa dell’imputato.

La difesa sottolinea che (omissis), per spiegare l’accaduto, ha solo ipotizzato di aver distratto lo sguardo alla ricerca di un bancomat e si duole che la sentenza impugnata abbia tratto da questa ipotesi argomenti a sostegno della responsabilità dell’imputato. L’argomento non ha pregio. Ipotizzando di essersi distratto, (omissis) ha implicitamente ammesso che l’avvistamento della (omissis) era possibile e, come la sentenza impugnata ricorda, l’anziana donna «non aveva certamente la fluidità di movimenti di una giovane». Inoltre, atteso che l’autovettura viaggiava a velocità ridotta, l’anziana può averla vista e aver
ugualmente iniziato l’attraversamento consapevole del proprio diritto di precedenza (così la sentenza impugnata, pag. 7 della motivazione). Si tratta di motivazioni complete, non contraddittorie né illogiche e conformi ai principi di diritto che regolano la materia. Poiché ha ammesso di aver visto che sul
marciapiede, in corrispondenza delle strisce pedonali, vi erano alcune persone ferme, infatti, (omissis) non poteva fare affidamento sul fatto che quelle persone non sembravano voler attraversare. Basta in proposito ricordare che, per giurisprudenza costante, nello specifico campo della circolazione stradale, il
principio dell’affidamento «trova opportuno temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità» (cfr. Sez 4, n. 25552 del 27/04/2017, Luciano, Rv. 270176; sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017, dep. 2018, Bonfrisco, Rv. 272223; Sez. 4, n. 8090 del 15/11/2013, dep. 2014, Saporito, Rv. 259277). Nel caso di specie, non era certamente imprevedibile che un pedone potesse voler attraversare la strada in corrispondenza (o comunque nelle immediate prossimità) delle strisce pedonali: situazione che un conducente deve prefigurarsi quando si avvicina ad un attraversamento pedonale prestando,
per questo, particolare attenzione. Come noto peraltro – e questo principio costituisce ormai ius receptum – il conducente di un veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone solo quando la condotta della vittima configura, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale,
atipica, non prevista né prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento; e questa situazione è configurabile solo nel caso in cui il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995; Sez. 4, n. 37622 del 30/09/2021, Landi, Rv. 281929).

2.3. In conclusione, i motivi di ricorso non si confrontano criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limitano a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione. Ne consegue l’aspecificità e, quindi, l’inammissibilità del ricorso (tra le tante: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, Berroa Telleria Rv. 282949).

3. Come noto, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, il reato di cui all’art. 590 bis cod. pen. è procedibile a querela di parte salvo che nelle ipotesi aggravate previste dai commi 2 e seguenti. Nel caso in esame la persona offesa non ha proposto querela sicché ci si deve chiedere se la
nuova disciplina possa trovare applicazione pur in presenza di motivi di ricorso inammissibili.

È opinione del Collegio che la risposta debba essere negativa. Questa Corte di legittimità ha già affrontato una analoga questione quando è entrato in vigore il d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 per effetto del quale alcuni reati divennero procedibili a querela di parte. Sul punto intervennero le Sezioni Unite con la
sentenza n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551. Facendo ampio riferimento ai principi affermati in altre decisioni precedenti (in particolare, Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819), il supremo Collegio affermò «che l’art. 129 cod. proc. pen. non attribuisce al giudice un
potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione.

Non riveste, cioè, per quanto qui interessa, una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione» (così testualmente pag. 15 della motivazione).

L’argomentazione si attaglia perfettamente anche al caso in esame. Consente, infatti, di escludere che il procedimento sia “pendente” in presenza di un ricorso inammissibile. Come sottolineato anche dalla sentenza n. 12602/2015, Ricci, tale affermazione non è in contrasto con i diritti fondamentali sul giusto processo garantiti dalla CEDU. È onere della parte interessata, infatti, attivare correttamente il rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali paralizza i poteri cognitivi del giudice e non vengono perciò in considerazione l’equità o la razionalità del processo.

La sopravvenienza della procedibilità a querela, peraltro, ha valore ben diverso dalla abolitio criminis e la giurisprudenza ha costantemente escluso che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità (in tal senso, da ultimo: Sez. 1,
n. 1628 del 03/12/2019, dep. 2020, Cela, Rv. 277925; sull’argomento anche: Sez. 2, n. 14987 del 09/01/2020, Pravadelli, Rv. 279197).

Come opportunamente rilevato dalla sentenza n. 40150/2018, inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso (cfr. Sez. 6, n. 44774 del 08/10/2015, Raggi,
Rv. 265343) e ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (cfr. Sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010, S., Rv. 248568), sicché non può dirsi che la declaratoria di inammissibilità sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata (in tal senso Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551 pag. 16 della motivazione).

In conclusione, la disciplina codìcistica dei mutamenti normativi favorevoli diversi dalla abolitio criminis non consente di sostenere che, nel rapporto tra ricorso inammissibile e innovazioni normative che introducono la procedibilità a querela, debbano applicarsi regole diverse da quelle che, in base alla
giurisprudenza assolutamente prevalente, si applicano nei rapporti tra ricorso inammissibile e mutamenti normativi favorevoli in materia di cause di non punibilità e, in particolare, di cause estintive del reato, aventi natura più marcatamente sostanziale. Ne consegue che LESIO Nessuna indicazione in senso contrario può essere tratta dalla disciplina transitoria dettata dall’art. 85 d.lgs. n. 150/2022. Il legislatore, infatti, si è limitato a prevedere una generale restituzione nel termine per querelare che, per i reati in precedenza procedibili d’ufficio, decorre dalla data di entrata in vigore della riforma, secondo il brocardo “lex interpellat pro iudice“. Non ha fatto altro, quindi, che avvalersi della possibilità contemplata dall’art. 124, comma 1, cod. pen. che, con l’espressione «salvo che la legge disponga altrimenti», consente di far decorrere il termine per querelare da un giorno differente rispetto a quello in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato. Com’è evidente, una disciplina siffatta non può incidere sul rapporto tra le innovazioni normative in materia di procedibilità e l’inammissibilità del ricorso e poiché tale
inammissibilità, anche se dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione la si deve dichiarare senza che vi sia necessità di verificare se la persona offesa abbia proposto querela o intenda farlo (in tal senso, con riferimento ad altri casi in cui il d.lgs.
n. 150/2022 ha introdotto la procedibilità a querela: Sez. 4, n. 2658 del 11/01/2023, Saitta, Rv. 284155; Sez. 4 n.6143 del 10/01/2023, Romeo, non massimata; Sez. 1, n. 10692 del 03/02/2023, Caccetta, non massimata; Sez.5, n. 15222 del 21/03/2023, Paratore, non massimata).

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 20 aprile 2023.

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