Con sentenza dell’8.7.96 la Corte d’Appello di Milano confermava la pronuncia di condanna emessa il 16.11.94 dal Pretore di Como, con la quale (omissis) era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 5 L. 283-62 per avere detenuto per la vendita bottiglie di acqua minerale depositata in luogo esposto al sole, in violazione di quanto disposto dall’art. 47 D.M. 20.1.27.
Contro la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione ed ha dedotto la violazione di legge sostenendo che la norma di cui all’art. 47 D.M. 20.1.27 è stata abrogata a seguito del D. L.vo 25.1.92 n. 105 e dal D.M. 12.11.92 n. 542.
Ha poi affermato che la violazione delle modalità prescritte per la conservazione delle sostanze alimentari non è sufficiente a determinare la sussistenza del reato di cui all’art. 5 lett. b) L. 283-62, occorendo (*) la prova che le sostanze alimentari siano effettivamente in cattivo stato di conservazione e che sussiste il concreto pericolo di una loro alterazione.
Diritto
Motivi della decisione
Ancor prima di esaminare i motivi dedotti dal ricorrente sembra opportuno soffermare l’attenzione sul contenuto della norma di cui all’art. 5 lett. b) D.P.R. 283-62 contestata all’imputato.
Come prima osservazione è da rilevare che la norma, nel punire il fatto di detenere per la vendita sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non precisa in quali casi un tale cattivo stato di conservazione ricorre.
Ne consegue che, anche al fine di evitare una inammissibile dilatazione dell’ambito di applicazione della fattispecie penale, per individuare il fatto punibile occorre tenere presente l’oggettività giuridica del reato.
Quale sia il bene protetto dalla norma incriminatrice lo si desume dal contenuto dello stesso art. 5 L. 283-62, poiché corrisponde a quello tutelato dalle altre fattispecie criminose in esso inserite, rispetto alle quali quella di cui alla lett. b) si pone come ipotesi residuale.
Le altre contravvenzioni previste dall’art. 5 hanno natura di reati di pericolo concreto e puniscono la detenzione per la vendita di sostanze alimentari che per loro caratteristiche sono pericolose per la salute o comunque non genuine, come è dato di riscontrare nella ipotesi criminosa prevista dalla disposizione contenuta sotto la lett. a).
Anche la contravvenzione di cui alla lett. b) dell’art. 5 mira a tutelare la genuinità e commestibilità del prodotto alimentare ma, a differenza delle altre contravvenzioni contenute nello stesso articolo, configura un reato che è di pericolo presunto. La norma, infatti, non richiede che la sostanza alimentare sia pericolosa per la salute e neppure che abbia subito una qualche alterazione (Cass. S.U. 4.1.96 n. 1). Con presunzione juris et de jure individua nel fatto che la sostanza alimentare è in cattivo stato di conservazione il pericolo che possa risultarne alterata la genuinità o commestibilità (Cass. Sez. V, 23.6.94 n. 8311).
Quindi, perché ricorra il cattivo stato di conservazione non occorre, come sostiene il ricorrente, che la sostanza alimentare risulti alterata. È sufficiente che nelle modalità di conservazione del prodotto (sistemi di confezionamento, luogo di conservazione, esposizione all’aria o al sole, stivaggio, trasporto etc.), non sono osservate le precauzioni igienico – sanitarie dirette ad evitare che il prodotto stesso possa subire una alterazione che ne comprometta la genuinità o commestibilità, precauzioni che possono essere prescritte da leggi o regolamenti o che possono trovare la loro fonte in regole di comune esperienza (Cass. Sez. VI, 21 1.93 n. 3802).
Ciò premesso è da considerare che, con riferimento all’acqua minerale, l’art. 47 D.M. 20.1.27 detta speciali precauzioni in ordine alla conservazione di tale prodotto alimentare e prescrive che l’acqua minerale, specialmente se conservata in bottiglie, deve essere tenuta al riparo dalla viva luce e da sorgenti di calore.
Trattasi di prescrizione diretta a garantire che l’acqua minerale destinata al consumo non subisca modificazioni nella sua composizione naturale e conservi la sua genuinità sicché la sua inosservanza determina il cattivo stato di conservazione dell’acqua e quindi la sussistenza del reato di cui all’art. 5 lett. b) L. 283-62.
Sostiene il ricorrente che l’art. 47 D.M. 20.1.27 non è più in vigore in conseguenza della disposizione di cui all’art. 20 D. L.vo 25.1.92 n. 105 e del D.M. 12.11.92 n. 542.
Poiché l’art. 20 del D. L.vo n. 105-92 statuisce che le disposizioni del D.M. 20.1.27 si applicano sino all’emanazione dei decreti ministeriali previsti dall’art. 2 dello stesso decreto legislativo e poiché il D.M. 592-92, emanato in attuazione del predetto art. 2, non detta disposizioni in tema di conservazione delle acque minerali, a giudizio del ricorrente l’art. 47 del D.M. 20.1.27 non è più in vigore per cui, in tema di conservazione di acque minerali, non sussistono prescrizioni di legge.
Ritiene la Corte che l’assunto del ricorrente non ha giuridico fondamento.
Occorre considerare che il D. L.vo 105-92, a differenza del D.M. 20.1.27, non detta disposizioni in tema di conservazione delle acque minerali. In attuazione della direttiva 80-777 C.E.E. si occupa dell’utilizzazione e commercializzazione delle acque minerali naturali e contiene norme che riguardano le caratteristiche, i criteri di valutazione, il riconoscimento e l’utilizzazione delle acque minerali nonché l’etichettatura e la pubblicità di tale prodotto.
Deve poi aggiungersi che l’art. 20 di tale decreto, nel precisare che le disposizioni del D.M. 20.1.27 si applicano “fino all’emanazione dei decreti previsti dall’art. 2”, fa riferimento ai decreti che il Ministro della Sanità, a norma del predetto art. 2, avrebbe dovuto emanare per determinare i criteri di valutazione delle caratteristiche che le acque minerali devono possedere per essere ritenute tali. Ed infatti il D.M. 12.11.92 n. 542, nel richiamare quanto disposto dall’art. 2 del D. L.vo 105-92, contiene norme regolamentari che riguardano appunto i criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali.
Or se il D. L.vo 105-92 non contiene disposizioni che concernono le modalità di conservazione delle acque minerali e l’art. 20 di tale decreto fissa un limite temporale all’applicabilità del D.M. 20.1.27 che palesemente riguarda soltanto la materia concernente i criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali, deve ritenersi che la norma di cui all’art. 47 D.M. 20.1.27, la quale sancisce prescrizioni in tema di conservazione delle acque minerali, è tuttora in vigore perché non abrogata, nè espressamente nè implicitamente, dal D. L.vo n. 105-92 o dal D.M. 542-92.
Ne consegue che, qualora, come nel caso in esame, l’acqua minerale destinata alla vendita è tenuta esposta al sole, essa è da ritenere in cattivo stato di conservazione perché non sono osservate le prescrizioni che l’art. 47 D.L 20.1.27 espressamente sancisce per la sua conservazione al fine di garantirne la genuinità e pertanto ricorrono gli estremi del reato di cui all’art. 5 lett. b) L. 283-62. Può poi aggiungersi che, al di là di quanto espressamente sancito dal predetto art. 47, il fatto addebitato all’imputato integra comunque la fattispecie criminosa a lui contestata poiché il tenere depositate bottiglie di acqua minerale destinate alla vendita in luogo esposto al sole nel mese di agosto, comporta il cattivo stato di conservazione dell’acqua, stante il pericolo che essa possa subire alterazioni a causa del notevole rialzo termico dovuto al calore dei raggi solari.
Ne consegue che il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 19 settembre 1997
DEPOSITATA IN CANCELLERIA, IL 13 OTT. 1997
(*) ndr: così nel testo.