1.1. Si contesta all’imputato di essersi procurato e di aver detenuto, nel supporto esterno al proprio PC, 273 files contenenti materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18.
1.2.Nel disattendere i rilievi difensivi, i giudici distrettuali – che hanno escluso l’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 600 quater c.p., comma 2, – hanno, per il resto, condiviso le conclusioni del giudice di primo grado rilevando come la minore età delle ragazze apparisse evidente per i loro connotati fisici e per la stessa tipologia e nome dei siti internet dai quali erano stati scaricati i relativi files. Non ha rilevanza, ha aggiunto la Corte territoriale, il fatto che alcuni di questi siti affermino che le modelle sono maggiorenni perchè quel che conta, ai fini della sussistenza del reato, è la effettiva consapevolezza, da parte dell’utente, della minore età delle persone coinvolte nella realizzazione del materiale pornografico, non quel che di diverso dichiarino i siti informatici.
2. Per la cassazione della sentenza ricorre il (omissis) articolando, per il tramite del difensore di fiducia, i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Con il primo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nonchè violazione dell’art. 603 c.p.p..
Deduce, al riguardo, che la Corte territoriale ha totalmente disatteso e nemmeno preso in considerazione la richiesta di perizia finalizzata a fornire certezza scientifica sul fatto che i soggetti ritratti nelle 273 immagini fossero realmente minorenni, essendo opinabili i criteri di giudizio indicati dal Giudice di prime cure (seni piccoli, pube depilato, viso fanciullesco).
2.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle censure mosse ai criteri di valutazione delle prove del giudice di primo grado e alla contestata mancanza di prova scientifica.
Deduce che con l’atto di appello aveva contestato il criterio di giudizio, del tutto soggettivo, utilizzato dal giudice di prime cure per affermare la minore età delle ragazze. Si tratta, aggiunge, di un criterio opinabile, privo del necessario rigore scientifico: la grandezza dei seni o l’assenza di peli sul pube non caratterizzano univocamente la minore età, mentre il viso – non trattandosi di bambine – non indica con assoluta certezza la minore età stessa della modella.
La Corte di appello ha totalmente omesso di esaminare criticamente questi argomenti essendosi limitata a validare il ragionamento del giudice di primo grado semplicemente ricalcandone la motivazione.
2.3. Con il terzo motivo eccepisce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’insussistenza della contestata aggravante ed alla conseguente diversa valutazione della sussistenza dell’elemento oggettivo in relazione ad alcune delle immagini contestate.
Deduce che la Corte di appello ha ritenuto di escludere l’aggravante dell’ingente quantità di materiale pornografico detenuto sul rilievo che in numerose immagini comparivano solo modelle adulte. Sennonchè, eccepisce, la Corte territoriale omette di indicare il criterio di giudizio utilizzato rendendo così, “a contrariis”, ancora più vago e incerto quello utilizzato per ritenere la minore età delle altre.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
4. Il giudice di prime cure aveva desunto la prova della minore età delle ragazze ritratte nelle immagini “dalle caratteristiche del viso fanciullesco e del corpo privo per esempio della peluria al pube delle donne adulte o dai seni appena accennati”.
4.1. Nell’atto di appello il (omissis) aveva trascritto le notazioni che il proprio consulente tecnico aveva effettuato per ciascuna delle singole immagini, escludendone il contenuto pornografico o il fatto che le singole modelle avessero meno di 18 anni.
4.2.In particolare, per quanto qui rileva, aveva evidenziato che: a) molte fotografie ritraevano modelle o attrici porno famose e non sconosciute adolescenti (in particolare, (omissis), (omissis), (omissis); b) per quasi tutte le fotografie era stato possibile risalire ai siti di riferimento che rispettano la rigorosa legislazione americana in materia di contrasto alla pornografia minorile; c) le modelle ritratte in molte fotografie sono “ictu oculi” maggiorenni.
4.3. In base a queste considerazioni aveva sollecitato, in caso di dubbio, una perizia volta ad accertare l’età effettiva delle ragazze.
4.4. La Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilità dell’imputato evidenziando che: a) molte delle immagini erano state scaricate da siti internet dal nome chiaramente allusivo ((omissis)), anche se il CT del PM non aveva più potuto accedervi perchè l’indirizzo URL di alcuni di essi non era più attivo o perchè occorreva registrarsi o perchè era necessario pagare con carta di credito; b) in ogni caso, in alcune immagini la minore età delle ragazze raffigurate era evidente, così come evidenziato dal CT del PM che, anche in base alla sua esperienza personale, era stato in grado di distinguere, tra le adolescenti, quelle che non avevano ancora compiuto 18 anni; c) inoltre, quando l’utente accede ad un sito che contenga, nel suo URL, diciture riferibili a bambini o a minorenni (come, ad esempio, (omissis)) e scarichi, detenga ed archivi le relative immagini, consapevolmente offende il bene giuridico protetto dalla norma, sopratutto se le modelle hanno connotati fisici tipici delle ragazze non ancora completamente sviluppate.
