RITENUTO IN FATTO
- Con la sentenza del 5 febbraio 2020 la Corte di appello di Roma ha confermato la condanna inflitta a Z.R. dal Tribunale di Cassino il 9 dicembre 2015 alla pena di 3 anni di reclusione ed Euro 10.000 di multa, per il reato D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 73, comma 4, per la detenzione di grammi 579,6 di hashish; la sostanza stupefacente fu rinvenuta nell’auto condotta da F.K. (condannato nel giudizio abbreviato), ai piedi del sedile del passeggero, occupato in quel momento da Z.R.; in (OMISSIS).
La Corte di appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha invece assolto S.D., che sedeva nel sedile posteriore dell’auto, perché il fatto non sussiste.
- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Z.R..
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di contraddittorietà e illogicità della motivazione.
Dopo aver ricostruito i fatti e l’iter del procedimento, indicato i motivi per cui si chiese l’assoluzione in primo grado (i due passeggeri erano sull’auto per una coincidenza, avendo accettato un passaggio da F.K. e non erano a conoscenza della presenza della sostanza stupefacente), riportato la motivazione della sentenza di primo grado, si rileva che la Corte territoriale avrebbe ritenuto colpevole l’imputato, a differenza di S.D., poi assolto, affermando che il ricorrente non avrebbe potuto non conoscere il contenuto della busta perché si trovava ai suoi piedi. La motivazione sarebbe priva di riscontro fattuale e contraddittoria.
Nei giudizi di merito sarebbe stato accertato che il viaggio a Napoli da Formia fu organizzato da S.D., il quale chiese a Z.R. di accompagnarlo; S.D. avrebbe svolto dei colloqui di lavoro e si sarebbe recato presso la stazione di Napoli per tornare con il treno. Qui, S.D. avrebbe contattato casualmente Fl.Ka. il quale offrì loro un passaggio.
La motivazione sarebbe contraddittoria perché la Corte territoriale avrebbe trattato in modo difforme due posizioni identiche, pur avendo i due condiviso le ragioni del viaggio a Napoli; il teste Fatmir Kalosci sarebbe stato ritenuto attendibile e posto alla base dell’assoluzione di S.D., ma non sarebbe stato valutato in favore del ricorrente.
Se i due passeggeri si conoscevano ed erano insieme partiti per Napoli e poi tornati, allora entrambi sarebbero stati ignari di coadiuvare F.K. nel trasporto della sostanza stupefacente. Il ricorrente sarebbe stato condannato solo per aver accompagnato S.D. a Napoli, mentre quest’ultimo avrebbe personalmente organizzato il viaggio per Napoli e coinvolto il ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione per il travisamento della prova per l’omessa valutazione delle dichiarazioni spontanee del coimputato F.K. che avrebbe escluso la responsabilità di S.D. e di Z.R.. Tali dichiarazioni sarebbero state sufficienti per l’assoluzione.
Sono poi rivolte delle critiche alla motivazione della sentenza di primo grado che avrebbe escluso con mere illazioni il valore delle prove offerte dalla difesa (pag. 9-12).
La colpevolezza non sarebbe stata dimostrata ma ritenuta in base ad un ragionamento induttivo. Non sarebbero emersi elementi oggettivi per dimostrare la conoscenza del contenuto della busta posta ai piedi del ricorrente, anche per le modalità di confezionamento (avvolta quasi per l’intero da nastro isolante).
Non sarebbe stato correttamente applicato il principio del ragionevole dubbio; la sentenza si fonderebbe su valutazioni personali.
2.3. Con il terzo motivo si deduce l’illegittimità della sentenza, ex art. 606 c.p.p., lett. e), per l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 110 c.p. Pur ammettendo che il ricorrente fosse a conoscenza del contenuto della busta, mancherebbe la motivazione sul contributo che il ricorrente avrebbe fornito o su come avrebbe potuto rafforzare il proposito criminoso del conducente dell’auto. L’imputato non avrebbe realizzato alcuna azione di occultamento né durante l’inseguimento né durante il controllo; al più vi sarebbe stata una connivenza non punibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Se non risulta provato il travisamento della prova per omissione – relativo alla mancata valutazione delle dichiarazioni spontanee rese da F.K. all’udienza del 9 dicembre 2015, allorché avrebbe escluso la corresponsabilità dei due imputati – perché non allegato il relativo verbale, il ricorso è però fondato, sussistendo i dedotti vizi della motivazione sulla responsabilità del ricorrente.
1.1. La Corte di appello ha esaminato esclusivamente la parte finale della condotta, quella relativa al ritrovamento da parte della polizia giudiziaria della busta, il cui contenuto non era di immediata visibilità, senza alcuna valutazione della tesi difensiva, neanche per confutarla, fondata sulle dichiarazioni del teste Fa.Ka., sull’esame dell’imputato S.D., sulle produzioni documentali, e sulla condanna in sede di giudizio abbreviato di F. K., conducente dell’auto su cui la sostanza stupefacente è stata ritrovata.
1.2. Gli elementi di prova indicati dalla difesa erano infatti volti a dimostrare che la presenza sull’auto di Z.R. e di S.D. non era collegata al trasporto della sostanza stupefacente, ma era casuale, derivata solo dalla necessità di tornare a Formia da Napoli mediante il passaggio offerto da F.K., la cui condanna offrirebbe un elemento di valutazione della diretta disponibilità dell’hashish da parte di quest’ultimo.
Il motivo di appello è infatti specifico e la ragione per la quale si trovavano gli imputati nell’auto è decisiva ai fini di attribuire al ricorrente la responsabilità per il reato contestato, soprattutto dopo l’assoluzione di S.D., rispetto al quale la Corte di appello ha ritenuto non aver avuto alcuna disponibilità della sostanza stupefacente.
1.3. Nella sentenza impugnata manca, inoltre, la motivazione su chi sia l’autore della condotta tipica: manca l’indicazione della prova che dimostri chi abbia ricevuto, per poi trasportarla, la sostanza stupefacente. La condanna di F.K. è indubbiamente un elemento favorevole che incide sulla posizione del ricorrente, come sostenuto dalla difesa, trattandosi del proprietario e conducente dell’auto su cui vi era la sostanza stupefacente.
Solo una volta individuato l’autore della condotta tipica può procedersi a valutare se sussista la condotta di concorso di persone nel reato, se la condotta del ricorrente abbia una efficacia causale alla realizzazione dell’evento, in modo tale che l’evento stesso possa essere considerato come l’effetto dell’azione combinata di tutti.
1.4. Del tutto apodittica è la motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. La consapevolezza del contenuto della busta è stata infatti dedotta dalla stessa presenza della busta ai piedi del ricorrente, mentre alcuna valutazione è stata effettuata sul come le modalità di confezionamento della busta consentissero al ricorrente di comprenderne il contenuto: mancano del tutto elementi di prova su ciò che è accaduto prima del controllo della polizia giudiziaria.
1.5. Per altro, la mera conoscenza del contenuto della busta non è neanche sufficiente a dimostrare la sussistenza del concorso di persone nel reato.
Il contributo deve estrinsecarsi, in maniera concreta, consapevole e volontaria, nell’occultamento, custodia e controllo della sostanza stupefacente; una condotta quindi finalizzata ad evitare che la stessa sia rinvenuta e sia prodromica a protrarre la illegittima detenzione, non essendo per altro neanche sufficiente la consapevolezza della perpetrazione del reato a parte di altri.
In caso di mera presenza sul luogo del reato, l’agente è punibile a titolo di concorso di persone solo qualora abbia partecipato o comunque facilitato la realizzazione del reato, anche mediante un consapevole rafforzamento del proposito criminoso dell’esecutore; quando la presenza, purché non meramente casuale, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto ed allorché l’agente abbia la coscienza e la volontà dell’evento cagionato da altro o altri coimputati, sia servita a fornire stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza, rafforzando l’altrui proposito criminoso.
Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Caradonna, Rv. 26445401, ha affermato, in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, che la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente.
- Il ricorso deve pertanto essere accolto; la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per un nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.
