• Home
  • >
  • Cassazione penale sez. III, 18/02/2020, n. 6250

Cassazione penale sez. III, 18/02/2020, n. 6250

Massima

In materia di sequestro preventivo di manufatti abusivi ultimati, quali un chiosco bar, la cui mancata rimozione dopo la scadenza dell’autorizzazione temporanea integra reati urbanistici e paesaggistici di natura permanente, la sussistenza del “periculum in mora” – requisito essenziale per la misura cautelare – non è considerata implicita nella mera permanenza del reato stesso.

Supporto alla lettura

SEQUESTRO

Rientra tra le misure cautelari reali e consiste nello spossessamento di un bene, mobile o immobile, sottratto alla disponibilità di un soggetto.

Esistono 3 tipologie di sequestro:

  • probatorio: non rientra tra la misure cautelari reali, si tratta di un mezzo di ricerca della prova che ha l’obiettivo di assicurare il bene mobile o immobile per fini probatori, solitamente viene disposto a seguito di perquisizione;
  • conservativo: rientra tra le misure cautelari reali ed ha finalità prevalentemente economica. Questa tipologia di sequestro ha subito modifiche in seguito all’entrata in vigore della riforma Cartabia, che ha rimosso ad esempio le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria;
  • preventivo: rientra tra le misure cautelari reali ed ha finalità di protezione, infatti l’art. 321 c.p.p. dispone che “quando vi è pericolo che la libera disponbilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 7 giugno 2019, il Tribunale di Cagliari ha accolto il riesame proposto da (omissis), nella qualità di legale rappresentante della Gruppo (omissis) S.r.l., avverso il decreto di sequestro preventivo di un chiosco bar realizzato sulla spiaggia demaniale di (omissis), disponendo la restituzione all’avente diritto.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari deducendo la violazione dell’art. 321 c.p.p. e del D.P.R. n. 380 del 2001art. 44, comma 1, lett. c), e D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42art. 181.

Il ricorrente rileva che il giudice del riesame ha correttamente riconosciuto il fumus dei reati urbanistico e paesaggistico ipotizzati, sul rilievo che il chiosco autorizzato soltanto in via stagionale e collocato in area demaniale vincolata e soggetta a inedificabilità assoluta – doveva essere rimosso al termine dell’autorizzazione temporanea, vale a dire il 31 ottobre 2006, con conseguente permanenza dei reati. Lamenta, tuttavia, che sia stato escluso il periculum in mora essendosi erroneamente richiamata la giurisprudenza relativa ai reati consumati di realizzazione di manufatti ultimati, senza considerare che nella specie la consumazione e le conseguenze pericolose del reato si protraggono invece nel tempo, sicchè non può parlarsi di effetti pregiudizievoli che conseguono a reati oramai consumati.

In ogni caso – rileva il ricorrente – il g.i.p. aveva giustamente ritenuto la necessità del sequestro preventivo per evitare la protrazione delle conseguenze del reato con riguardo al maggiore carico antropico che il chiosco determinava sull’area demaniale in questione ed alla compromissione ambientale connessa anche alla presenza di servizi igienici, definendosi “sconcertante” l’affermazione dell’ordinanza impugnata secondo cui si sarebbe nella specie dovuto bilanciare il diritto individuale di proprietà e di libera iniziativa economica con il pericolo di aggravamento e protrazione delle conseguenze del reato.

3. Con memoria depositata lo scorso 15 novembre, la difesa di (omissis) – in proprio e quale legale rappresentante della Gruppo (omissis) Srl – ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ovvero il rigetto del medesimo, trattandosi di doglianze che attengono al merito e che non individuano alcuna violazione di legge, a fronte, peraltro, di una approfondita e congrua motivazione.

Si segnala, inoltre, come il chiosco sia stato quasi completamente rimosso con conseguente cessazione di qualsiasi eventuale esigenza cautelare.

Motivi della decisione

1. Va premesso che non costituisce oggetto di impugnazione la sussistenza del fumus dei reati urbanistico e paesaggistico, diffusamente argomentata nell’ordinanza impugnata sul rilievo che l’indagato non aveva rimosso l’opera temporaneamente autorizzata pur essendo scaduto il termine di validità dell’autorizzazione che ne legittimava il mantenimento e ciò in applicazione del principio – ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte – giusta il quale integra il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001art. 44, comma 1, lett. b), la mancata rimozione di un manufatto installato per soddisfare esigenze stagionali alla scadenza del termine previsto dall’autorizzazione alla sua edificazione (Sez. 3, n. 39677 del 06/04/2018, Dallamotta, Rv. 275437; Sez. 3, n. 23645 del 12/05/2011, Frassica, Rv. 250484).

Neppure costituisce oggetto d’impugnazione il fatto che gli ipotizzati reati, quando gli stessi sono integrati dalla mancata rimozione entro il termine prescritto di un’opera precaria, siano da qualificarsi come permanenti, perdurando la permanenza sino alla data in cui la costruzione precaria venga effettivamente rimossa (Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso e a., Rv. 261916). Su tale conclusione, di fatti, il ricorrente concorda con quanto affermato nell’ordinanza impugnata.

2. Ciò posto, reputa il Collegio che correttamente il Tribunale abbia ritenuto di dover valutare la sussistenza del periculum in mora nonostante la ritenuta permanenza del reato e che le contestazioni mosse dal ricorrente al negativo giudizio dato sul punto dal giudice del merito cautelare attengano alla motivazione del provvedimento e non siano quindi proponibili in questa sede.