4.5. I giudici distrettuali hanno però escluso l’aggravante della ingente quantità di cui all’art. 600 quater c.p., comma 2, sul rilievo che in numerose immagini sono rappresentate modelle maggiorenni, come si evince da “dalle indagini difensive e dai documenti prodotti sulle note modelle”.
5. La motivazione posta dai giudici territoriali a fondamento della conferma del giudizio di responsabilità dell’imputato non è insufficiente, nè manifestamente illogica, nè viziata dalle lacune denunziate dal ricorrente.
5.1. In sede di legittimità il giudizio di coerenza e non manifesta illogicità della motivazione non può fondarsi su un inammissibile e rinnovato esame del compendio probatorio già utilizzato dal giudice di merito per giungere alle sue conclusioni; a meno che tale compendio non sia frutto del travisamento della prova (dal ricorrente non denunciato e sempre che tale travisamento sia davvero e concretamente in grado di disarticolare il ragionamento posto a fondamento della condanna e condurlo verso approdi alternativi altrettanto validi – cfr., sul punto, Sez. 6, n. 15054, del 24/03/2006, Strazzanti, Rv. 233454), la Corte di Cassazione non può sovrapporre la propria logica a quella dei giudici di merito (nel che sta il requisito della manifesta illogicità quale limite al sindacato di legittimità), dovendosi limitare a verificare che il ragionamento seguito nelle precedenti fasi di giudizio sia intrinsecamente coerente e non manifestamente illogico (cfr, da ultimo, in motivazione, Sez. 2, n. 9026 del 05/11/2013, Palumbo, Rv. 258525; nello stesso senso, Sez. U, n. 12 del 31 maggio 2000, Jakani, secondo la quale “è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri”; cfr., anche, Sez, U, n. 47289 del 24/09/2003 e Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, secondo le quali, “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali”).
5.2. Le premesse fattuali del ragionamento posto dai giudici distrettuali a fondamento della conferma dell’affermazione di responsabilità dell’imputato non rendono tale affermazione palesemente incoerente con le premesse stesse. Affermare, infatti, che la minore età delle modelle può essere desunta dal loro aspetto fisico e dal fatto che le relative immagini sono scaricate da siti che, nel loro indirizzo URL, fanno chiaro (o anche solo allusivo) riferimento alla minore età, non solo non è conclusione palesemente illogica o contraddittoria con le premesse di fatto da cui muove il sillogismo, ma è frutto di un esame non parcellizzato e globale della prova che rende coerente e ragionevole la conclusione che se ne trae anche in ordine alla consapevolezza della minore età delle modelle da parte di chi accede a tali siti e scarichi il relativo materiale.
5.3. Nel caso di specie, il ricorrente non contesta l’effettiva sussistenza di fattezze fisiche oggettivamente tipiche di ragazze non ancora pienamente mature (anche se ne ha sempre fornito una spiegazione diversa), nè il fatto che i siti internet specificamente richiamati in sentenza avessero contenuti pedopornografici o evocassero, nel loro URL, tali contenuti.
5.4. I presupposti fattuali del ragionamento non sono dunque posti in discussione.
5.5. Tutto ciò non rende manifestamente irragionevole la conclusione cui sono pervenuti i giudici di merito e giustifica, alla luce delle spiegazioni fornite, la mancata assunzione della perizia che la Corte territoriale ha ritenuto evidentemente non necessaria e che, peraltro, per il suo carattere “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non rientra nella categoria della “prova decisiva” (Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012, Rv. 253707; Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013, Rv. 255152; Sez. 4, n. 14130 del 22/01/2007, Rv. 236191; Sez. 5, n. 12027 del 06/04/1999, Rv. 214873; Sez. 3, n. 13086 del 28/10/1998, Rv. 212187; Sez. 1, n. 9788 del 17/06/1994, Rv. 199279); nè la perizia può costituire prova tipica legale per l’accertamento della minore età delle persone utilizzate nella produzione del materiale pedopornografico.
5.6. Le ragioni poste a fondamento della conferma della penale responsabilità dell’imputato con contrastano con l’esclusione dell’aggravante dell’ingente quantità essendo evidente il richiamo alle modelle (sopra indicate) la cui maggiore età era stata documentata e provata a seguito delle indagini difensive.
5.7. Il ricorso, dunque, deve essere respinto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2015
