Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 3 ottobre 2022, il Tribunale di Lanciano condannava (omissis) alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 7, comma 1, D.L. n. 4 del 2019, per aver presentato la dichiarazione sostitutiva unica, compilata dalla moglie in data 13/03/2019, allo scopo di beneficiare del reddito di cittadinanza, omettendo di dichiarare vincite online nell’anno 2017 per Euro 38.020,60, nell’anno 2018 per Euro 55.931,00, nell’anno 2019 per Euro 43.960,83.
Con sentenza del 24 ottobre 2024, la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciute all’imputato le circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena in dieci mesi e venti giorni di reclusione, confermando nel resto.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila, (omissis), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 7 D.L. n. 4 del 2019.
In sintesi, la difesa deduce che le informazioni dovute a norma del D.L. n. 4 del 2019 contemplano anche le vincite superiori alla soglia di Euro 6.000,00; tuttavia, il ricorrente, alla stregua del prospetto della Guardia di Finanza in atti, non aveva superato la soglia di legge, poiché in tutti i mesi il ricorrente era incorso in una perdita, ad eccezione del mese di aprile 2019, in cui aveva registrato una vincita di Euro 2.254,17, comunque inferiore alla soglia di Euro 6.000,00.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 7 D.L. n. 4 del 2019, con riferimento all’elemento soggettivo del reato.
Lamenta la difesa che la Corte territoriale ha omesso di motivare sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico, essendo richiesta la prova che l’imputato abbia dichiarato il falso, con il fine intenzionale di ottenere dallo Stato la prestazione economica richiesta pur sapendo di non averne diritto.
3. È pervenuta memoria a firma dell’avv. (omissis), difensore di fiducia del ricorrente, con la quale si insiste per l’accoglimento del ricorso, ribadendo che la parola “vincita” deve essere interpretata come differenza tra somme giocate e somme incassate; evidenzia in proposito come le circostanze attenuanti generiche siano state concesse al ricorrente proprio in ragione delle ingenti perdite.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso, già proposto con l’appello e motivatamente respinto dal giudice del gravame, è inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito puntualmente e logicamente argomentate, sia per la genericità delle doglianze che così come prospettate solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (cfr. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608; nello stesso senso, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970).
La Corte territoriale ha, infatti, richiamato le pronunce di legittimità con le quali è stato chiarito che il conseguimento di redditi rilevanti per il riconoscimento del beneficio del reddito di cittadinanza può senz’altro farsi coincidere con l’accreditamento dei relativi importi sul conto nella disponibilità del vincitore, non occorrendo che ad esso debba seguire il materiale prelievo della provvista corrispondente, potendo questa essere lasciata sul conto stesso e destinata ad ulteriori giocate (Sez., 3, n. 5309 del 24/09/2021, dep. 2022, Iuorio, n.m.; nello stesso senso, Sez. 7, n. 39783 del 04/10/2024, Flagiello, n.m.).
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 54 del 2024, ha richiamato il principio, puntualizzando, sulla scorta di quanto affermato da Sez. 3, n. 44365 del 15/09/2021, Marino, che “la giocata on line assume il carattere di una qualunque spesa, in questo caso voluttuaria, che la persona ha effettuato con un reddito di cui ha la disponibilità, coincidente con l’accreditamento delle vincite sul (suo conto gioco; non si può, quindi, pretendere che la solidarietà pubblica si faccia carico di una spesa di tal genere”.
L’indirizzo è coerente con quanto affermato in materia tributaria, secondo cui il legislatore ben può intendere il conseguimento e/o la percezione di un reddito come acquisizione della effettiva diponibilità giuridica del diritto, che può manifestarsi anche attraverso atti di disposizione diversi dal materiale incasso, che può anche mancare (Sez. 5 civ., n. 2082 del 29/01/2021, Rv. 660304): la produzione di nuova ricchezza tassabile, dunque, non è necessariamente correlata al momento della percezione effettiva del credito, potendo avvenire anche senza il pagamento in danaro, attraverso il compimento di “atti di disposizione del diritto”.
Del resto, il beneficio, esente dal pagamento dell’IRPEF, si configura come sussidio di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri ai sensi dell’art. 545 cod. proc. civ., per cui, precisa la Corte costituzionale, “l’eventuale situazione di povertà in cui la persona si sia venuta a trovare nonostante le vincite è, insomma, comunque quella di chi, avendo una disponibilità economica, l’ha dissipata giocando”.
In conclusione, la vincita, pur se derivante da giochi on line, una volta ottenuta, entra comunque nella disponibilità del soggetto, per cui l’esistenza di un saldo negativo “non esclude che gli importi vinti siano stati accreditati sul conto gioco” del percettore e che da questo “siano stati utilizzati per effettuare altre giocate o, comunque, destinati a compensare pregresse perdite, che rappresentavano altrettante poste debitorie da pagare: il che denota l’effettiva disponibilità delle somme”; “a ragionare diversamente, non solo si rischierebbe di alimentare la ludopatia in chi ancora ne soffre, ma anche di creare, in ogni caso, una rete di salvataggio che si risolverebbe in un deresponsabilizzante incentivo al gioco d’azzardo, i cui rischi risulterebbero comunque coperti dal beneficio statale del reddito di cittadinanza” (Corte cost., sent. n. 54 del 2024, cit.; Sez., 3, n. 5309 del 24/09/2021, cit.).
Alla luce della giurisprudenza di legittimità e di quella della Corte costituzionale richiamate, deve, quindi, affermarsi che, ai fini del superamento della soglia reddituale di accesso al beneficio del reddito di cittadinanza, devono essere considerate non le vincite nette, quale differenza tra somme giocate e somme incassate, bensì le vincite lorde, che già integrano l’acquisizione di un benefìcio economico che non può risentire del successivo reimpiego delle somme vinte attraverso ulteriori giocate.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché nuovo, non risultando che la doglianza sia stata proposta con il gravame di appello, tanto che la Corte di merito, nella sentenza impugnata, non ne ha fatto menzione nella parte dedicata al riepilogo dei motivi di appello prospettati dal ricorrente; né il riepilogo è stato contestato nei motivi di ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, dep. 2014, Carrieri, Rv. 259066).
E, secondo un orientamento a più riprese affermato da questa Corte, non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316).
Per altro verso, osserva il Collegio, che la sentenza di primo grado ha escluso che, in ragione della entità delle somme investite nel gioco, potesse dedursi la insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in particolare la mancata rappresentazione dell’omissione e della non spettanza del beneficio, vale a dire la “leggerezza” del ricorrente.
Tanto premesso, e ferma la novità del motivo dedotto, il ricorrente non si è confrontato nell’atto di appello e nei motivi di ricorso per cassazione con tali argomenti, sicché il motivo di ricorso è inammissibile anche sotto questo profilo, dovendosi ricordare l’orientamento di questa Corte secondo cui “Il vizio di motivazione che denunci la mancata risposta alle argomentazioni difensive, può essere utilmente dedotto in Cassazione unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata” (Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445).
3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell’interesse del ricorrente deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, l’11 giugno 2025.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2025.