2.1. Quanto al primo aspetto, occorre rilevare come, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non possa farsi qui applicazione del principio secondo cui la protrazione delle conseguenze pericolose del reato sino a che perduri la permanenza è sostanzialmente in re ipsa (v. Sez. 3, n. 53347 del 28/09/2018, Sciortino, Rv. 275181; Sez. 3, n. 16417 del 16/03/2010, Apicella, Rv. 246765), con conseguente sussistenza del periculum richiesto dall’art. 321 c.p.p., comma 1, per poter disporre il sequestro preventivo. Questa giurisprudenza, di fatti, si è formata con riguardo al diverso reato di occupazione abusiva di spazi demaniali previsto dall’art. 1161 c.n. (nella specie, par di capire, non contestato perchè, come rileva l’ordinanza impugnata, la società è in possesso di concessione demaniale con scadenza 31 dicembre 2020). Con riguardo a tale reato, di fatti, la sottrazione dell’area al possessore, conseguente al provvedimento cautelare, fa cessare l’occupazione illecita e proprio per questo evita la protrazione delle conseguenze del reato.

Per contro, quando si tratti di costruzione sine titulo ultimata, a prescindere dal fatto che il reato sia qualificabile come istantaneo o come permanente, per poter disporre il sequestro preventivo dell’opera è necessario accertare se la libera disponibilità della stessa possa agevolare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati, con particolare riguardo alla sussistenza di un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o di una ulteriore lesione del bene giuridico protetto (così Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223721).

Detta giurisprudenza correttamente richiamata nell’ordinanza impugnata – pur formatasi con riguardo al sequestro preventivo di cosa pertinente al reato allorquando si tratti di illecito per il quale si è perfezionata ed esaurita la consumazione, è da ritenersi applicabile anche nel caso in cui si ritenga che la condotta illecita perduri sino a quando l’opera non autorizzata venga rimossa. L’art. 321 c.p.p., comma 1, di fatti, non prevede deroghe, richiedendo sempre l’accertamento, con adeguata motivazione, che il pericolo della libera disponibilità della cosa presenti i requisiti della concretezza e dell’attualità e che le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l’accertamento irrevocabile del reato (Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223721).

In particolare, per i reati edilizi è ammissibile il sequestro di un immobile costruito abusivamente la cui edificazione sia ultimata, fermo restando l’obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze antigiuridiche, ed ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall’uso dell’edificio realizzato abusivamente, che la misura cautelare intende inibire (Sez. 2, n. 17170 del 23/04/2010, De Monaco, Rv. 246854; Sez. 4, n. 15821 del 31/01/2007, Bove e a., Rv. 236601). Sul piano urbanistico, tali conseguenze debbono aver riguardo all’incidenza sul regolare assetto del territorio derivanti dalla libera disponibilità del bene (Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812), laddove questa possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del territorio ed incidere sul “carico urbanistico”, il pregiudizio del quale va ad esempio valutato avendo riguardo agli indici della consistenza dell’insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare nonchè della domanda di strutture e di opere collettive (Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011, dep. 2012, Susinno, Rv. 252016).

Lo stesso vale, mutatis mutandis, per il reato paesaggistico, rispetto al quale la valutazione sulla necessità di escludere, con il sequestro, la libera disponibilità del bene dovrà aver riguardo alle conseguenze che questa determina rispetto alla attuale e concreta compromissione dell’area sottoposta a vincolo. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa implicare una effettiva lesione dell’ambiente e del paesaggio (Sez. 4, n. 15254 del 28/02/2018, Romano, Rv. 272477), essendo necessario accertare che l’effettiva disponibilità materiale o giuridica del bene possa ulteriormente deteriorare l’ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, dovendo valutarsi l’incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (Sez. 3, n. 2001 del 24/11/2017, dep. 2018, Dessi e aa., Rv. 272071; Sez. 3, n. 50336 del 05/07/2016, Del Gaizo, Rv. 268331; Sez. 3, n. 40677 del 23/06/2016, La Sala. e a., Rv. 268049; Sez. 3, n. 28388 del 14/04/2016, Bondanini, Rv. 267412).

2.2. Escluso, dunque, che il sequestro in sè valga a far cessare le conseguenze della condotta illecita – ciò che, nella prospettiva del reato permanente seguita dall’ordinanza impugnata e condivisa dal ricorrente, si otterrebbe soltanto con la rimozione dell’opera abusiva – applicando tali corretti principi, l’ordinanza impugnata, con articolata motivazione, ha escluso che l’utilizzo stagionale della struttura possa determinare l’incremento del carico urbanistico/antropico o altrimenti determinare un negativo impatto sull’ambiente circostante (diverso dalla già ultimata edificazione), argomentando che, trattandosi di zona costiera rinomata e comunque frequentata da visitatori e bagnanti, la presenza (e funzionalità) dell’abusivo chiosco-bar non aumenta la presenza di turisti e assicura semmai l’erogazione di servizi di pulizia e di supporto alla balneazione idonei ad evitare uno “sfruttamento selvaggio dell’arenile da parte dei privati, in mancanza di analoghi servizi erogati da parte della P.A.”.

Trattandosi di motivazione effettiva, al di là della sua condivisibilità e/o logicità, essa non può essere sindacata nella presente sede cautelare, come invece fa il pubblico ministero ricorrente riproponendo l’opposta valutazione sulla concreta sussistenza del periculum data dal g.i.p. che dispose il sequestro.

Ed invero, in forza dell’art. 325 c.p.p., essendo il ricorso per cassazione ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616) ed essendo quindi deducibile soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), il giudice di legittimità non può procedere ad un penetrante vaglio sulla motivazione addotta nel provvedimento impugnato, con conseguente inammissibilità del ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2020

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi