Massima

E’ legittimo che il legale rappresentante dell’azienda paghi le ammende per violazione della normativa antinfortunistica, in quanto non ha sottoposto a visita medica periodica due dipendenti della società e non ha assicurato che i lavoratori ricevessero un’adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

(Rocchina Staiano)

 

 

 

È da ritenersi legittima l’irrogazione delle ammende nei confronti del legale rappresentante dell’azienda per violazioni della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008.

Nel caso di specie, il datore di lavoro: Non ha sottoposto a visita medica periodica due dipendenti, in violazione degli obblighi previsti dall’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008, che impone la sorveglianza sanitaria nei casi previsti dalla legge. Non ha garantito un’adeguata formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza, in violazione degli artt. 36 e 37 del medesimo decreto, che stabiliscono l’obbligo di informare e formare i lavoratori sui rischi connessi all’attività lavorativa. Tali omissioni integrano illeciti penali contravvenzionali, per i quali è prevista l’applicazione di sanzioni pecuniarie (ammende), legittimamente poste a carico del legale rappresentante in quanto soggetto titolare delle responsabilità gestionali e organizzative dell’impresa.

Supporto alla lettura

SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO

La sicurezza sul lavoro è quell’insieme di misure, provvedimenti e soluzioni adottate al fine di rendere più sicuri i luoghi di lavoro, per evitare che i lavoratori possano infortunarsi durante lo svolgimento delle loro mansioni.

Si tratta di una condizione organizzativa necessaria ed imprescindibile di cui ogni azienda deve essere in possesso per eliminare o quantomeno ridurre i rischi e i pericoli per la salute dei lavoratori.

Attualmente la normativa di riferimento in materia è costuita dal D. L.gs. 81/2008, il quale prevede, tra le principali misure generali di tutela:

  • la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
  • l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo;
  • il rispetto dei prinicipi ergonomici;
  • la riduzione del rischio alla fonte;
  • la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
  • l’utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
  • i controlli sanitari periodici dei lavoratori;
  • l’informazione e formazione in materia di sicurezza per i lavoratori;
  • le istruzioni adeguate ai lavoratori;
  • la programmazione di misure per garantire il miglioramento nel tempo;
  • la gestione delle emergenze;
  • la regolare manutenzione di ambienti, impianti, attrezzature e dispositivi di sicurezza.

L’obbligo di rispettare la normativa inerente alla sicurezza sul lavoro è stabilito nei confronti di ogni lavoratore, ovvero di coloro che rientrano nella definizione contenuta nell’art. 2, lett a) del D. Lgs. 81/2008, i quali svolgono un’attività lavorativa nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche solo al fine di apprendimento, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Inoltre sono equiparati ai lavoratori anche:

  • il socio lavoratore di cooperativa o di società;
  • l’associato di paretcipazione;
  • l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ecc…

Il datore di lavoro è la figura principale garante e responsabile della tutela della salute e sicurezza nella propria azienda, infatti egli deve ottemperare a quanto stabilito dalla normativa vigente per garantire la corretta applicazione delle misure atte alla riduzione o alla cancellazione di qualsiasi rischio cui sono esposti i lavoratori:

  • la valutazione dei rischi e la stesura del relativo documento (DVR);
  • il dovere di offrire un ambiente lavorativo sicuro;
  • informare e formare i lavoratori sui rischi presenti in loco;
  • vigilare e verificare il rispetto delle norme antinfortunistiche da parte dei dipendenti;
  • l’adozione di idonee misure di prevenzione e protezione, tra cui i dispositivi di protezione individuale.

Oltre alla figura del datore di lavoro, ci sono anche altri soggetti che hanno un ruolo nella gestione della sicurezza sul lavoro, in particolare: il dirigente per la sicurezza; il preposto per la sicurezza; il responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP); l’addetto al servizio prevenzione e protezione (ASPP); il medico competente; il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS); il lavoratore, quest’ultimo in particolare è anche soggetto attivo che deve essere consapevole delle condizioni del proprio ambiente lavorativo e deve partecipare alla valutazione dei rischi attraverso il rappresentante dei lavoratori (RLS).

