RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28 febbraio 2013 la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma di sentenza del gip del Tribunale di Ancona del 19 gennaio 2011 – che aveva condannato (omissis) alla pena di tre anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione e Euro 2000 di multa per il reato di cui all’art. 600 quater c.p., commi 1 e 2, per essersi procurato o comunque aver detenuto materiale pedopornografico nel suo computer portatile -, escludendo l’aumento di pena per recidiva, rideterminava la sanzione in due anni di reclusione e Euro 1800 di multa, per il resto rigettando l’appello del difensore dell’imputato.
2. Ha presentato ricorso il difensore dell’imputato, sulla base di quattro motivi, tutti rubricati ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1 I primo motivo denuncia contraddittorietà motivazionale in ordine all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato. Non sarebbe vero – come invece ha ritenuto la corte territoriale – che l’imputato abbia svolto consapevole attività per procurarsi materiale pedopornografico, perchè ciò contrasterebbe con la relazione della polizia giudiziaria sul funzionamento del programma informatico Emule, utilizzato dall’imputato, per cui il contenuto del file può essere visto solo dopo che sia stato scaricato nella cartella incoming. Da ciò dovrebbe desumersi l’assenza del dolo, tanto più che dalle dichiarazioni dell’imputato emergerebbe che egli voleva scaricare e detenere solo files pornografici, e non anche pedopornografici.
Si tratta di una doglianza meramente fattuale, con cui, lungi dall’identificare effettivi vizi di contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, si persegue una revisione da parte del giudice di legittimità dell’accertamento riservato al giudice del merito. Nè – è indubbio – può ritenersi sussistente una contraddizione motivazionale nelle modalità in cui tenta di rappresentarla il ricorrente, ovvero come manifesta contraddittorietà con gli atti del processo per non avere, in sostanza, adottato la ricostruzione dei fatti che viene prospettata nel presente motivo. Motivo che, pertanto, per il suo contenuto non conforme al mezzo indicato dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e al contrario travalicante i limiti della cognizione del giudice di legittimità, risulta inammissibile.
3.2 Il secondo motivo lamenta mancanza di motivazione in ordine alle spontanee dichiarazioni dell’imputato rese nel giudizio abbreviato e conseguente violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, perchè in tal modo il giudice d’appello non avrebbe motivato su un elemento di prova determinante per l’assoluzione dell’imputato stesso.
La doglianza, in primo luogo, è inammissibilmente generica, poichè non indica quale sia stato il contenuto di tali dichiarazioni, che non si vede quindi come potrebbero essere qualificate determinanti per l’assoluzione, venendo addotto dunque a un mero asserto. Che poi la motivazione del giudice di merito incorra in violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 per non avere menzionato tutti gli elementi probatori è chiaramente insostenibile, non avendo il giudice di merito alcun onere di elencare e illustrare il contenuto di tutti i suddetti elementi, bensì quello di strutturare un ragionamento illustrativo della sua decisione in modo logico e sufficientemente esplicito (v. p. es. Cass. Sez. 4, 13 maggio 2011 n. 26660: La sentenza di merito non è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, si da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata; sulla stessa linea v. Cass. Sez. 6, 4 maggio 2011 n. 20092, Cass. Sez. 4, 24 ottobre 2005 n. 1149 e Cass. Sez. 4, 4 giugno 2004 n. 36757).
3.3 Il terzo motivo denuncia illogicità della motivazione in ordine all’applicazione dell’aggravante della ingente quantità di cui all’art. 600 quater c.p., comma 2: il giudice d’appello avrebbe sostenuto la sua applicazione unicamente sulla base di una sentenza di legittimità (Cass. Sez. 3, 31 marzo 2011 n. 17211) riguardante una fattispecie delittuosa relativa alla detenzione da parte dell’imputato di 175 DVD, nonostante nel caso in esame siamo ben lontani dalla detenzione delle predette quantità in quanto si parla di 1 film e 300 foto, numeri che non possono assolutamente integrare l’aggravante.
