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Cassazione penale sez. III, 17/03/2021, n.18936

Massima

È legittimato a costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno morale subito a causa del reato non solo la persona che è direttamente vittima del reato (cioè il titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ovvero chi ha subito un danno direttamente riconducibile all’azione o omissione del reo. Ciò si applica, ad esempio, nel caso di atti osceni in luogo pubblico, dove due persone maggiorenni hanno diritto a costituirsi parte civile per il danno subito in relazione al suddetto reato.

Supporto alla lettura

ATTI OSCENI 

L’ art. 527 c.p. dispone che:

“Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000.

Si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano.

Se il fatto avviene per colpa, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309″

Il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 ha depenalizzato il comma 1 dell’ art. 527 c.p., che ha perso la sua qualità di reato divenendo un illecito amministrativo. Dunque, la rilevanza penale è limitata alla sola ipotesi di cui al comma 2, cioè quando gli atti osceni sono commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14.09.2020 pronunciata ex art. 444 c.p.p., il Tribunale di Venezia ha applicato all’attuale ricorrente la pena da questi richiesta per i reati di cui all’art. 572 c.p., comma 2 e art. 635 c.p., comma 2, n. 1 e art. 61 c.p., n. 2.

2. Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi.

Con il primo motivo deduce erronea ammissione della costituzione di parte civile in relazione al reato di atti osceni delle due persone maggiorenni, quali persone danneggiate dal reato, e conseguente illegittima liquidazione delle spese di assistenza in favore delle medesime.

Argomenta che l’offesa del pudore che mantiene penalmente rilevante un atto osceno in luogo pubblico é unicamente quella riferibile al sentimento comune dei minori; pertanto, non sarebbero legittimate alla costituzione di parte civile le due persone maggiorenni, difettando il danno risarcibile quale conseguenza diretta ed immediata dal fatto illecito.

Con il secondo motivo deduce erronea configurazione del reato di atti osceni e correlato difetto di motivazione, chiedendo l’annullamento ex art. 129 c.p.p., difettando la prova che il luogo ove si era svolto il fatto era abitualmente frequentato da minori.

3. Con requisitoria scritta del 21.02.2021, il P.G. presso questa Suprema Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso perché proposto con motivi non proponibili avverso la sentenza di patteggiamento.

Il difensore delle parti civili ha trasmesso in data 01.03.2021 memoria ex art. 611 c.p.p. nella quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso é inammissibile.

Va premesso che, secondo l’orientamento condiviso dal Collegio, é ammissibile il ricorso per cassazione avverso la statuizione di condanna alla refusione delle spese di parte civile, trattandosi di questione sottratta all’accordo delle parti, rispetto alla quale non operano le limitazioni all’impugnabilità previste dall’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, (Sez. 4 – n. 3756 del 12/12/2019, dep. 29/01/2020, Rv. 278286 – 02; Sez. 3, n. 3176 del 10/10/2019, dep. 27/01/2020, Rv. 278023 – 01; Sez. 5, n. 29394 del 10/05/2019, Rv. 276900 – 01; Sez. 6, n. 28013 del 21/03/2019, Rv. 276225 – 01).

Ciò posto, va osservato che costituisce ius receptum che legittimato a costituirsi parte civile al fine di ottenere il risarcimento del danno morale subito in conseguenza del reato non é solo colui che é soggetto passivo del reato (il titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice) ma anche il danneggiato, cioé , colui che abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato (Sez.2, n. 4380 del 13/01/2015,Rv.262371 – 01; Sez.1, n. 46084 del 21/10/2014,Rv.261482 – 01;Cfr Sez.2,n. 4816 del 15/01/2010, Rv.246280 – 01; Sez.1,n. 4060 del 08/11/2007,dep.25/01/2008, Rv.239189 – 01).

Il Tribunale, facendo buon governo del suesposto principio, ha correttamente ammesso la costituzione sia della persona offesa che delle persone danneggiate dal reato, risultando, quindi, la censura proposta del tutto destituita di fondamento.

2. Il secondo motivo di ricorso é inammissibile.

Ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, introdotto dalla L. n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento é proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Tra questi non figura la censura mossa dal ricorrente, che attiene, invece, alla verifica della motivazione in relazione alla sussistenza delle condizioni per una pronuncia ex art. 129 c.p.p., comma 2.

E’ stato, infatti, osservato che il giudice nel pronunciare sentenza di patteggiamento resta sempre tenuto ad accertare l’insussistenza delle cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., ma l’eventuale vizio di motivazione non é più censurabile con il ricorso per cassazione, nel chiaro intento del legislatore della novella di evitare ogni scrutinio della motivazione sulla colpevolezza valorizzando, per converso, il consenso prestato dall’imputato, rispetto al quale si apprezza come superfluo e contraddittorio un motivo di impugnazione sullo svolgimento dei fatti (così testualmente, tra le altre, Sez. 6, n. 3819 del 19/12/2018, dep. 2019, Boutamara; nello stesso senso, tra le molte, Sez. 6, n. 6136 del 19/12/2018, dep. 2019, Xhemalaj; Sez. 4, n. 24514 del 09/05/2018, Murati, Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014).

3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

5. Non può accogliersi la richiesta di liquidazione delle spese richieste dal difensore delle parti civili, non avendo la relativa memoria difensiva fornito un contributo utile alla decisione (cfr. Sez. 7, n. 44280 del 13/09/2016, Rv. 268139) Rv. 265974 – 01), che é stata fondata sul diverso rilievo di inammissibilità dei motivi, conformemente alle deduzioni già svolte dal P.G. nelle sue richieste scritte.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

Allegati

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