2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deducono vizi della motivazione in relazione al contagio dichiarativo fra le persone offese e al carattere suggestivo degli interrogatori e delle domande poste dai genitori alle vittime, con particolare riferimento alla vicenda della minore (omissis), prima denunciante. Non si sarebbe considerato che nel contesto territoriale circolava una diceria di atteggiamenti equivoci, che si sarebbe trasformata in una diceria relativa ad abusi sessuali dopo la denuncia della minore in questione. Quest’ultima sarebbe stata interrogata tramite un approccio verificazionista e la sua vicenda avrebbe avuto un clamore mediatico, che avrebbe condizionato i successivi interrogatori delle altre minori. Quanto alla minore (omissis), la stessa non avrebbe inizialmente riferito essere stata molestata sessualmente dall’imputato, tanto che quest’ultimo aveva tenuto regolarmente lezione di musica a casa dell’allieva il giorno dopo. Non si sarebbe preso in considerazione il fatto che le minori (omissis) e (omissis) avevano denunciato i fatti in un ambito già compromesso da dicerie nei confronti degli dell’imputato, come emergerebbe dalle testimonianze delle madri delle stesse.
2.2. – Con una seconda censura, si deducono vizi della motivazione in relazione all’errata considerazione dell’età minore di dieci anni di C.F., nata il (omissis), in occasione dei primi episodi di abuso (capo g dell’imputazione). Non si sarebbe considerato, che nel primo periodo, la minore condivideva l’attività didattica con un’altra allieva, rispetto alla quale non vi erano stati episodi di abuso. Del resto, la madre della persona offesa non aveva saputo collocare nel tempo i fatti e, anzi, aveva rifatto riferimento ad un periodo nel quale la bambina aveva certamente compiuto dieci anni di età. Dalla deposizione della minore non sarebbe emerso che questa aveva cominciato a subire i primi abusi nel periodo precedente al (omissis).
2.3. – In terzo luogo, si deducono vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’art. 61 c.p., n. 5), riferita alla minorata difesa delle vittime e basata sul rilievo che le aule di lezione costituivano un luogo riservato e appartato. Non si sarebbe considerato che la porta della stanza veniva tenuta semichiusa, spesso non era chiusa chiave e che vi era un andirivieni di persone, con i genitori che stazionavano immediatamente al di fuori. La conclusione della configurabilità della circostanza aggravante si scontrerebbe, poi, con riconoscimento della sussistenza del reato dell’art. 527 c.p., che presuppone il carattere pubblico del luogo in cui i fatti si sarebbero svolti.
2.4. – Un quarto motivo di censura ha per oggetto la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla richiamata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5). Nel giorno dell’udienza di appello, l’imputato aveva ristorato le parti civili di una somma pari alla metà di quella liquidata dal giudice di primo grado e la Corte d’appello, in conseguenza di ciò, aveva diminuito la pena, ma non aveva riconosciuto la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti, sostenendo che l’imputato non avesse manifestato resipiscenza.
2.5. – In quinto luogo, si lamenta la mancata considerazione della depenalizzazione della fattispecie di cui all’art. 527 c.p., anche in considerazione del fatto che il luogo in cui si erano svolti i fatti era stato contraddittoriamente ritenuto come appartato. Non sarebbe comunque configurabile la circostanza aggravante del richiamato art. 527, comma 2.
2.6. – Si deduce, poi, sotto il profilo del vizio motivazionale, la mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, nella massima estensione. La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che il dolo non era connotato da particolare intensità, perchè l’imputato desisteva alla minima reazione delle vittime.
2.7. – Con un settimo motivo di doglianza, si contesta la motivazione della sentenza impugnata in relazione alle statuizioni civili, riferite al danno morale, perchè non si sarebbe tenuto conto del fatto che le psicologhe nominate consulenti dalle parti civili non avevano attestato danni alla sfera psichica riconducibili agli eventi.
3.1. – Il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè volto a contestare l’apparato motivazionale della sentenza impugnata.
A fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte d’appello, il ricorrente non offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sè dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati. Egli si limita, per lo più, a riproporre, senza nuove argomentazioni in punto di diritto e in punto di fatto, censure già proposte in appello e motivatamente rigettate con la sentenza impugnata.
Devono, pertanto, essere preliminarmente richiamati i consolidati e noti orientamenti di questa Corte circa la portata dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e comma 3.
3.1.1. – Va dunque ricordato, in primo luogo, che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti.
Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e la linearità della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili, perchè proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria generale di cui al richiamato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (ex plurimis, sez. fer., 2 agosto 2011, n. 30880; sez. 6, 20 luglio 2011, n. 32878; sez. 1, 14 luglio 2011, n. 33028).
3.1.2. – Quanto, poi, allo specifico profilo della carenza di motivazione, deve rammentarsi il principio secondo cui il giudice del gravame non è tenuto a rispondere analiticamente a tutti i rilievi mossi con l’impugnazione, purchè fornisca una motivazione intrinsecamente coerente e tale da escludere logicamente la fondatezza di tali rilievi (ex plurimis, sez. 4, 17 settembre 2008, n. 38824; sez. 6, 14 giugno 2004, n. 31080); con la conseguenza che, laddove i motivi di ricorso per cassazione si limitino a ricalcare sostanzialmente le censure già motivatamente disattese in secondo grado, questi devono essere ritenuti inammissibili, perchè diretti a sollecitare una rivalutazione del merito, preclusa in sede di legittimità.
3.1.3. – Le censure della difesa si incentrano sulla mera ipotesi – smentita dai fatti dell’esistenza di un contagio dichiarativo, a partire dalla prima denuncia, proposta nell’interesse della minore (omissis) La difesa non considera che la mera successione temporale degli eventi è di per sè neutra rispetto alla dimostrazione del prospettato contagio dichiarativo, come ben evidenziato – con conforme valutazione – dai giudici di primo e secondo grado. E’ sufficiente richiamare, allo scopo, la motivazione della sentenza impugnata, che si incentra su un quadro ben più ampio di quello preso in considerazione dall’imputato, ed esclude anche il carattere suggestivo delle domande rivolte alle persone offese. La corte d’appello fa anche presente – senza che vi sia sul punto dice una specifica censura nel ricorso per cassazione – che la difesa ricorre alla tecnica di estrapolare singoli frasi dall’intero esame dei testimoni per trarne conclusioni falsate e contrarie all’evidenza di quanti da questi riportato. Il quadro è completato dalla confessione extragiudiziale dell’imputato, sulla quale la difesa non ha preso posizione con il ricorso per cassazione, la cui valenza probatoria è analiticamente evidenziata alle pagg. 10-11 della sentenza impugnata.
3.2. – Analoghe considerazioni valgono in relazione alla seconda doglianza prospettata, che deve essere ritenuta anch’essa inammissibile.
La difesa si limita a riproporre pedissequamente le censure già contenute nell’atto d’appello in relazione all’errata considerazione dell’età minore di dieci anni di (omissis), in occasione dei primi episodi di abuso (capo g dell’imputazione). E la prospettazione difensiva è già stata analiticamente e logicamente confutata dai giudici di secondo grado, i quali hanno evidenziato che dalla testimonianza della madre della vittima è emerso con chiarezza che questa, in occasione dei primi episodi, frequentava la quarta elementare e aveva concluso l’anno scolastico prima di compiere dieci anni. La stessa Corte d’appello si fa carico di evidenziare che in un solo caso la madre della persona offesa aveva parlato di “primavera del 2010” e che tale riferimento doveva essere ritenuto erroneo perchè nel resto della deposizione aveva sempre fatto riferimento al 2009; riferimento suffragato anche riscontri esterni. Tutto generiche risultano, P., sono difensive circa il fatto che le prime elezioni sarebbero state collettivamente insieme con un’altra avvia la perchè la stessa difesa non ha fornito precisi riferimenti temporali si è limitata ad ipotizzare che tale soggetto fosse sempre presente durante le lezioni.
3.3. – Il terzo motivo – con cui si deducono vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’art. 61 c.p., n. 5), riferita alla minorata difesa delle vittime e basata sul rilievo che le aule di lezione costituivano un luogo riservato e appartato – è infondato. La Corte d’appello ha espressamente confutato la prospettazione difensiva secondo cui la porta della stanza veniva tenuta semichiusa, spesso non era chiusa chiave e vi era un andirivieni di persone. Ha infatti evidenziato, sul punto, che durante la lezione la porta rimaneva chiusa e l’imputato approfittava del fatto che chi voleva entrare avrebbe bussato, come è emerso da una delle testimonianze raccolte; cosicchè le possibilità di difesa delle minori erano pressochè nulle.
3.4. – Il quarto motivo di censura – relativo al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5), – è inammissibile. Con esso si ripropone una doglianza già esaminata e motivatamente disattesa dalla Corte d’appello, la quale ha evidenziato che la condotta parzialmente riparatoria tenuta dall’imputato, pur tardivamente, può essere presa in considerazione ai soli fini della riduzione degli aumenti fissati per la continuazione. E si è correttamente valorizzata, in senso contrario, la circostanza che la condotta tenuta risulta complessivamente grave, anche perchè protrattasi per lungo tempo in danno di numerose persone, pur essendo stata generosamente riconosciuta, in primo e secondo grado, la circostanza attenuante dell’art. 609 bis c.p., comma 3.