I controlli e la supervisione vengono effettuati da diverse entità, sia a livello governativo che aziendale, per esempio l’ispettorato del lavoro e l’azienda sanitaria locale competente per territorio.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto/Diritto

1. Con sentenza del 17 gennaio 2019, il Tribunale di Lucca ha condannato S.DS. alle pene di Euro 2.200 di ammenda e di Euro 5.000 di ammenda, rispettivamente, per i reati di cui agli artt. 55, comma 5, lett. e (in relazione al precedente art. 18, comma 1, lett. g) e 55, comma 5, lett. g (in relazione al precedente art. 37, comma 1) d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 per non aver sottoposto a visita medica periodica due dipendenti della società da lei amministrata e per non aver assicurato che i lavoratori ricevessero un’adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

2. Avverso detta sentenza, l’imputata ha proposto ricorso a mezzo del difensore fiduciario, deducendo, con il primo motivo, la mancanza di motivazione in ordine al richiesto beneficio della sospensione condizionale della pena, rappresentando che, pur avendone già fruito in due occasioni, sarebbe possibile effettuare una prognosi favorevole e quindi nuovamente concederlo.

3. Con il secondo motivo si deducono violazione dell’art. 133 cod. pen. e vizio di motivazione per essere stata applicata per il reato di cui al capo B la pena pecuniaria nella misura del massimo edittale, laddove per il reato di cui al capo A era stata applicata una pena prossima al minimo tenendosi correttamente conto del favorevole giudizio sulla personalità e del fatto che l’imputata aveva tempestivamente ottemperato alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza.

4. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché proposto per motivo non consentito e anche generico.

4.1. Quanto al primo motivo, sulla base della stessa allegazione contenuta in ricorso circa il fatto che l’imputata ha già fruito in due occasione della sospensione condizionale della pena, la doglianza è manifestamente infondata. Ed invero, la reiterazione del beneficio della sospensione condizionale della pena non è consentita a favore di chi ne abbia già usufruito due volte, quale che sia la specie e l’entità delle pene sospese, inflitte con le due precedenti condanne (Sez. 5, n. 1783 del 19/04/1999, Falcone, Rv. 213180;v. anche Sez. 1, n. 998 del 05/11/2008, Ingenito, Rv. 242506)

4.2. Quanto al secondo motivo, osserva il Collegio che, richiamandosi i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., la stessa è stata determinata per il reato di cui al capo B) in 5.000 Euro di ammenda, a fronte di una cornice edittale che prevede la pena dell’arresto da due a quattro mesi o quella dell’ammenda da 1.200 a 5.200 Euro. Trattandosi, dunque, di pena alternativa ed avendo il giudice ritenuto di contenerla, per le favorevoli ragioni indicate in sentenza, nella meno grave sanzione pecuniaria, il fatto che ci si sia distaccati dal minimo edittale per essa previsto non significa – come invece allega il ricorrente – che sia stata applicata la pena massima edittale, che nella specie sarebbe stata quattro mesi di arresto. Per contro, l’essere stata irrogata la sola pena pecuniaria evidenzia l’uso del potere discrezionale di cui all’art. 132 cod. pen. certamente in termini favorevoli al reo e inferiori alla media edittale, nel caso di specie da individuarsi nella pena detentiva. La doglianza al proposito mossa è dunque inammissibile posto che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197), sicché può essere censurata in sede di legittimità soltanto sul piano del soddisfacimento dell’obbligo di motivazione, per assolvere il quale, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197).

Né, d’altronde, può essere utilizzato, quale indice di irragionevolezza, il fatto che per il reato di cui al capo A) la pena sia stata fissata in termini di poco superiori al minimo edittale, posto che l’art. 55, comma 5, lett. c), d.lgs. 81/2008 – che sanziona l’inosservanza al disposto di cui all’art. 18, lett. g), nella specie violato – prevede la sola sanzione pecuniaria tra un minimo di 2.000 ed un massimo di 4.000 Euro di ammenda e non contempla invece quella detentiva.

Va considerato, inoltre, che, per entrambe le contravvenzioni, l’art. 55, comma 6-bis, d.lgs. 81/2008 prevede il raddoppio dei limiti edittali di pena allorquando l’inosservanza riguardi almeno cinque dipendenti – ciò che consente di ricavarne un principio di modulazione della sanzione con riguardo al numero dei lavoratori interessati dalle inosservanze – e, mentre il reato di cui al capo A) concerneva due soli lavoratori, il ricorrente non allega che il reato di cui al capo B), certamente contestato con riguardo ad una pluralità di dipendenti come attesta il (sia pur improprio) riferimento alla continuazione, riguardasse lo stesso numero di dipendenti, piuttosto che un numero superiore, ciò che ulteriormente giustificherebbe il non significativo scostamento dal minimo edittale.

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento In favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 9 ottobre 2019.

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