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Cassazione penale sez. III, 30/03/2023, n. 13312

Massima

In tema di prostituzione minorile, il fatto tipico scusante previsto dall’art. 602-quater c.p. in relazione all’ignoranza inevitabile circa l’età della persona offesa è configurabile solo se l’agente, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia stato indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne fosse maggiorenne, sicché non sono sufficienti a scusare elementi quali la presenza nel soggetto di tratti fisici di sviluppo tipici di maggiorenni o rassicurazioni verbali circa l’età, provenienti dal minore o da terzi. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’imputato ha l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi ad uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell’interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori).

Supporto alla lettura

PROSTITUZIONE MINORILE

Reato disciplinato dall’art. 600-bis c.p. ed introdotto nel corpus codicistico dalla L. 269/1998 nell’ambito di un generale intervento volto a potenziare la tutela penale contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale dei fanciulli, al fine di salvaguardarne il corretto sviluppo fisico e psicologico, abrogando l’art. 4 della Legge Merlin.

Si tratta di una fattispecie autonoma di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile (minore di anni diciotto).

Sono previste due distinte fattispecie di reato a condotta vincolata:

  • I comma: viene attribuita rilevanza all’induzione, identificata in ogni attività idonea a convincere il soggetto passivo a concedere le proprie prestazioni sessuali od anche solo a rafforzare il di lui convincimento di prostituirsi, al favoreggiamento, inteso come compimento di attività idonee a rendere più agevole la prostituzione (anche senza fine di lucro o di libidine) ed allo sfruttamento, riferibile a chi percepisce denaro od altra utilità derivante dall’attività di prostituzione con il consapevole obiettivo di far propri i proventi che derivano dal traffico illecito. La riforma del 2012 ha aggiunto le condotte di reclutamento, gestione, organizzazione e il controllo della prostituzione minorile, nonché, in una sorta di analogia anticipata, tutte le condotte volte a trarne “altrimenti profitto”;
  • II comma: reprime il compimento di atti sessuali retribuiti con il minore di anni diciotto, includendo anche la mera “promessa” di denaro od altra utilità, rendendo superflua l’effettiva dazione del corrispettivo. Di conseguenza, il reato si consumerà con il compimento dell’atto sessuale e non con la corresponsione del denaro o dell’utilità, intesi come il fine della prestazione sessuale.

Il soggetto a essere punito è la persona che paga per ricevere la prestazione sessuale dal minore, oppure chi è coinvolto nel favoreggiamento e nello sfruttamento sessuale dello stesso. Il minore non viene punito in quanto viene considerato la vittima delle condotte delittuose dei soggetti maggiorenni: il reato, infatti, si configura anche nei casi in cui il minore abbia scelto di prostituirsi in modo volontario, senza essere indotto da un estraneo.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 3 dicembre 2021 la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna inflitta a (omissis) e (omissis) il 29 novembre 2017 dal Tribunale di Modena rispettivamente alle pene di 6 anni e 6 mesi di reclusione ed Euro 20.000 di multa e 3 anni e 2 mesi di reclusione ed Euro 12.000 di multa (esclusa la recidiva, concesse le circostanze attenuanti generiche ed ex art. 114 c.p.), per il reato ex art. 600-bis c.p. per avere favorivo ed organizzato l’attività di meretricio della minore (omissis) (nata il (omissis)) o traendone il profitto (in (omissis)).

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati.

2. Il difensore di (omissis) con unico motivo ha dedotto, ex art. 606 c.p.p., lett. c), la mancata valutazione del motivo di appello con cui si lamentava l’apodittica adesione alle dichiarazioni della parte civile sulla ricostruzione dei fatti e l’omessa enunciazione delle ragioni per cui il giudice avrebbe ritenuto non attendibili le prove contrarie, in violazione dell’art. 546 c.p.p., lett. e), n. 1.

La Corte di appello avrebbe riassunto in maniera erronea il motivo di appello che, invece, avrebbe riguardato la circostanza che le dichiarazioni della persona offesa in sede dibattimentale sarebbero opposte a quelle rilasciate nelle indagini preliminari e non vi sarebbero riscontri; non avrebbe risposto al motivo di appello sull’assenza di condotte agevolatrici poste in essere dall’imputato.

La Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare nuovamente le dichiarazioni della persona offesa e quelle di (omissis) che, però, sarebbero inconferenti rispetto alle condotte attribuite a (omissis) con il capo di imputazione; non avrebbe risposto al motivo di appello sull’omessa valutazione delle prove contrarie.

3. Il difensore di (omissis), con un unico motivo, deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione degli art. 47 e 602-quater c.p. ed in subordine si deduce la contraddittorietà o della manifesta illogicità della motivazione.

3.1. Nel “ritenuto in fatto” il ricorrente riporta, quasi integralmente e testualmente le argomentazioni dell’appello, fondate sull’assoluzione del coimputato (omissis), in altro processo, da parte del Tribunale di Modena, escludendo che quest’ultimo fosse a conoscenza dell’età della vittima.

In sintesi, si sostiene che nessun rimprovero potrebbe essere rivolto al ricorrente che sarebbe stato tratto in inganno dalla minore e dal suo compagno, che avrebbero con astuzia evitato di rendergli nota l’età della giovane che già da tempo si sarebbe prostituita; il Tribunale non avrebbe valutato la conversazione n. 704 del 14 aprile 2015 tra il ricorrente e (omissis) in cui si farebbe riferimento alla circostanza che la ragazza frequentava l’università.

Nella sentenza di assoluzione di (omissis) si farebbe riferimento alla scaltrezza e spregiudicatezza della persona offesa nell’esercizio dell’attività di meretricio; la persona offesa sarebbe portatrice di interessi confliggenti con l’imputato, sicché le sue dichiarazioni avrebbero dovute essere riscontrate sotto i profili soggettivo e oggettivo.

Il ricorrente avrebbe conosciuto la reale età della ragazza solo a seguito della perquisizione eseguita il (omissis) dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Modena, mentre i rapporti sarebbero cessati alla fine di aprile 2015.

Si riporta quanto indicato nell’appello per cui l’applicazione del ragionamento adoperato dal Tribunale di Modena per l’assoluzione di (omissis) dovrebbe valere anche per il ricorrente.

3.2. Nel cap. C “considerato in diritto”, dopo la parte in diritto, a pagina 5 si riportano le circostanze di fatto che non sarebbero state valutate dai giudici di merito ai fini della valutazione dell’insussistenza della conoscenza dell’età della vittima; sono le circostanze di fatto da 1 a 9 già indicate nell’appello (pag. 4 e 5).

3.3. Nel cap. D “Ancora sul reato di cui all’art. 600 bis c.p. in relazione all’art. 602 quater c.p.” si riportano testualmente le argomentazioni dell’appello (da pag. 6) in cui si afferma che il ricorrente non avrebbe mai tratto alcun profitto dall’attività illecita.

Seppur provato l’elemento oggettivo del reato, l’elemento psicologico sarebbe escluso perché non risulterebbe dimostrato che il ricorrente conoscesse l’età della ragazza. Non sussisterebbe neanche il dolo eventuale, come invece sostenuto dal Tribunale di Modena.

La motivazione sulla responsabilità del ricorrente e sull’attendibilità della persona offesa sarebbe “ridotta”; non sarebbe stato analizzato il periodo in cui si sarebbero svolti i fatti; non sarebbero state riportate integralmente le conversazioni telefoniche.

Il ricorrente avrebbe organizzato solo due incontri tra la fine di (omissis); le conversazioni intercettate tra il ricorrente e (omissis) non farebbero riferimento all’età della ragazza; l’affermazione della persona offesa sul fatto che era nota la sua età sarebbe una congettura priva di riscontri.

La responsabilità si fonderebbe su una sola conversazione in cui si fa riferimento alla frequentazione della scuola da parte della persona offesa, senza valutare il complesso delle intercettazioni telefoniche ed in particolare la conversazione n. 704 del 14 aprile 2015 tra il ricorrente e (omissis) in cui si farebbe riferimento alla circostanza che la ragazza frequentava l’università; ciò escluderebbe la presunzione di consapevolezza dell’età della minore. Non potrebbe essere mosso al ricorrente alcun rimprovero, neanche di scarsa attenzione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di (omissis) è inammissibile per genericità laddove si sostiene che la Corte di appello non avrebbe risposto al motivo di appello sull’omessa valutazione delle prove contrarie senza neanche indicare quali sarebbero le prove contrarie non valutate e perché avrebbero avuto un’incidenza sulla decisione, ove analizzate, e sarebbero state tali da imporre una decisione diversa.

1.1. In tema di ricorso per cassazione, nel caso in cui la parte deduca l’omessa motivazione circa l’inattendibilità delle prove non utilizzate a fini ricostruttivi, essa ha comunque l’onere di enunciare le prove non considerate e la loro influenza sull’accertamento, in modo da evidenziare come la prova ritenuta contraria possa inficiare il ragionamento del giudice (Sez. 4, n. 13329 del 08/02/2018, Agresti, Rv. 273251 – 01).

1.2. Per il resto, il motivo è manifestamente infondato.

Va preliminarmente rilevato che con il ricorso non si indica minimamente se le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari siano state acquisite nel processo e neanche se siano state adoperate per le contestazioni; neanche si specifica quali sarebbero state le contraddizioni.

In ogni caso, la Corte di appello ha ritenuto attendibili le dichiarazioni della persona offesa, riportandole sinteticamente, ed ha indicato quale elemento di riscontro l’esame di (omissis) che, contrariamente a quanto si rappresenta nel ricorso, costituiscono elementi di riscontro perché confermano lo svolgimento dell’attività di prostituzione della minore, per conto anche di (omissis), che le era stato presentato da (omissis).

Per altro, dalla sentenza di primo grado, confermata in appello, risultano elementi a carico anche dalle dichiarazioni del teste (omissis), che svolse le indagini (cfr. pag. 5 e ss.), dalle intercettazioni telefoniche e dalle stesse dichiarazioni spontanee dell’imputato, sull’agevolazione dell’attività di prostituzione della minore, con lei concordata, e sulla ricezione dei profitti per pagare le spese della coppia.

2. Il ricorso di (omissis) è manifestamente infondato.

2.1. Compito specifico del ricorso per cassazione è la necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato; come affermato dalla giurisprudenza, (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822) la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’, pertanto, indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.

2.2. Le uniche critiche alla motivazione della sentenza impugnata sono state svolte a pagina 7 del ricorso in quanto in quelle precedenti si riportano, anche integralmente, i motivi di appello e, testualmente, le critiche alla sentenza del Tribunale di Modena.

Con il ricorso si afferma che la Corte di appello avrebbe speso una “ridotta” motivazione sulla responsabilità e sull’attendibilità della persona offesa: si deduce, quindi, un vizio inesistente ex art. 606 c.p.p., lett. e), posto che la motivazione secondo il ricorrente è presente, quindi non mancante, con conseguente inammissibilità ex art. 606 c.p.p., comma 3.

2.3. In concreto, la prima critica rivolta alla sentenza impugnata è quella di aver fondato la conoscenza sull’età della persona offesa sulle sue dichiarazioni che sarebbero una mera congettura priva di riscontri.

La motivazione non può fondarsi su una congettura perché richiama un mezzo di prova, che è costituito dalla testimonianza della persona offesa.

Inoltre, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, le dichiarazioni della persona offesa non devono essere riscontrate, come se si dovesse applicare l’art. 192 c.p.p., comma 3; può essere opportuno che siano riscontrate solo se la persona offesa si sia costituita parte civile. Orbene, la Corte di appello ha indicato l’elemento di riscontro, che è costituito dalla intercettazione telefonica n. 39.

2.4. La seconda questione concretamente dedotta è quella, già indicata con l’appello, del travisamento della prova per omissione della conversazione n. 704 del 14 aprile 2015.

2.4.1. Il travisamento della prova è inesistente perché tale conversazione è stata esplicitamente valutata dal Tribunale poiché è riportata a pag. 5 della sentenza di primo grado, sicché il motivo di appello era sul punto manifestamente infondato.

L’argomentazione difensiva, sulla rilevanza della conversazione n. 704 in cui è (omissis) ad indicare che la persona offesa ha 21 anni e frequenta l’università, è smentita proprio dalla ricostruzione del fatto operata nella sentenza del Tribunale di Modena. Ed invero, proprio dopo la conversazione n. 704 il ricorrente contattò (omissis) (n. 39) e gli chiese se la ragazza fosse a scuola o libera; appreso che la persona offesa era libera, il ricorrente richiamò (omissis) per fissare le modalità dell’incontro, poi effettivamente avvenuto, come accertato dalla polizia giudiziaria.

Anche nella conversazione n. 817, secondo quanto riportato a pag. 6 della sentenza di primo grado, il ricorrente fece riferimento alla circostanza che la ragazza “probabilmente non rispondeva perché era a scuola”. Tale ricostruzione del fatto dimostra chiaramente che il ricorrente, dopo aver appreso da (omissis) che la ragazza aveva 21 anni e frequentava l’università, in realtà fosse perfettamente a conoscenza che la persona offesa frequentava ancora la scuola, tanto da ribadirlo anche successivamente.

Proprio la differenza degli elementi di prova a carico ha giustificato l’assoluzione di (omissis) e la condanna del ricorrente.

2.4.2. La Corte di appello ha, pertanto, correttamente applicato il principio per cui, in tema di prostituzione minorile, il fatto tipico scusante previsto dall’art. 602-quater c.p. in relazione all’ignoranza inevitabile circa l’età della persona offesa è configurabile solo se l’agente, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia stato indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne fosse maggiorenne; ne consegue che non sono sufficienti, al fine di ritenere fondata la causa di non punibilità, elementi quali la presenza nel soggetto di tratti fisici di sviluppo tipici di maggiorenni o rassicurazioni verbali circa l’età, provenienti dal minore o da terzi, nemmeno se contemporaneamente sussistenti; così Sez. 3, n. 12475 del 18/12/2015, dep. 2016, G., Rv. 266484 01, che ha anche precisato che l’imputato ha l’onere di provare non solo la non conoscenza dell’età della persona offesa, ma anche di aver fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi a uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell’interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori.

2.4.3. Tale onere della prova non risulta adempiuto perché oltre al riferimento alla conversazione n. 704, le circostanze di fatto indicate a pag. 5 del ricorso non riguardano le condotte del ricorrente, ma le dichiarazioni della persona offesa, l’assenza di prove – contrariamente a quanto indicato dai giudici di merito – o elementi irrilevanti quali l’aspetto fisico della minore.

3. Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. si condannano i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Si condannano, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (omissis) che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (omissis) che liquida in complessivi Euro 3.700,00, oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2023

Allegati

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