3.5. – Il quinto motivo – con cui si lamenta la mancata considerazione della depenalizzazione della fattispecie di cui all’art. 527 c.p., anche in considerazione del fatto che il luogo in cui si erano svolti i fatti era stato contraddittoriamente ritenuto come appartato – è infondato. Deve preliminarmente rilevarsi che non vi è in astratto una incompatibilità tra la circostanza aggravante della minorata difesa della vittima, di cui all’art. 61 c.p., n. 5), e il reato di atti osceni in luogo pubblico. E’ infatti pacifico che la minorata difesa si possa realizzare anche in un luogo pubblico e in presenza del potenziale accesso di chiunque, perchè tale circostanza riguarda il concreto atteggiarsi, che viene a crearsi al momento della commissione del fatto, tra reo e vittima.
Sul potenziale accesso di chiunque alla stanza, la Corte d’appello ha correttamente valorizzato la testimonianza del parroco, il quale aveva precisato che questa si trova nell’oratorio e che spesso vi entravano persone. E risulta evidentemente sussistente anche la circostanza aggravante dell’art. 527 c.p., comma 2, che ha effetto preclusivo della depenalizzazione disposta, limitatamente alla fattispecie del D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 2, comma 1, lett. a).
Risulta infatti pacifico che i fatti siano stati commessi all’interno di luoghi abitualmente frequentati da minori e che vi fosse il pericolo che questi vi assistessero.
Deve in ogni caso rilevarsi che risultano prescritte, alla data della pronuncia della presente sentenza, le condotte di atti osceni aggravati poste in essere fino al 13 (omissis). Trova infatti applicazione – in mancanza di cause di sospensione della prescrizione il termine complessivo sette anni e sei mesi previsto dall’art. 157 c.p., comma 1 e art. 161 c.p., comma 2. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto, senza rinvio, ben potendo questa Corte direttamente provvedere ad eliminare la relativa pena di 15 giorni di reclusione, determinata in misura corrispondente alla metà dell’aumento di un mese per la continuazione applicato in primo grado, non essendo chiaro quale sia stato l’aumento per la continuazione – certamente in misura inferiore – disposto in secondo grado, e tenuto conto del fatto che il periodo per il quale è maturata la prescrizione corrisponde alla metà del periodo complessivamente oggetto di contestazione.
3.6. – Del tutto correttamente la Corte d’appello ha ritenuto di non concedere nella massima estensione la diminuzione per la circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, generosamente riconosciuta. Nessuna rilevanza può essere attribuita a tal fine al dato – oggetto di mera affermazione – che il dolo non fosse connotato da particolare intensità. La circostanza che l’imputato abbia desistito dalla condotte alla minima reazione delle vittime risulta, infatti, elisa – come ben evidenziato dai giudici di secondo grado – dalla reiterazione dei comportamenti per un lunghissimo periodo ai danni di più soggetti, con conseguenze negative sul loro sviluppo psichico.
Ne deriva l’inammissibilità del sesto motivo di doglianza.
3.7. – Inammissibile è anche il settimo motivo, con cui si contesta la motivazione della sentenza impugnata in relazione alle statuizioni civili, riferite al danno morale. La difesa si limitata a asserire – senza puntuali riferimenti agli atti di causa che rendano verificabile il suo assunto – che le psicologhe nominate consulenti dalle parti civili non avevano attestato danni alla sfera psichica riconducibili agli eventi. E risulta comunque dirimente, sul punto, la considerazione che la doglianza del ricorrente – meramente riproduttiva di un analogo rilievo proposto in appello – si limita alle statuizioni relative al danno morale; danno del tutto sganciato dall’accertamento di una malattia psichica e liquidabile, in via equitativa, anche in relazione a una sofferenza meramente transitoria.
4. – Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al capo I dell’imputazione, con riferimento ai fatti commessi fino al 13 (omissis), per essere gli stessi estinti per prescrizione, con eliminazione della relativa pena di 15 giorni di reclusione. Il ricorso deve nel resto essere rigettato e l’imputato deve essere condannato al rimborso delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle parti civili, da liquidarsi: in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, per (omissis), in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, per R.L., in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, per (omissis)., in Euro 3.600,00, oltre accessori di legge, per D.I. e (omissis).
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017