In realtà anche questo motivo persegue dal giudice di legittimità una valutazione di merito che sostituisca quella effettuata nell’impugnata sentenza, tentando di mascherare tale sua inammissibile natura con il riferimento a una pronuncia di questa Suprema Corte. Pronuncia che, ovviamente, non ha assunto la funzione di determinare, sotto il profilo meramente numerico dei DVD o comunque dei supporti contenente il materiale, quale sia la soglia perchè scatti l’aggravante di ingente quantità, al contrario insegnando che, per accertare la sussistenza dell’aggravante, non rileva come parametro esclusivamente il numero dei supporti detenuti, bensì anche, per così dire, l’intensità criminosa del loro contenuto (insegna infatti l’arresto invocato che l’aggravante impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti detenuti, dato di per sè indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare, come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene). E la corte territoriale sulla sussistenza, nel caso in esame, di quello che definisce la presenza di un quantitativo di immagini tali da discostarsi, in termini significativi, da una condizione di detenzione di un numero contenuto di immagini illecite quale si riscontra nella pratica giudiziaria relativa ad episodi illeciti di tal genere, d’altronde, ha motivato senza incorrere in alcuna illogicità.
Anche questo motivo, pertanto, non può che qualificarsi inammissibile.
3.4 Il quarto e ultimo motivo denuncia contraddittorietà motivazionale in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche. La contraddittorietà denunciata verrebbe a consistere, in realtà e ancora una volta, nella non condivisione di una valutazione del giudice di merito: quest’ultimo non ha concesso le attenuanti generiche affermando che non esiste elemento giustificativo in riferimento al comportamento processuale dell’imputato, laddove, secondo il ricorrente, ne risulta palese un comportamento leale e collaborativo, avendo l’imputato collaborato con la giustizia sia in sede di indagini, consegnando i PC alla Polizia Giudiziaria, sia nel corso del giudizio abbreviato, fornendo spontanee dichiarazioni in merito alla condotta criminosa. E inoltre si sarebbe dovuto tener conto anche del fatto che il casellario riporta reati risalenti nel tempo e relativi a condanne imputate a reati di diversa natura, mentre per quello contestato nel presente giudizio l’imputato avrebbe dimostrato di non avere un’indole fortemente delinquenziale, essendo stato sempre collaborativo tanto da interrompere la commissione del fatto illecito e ravvedersi nel perpetrare l’azione delittuosa.
A parte che non si riscontra, oggettivamente, in quel che il motivo così espone alcun sintomo di ravvedimento, essendo una condotta senza dubbio riconducibile ad una tattica difensiva a proprio vantaggio, deve rilevarsi che la motivazione della sentenza impugnata non manifesta alcuna contraddittorietà nel diniego della concessione delle attenuanti generiche, avendo semplicemente valutato, appunto, la condotta processuale del ricorrente come priva di significatività idonea a giustificare tale concezione (non emergono dagli atti concreti elementi atti a giustificare tale concessione), e avendo altresì, peraltro, evidenziato che non appare nè rilevante nè credibile la circostanza che i filmati di natura pedopornografica venissero scaricati involontariamente dalla rete, avendo, ancora una volta a tutto concedere a tale prospettazione, l’imputato poi detenuto le immagini in ingente quantità (motivazione, pagina 8). E considerato che la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (così Cass. Sez. 6, 28 ottobre 2010 n. 41365; sulla stessa linea Cass. Sez. 4, 23 aprile 2013 n. 23679 e Cass. Sez. 2, 18 gennaio 2011 n. 3609), non si può negare che a tale obbligo la corte territoriale abbia, quindi, completamente adempiuto, senza incorrere in alcuna contraddittorietà motivazionale.
Il motivo, pertanto, risulta manifestamente infondato.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1500,00 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2016
