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Cassazione penale sez. III, 16/11/2021, n. 41599

Massima

Integra il delitto di ricettazione la condotta dell’acquirente di specie ittiche catturate mediante danneggiamento di risorse marine, qualora detto soggetto proceda a tale acquisto nella consapevolezza della provenienza del pescato.

Supporto alla lettura

RICETTAZIONE

Disciplinato dall’art. 648 c.p., il reato di ricettazione trova fondamento nella tutela del patrimonio del singolo la cui identificazione sarebbe compromessa dalla circolazione dei beni frutto dello stesso reato. Si tratta di un reato nel quale si acquista, riceve oppure occulta denaro o cose che provengono da un delitto, oppure ci si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, al fine di procurare profitto per sè o per gli altri.

Tale reato può configurarsi se il soggetto agente è certo della provenienza delittuosa del bene che riceve, anche se non ha precisa cognizione delle circostanze di tempo e di luogo del reato presupposto; oppure quando la persona si adoperi in proprio e per conto di altri ad occultare tale oggetto.

L’art. 648 c.p. ha subito importanti modifiche in virtù del recepimento da parte del decreto legislativo approvato dal C.d.M. il 4 novembre 2021 della Direttiva UE n. 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio con il diritto penale, infatti il reato presupposto potrà essere anche di natura contravvenzionale, le pene saranno aumentate se verrà commesso nello svolgimento di un’attività professionale, mentre nei casi di particolare tenuità le pene saranno più elevate rispetto a quanto previsto in precedenza.

E’ necessario distinguere il reato di ricettazione dal reato di  favoreggiamento reale (art. 379 c.p.), caratterizzato dal fatto che l’ipotetica ricezione della cosa mobile avviene nell’esclusivo interesse dell’autore del reato principale, e dal reato di incauto acquisto (art. 712 c.p.), caratterizzato dal fatto che l’autore viene punito per una sua negligenza, per non avere quindi accertato, prima dell’acquisto, la provenienza illecita del bene.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 9 aprile 2021, e depositata in data 6 maggio 2021, il Tribunale di Napoli, pronunciando in sede di riesame, ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha applicato, per quanto di interesse in questa sede, la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di (omissis).

Secondo il Tribunale, (omissis) deve ritenersi gravemente indiziato del reato di ricettazione, per aver agito quale mediatore nel far ricevere, acquistare od occultare notevoli quantitativi di molluschi comunemente denominati “datteri di mare”, provenienti da delitto, perché procurati mediante i reati di inquinamento ambientale ex art. 452-bis cod. pen., disastro ambientale ex art. 452-quater cod. pen., e danneggiamento ex art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen.; le condotte sono ritenute accertate fino al dicembre 2019.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe (omissis), con atto sottoscritto dall’avvocato (omissis), articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 273 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Si deduce che gli elementi a carico del ricorrente sono desunti esclusivamente sulla base di conversazioni telefoniche intercettate dal contenuto ambiguo. Si precisa che le frasi captate sono criptiche, non autoevidenti, e che mancano riscontri in prospettiva accusatoria, in particolare perché: a) il riferimento ad un sequestro effettuato nei confronti del coindagato (omissis) / per 14 kg di mitili, il cui verbale non è presente in atti, è del tutto equivoco, non essendovi elementi per ritenere che detta partita fosse destinata al ricorrente; b) il sequestro effettuato presso la pescheria “(omissis)” non rileva a carico del ricorrente, non essendo detta pescheria riconducibile a questi o a suoi familiari.

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.

Si deduce che difettano concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione dei reati, posto che i fatti ascritti al ricorrente sono contestati come commessi fino a dicembre 2019, mentre l’ordinanza è stata emessa nel marzo 2021, e che non sono indicati dati concreti in proposito.

2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 648 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta configurabilità del reato di ricettazione.

Si deduce che l’ordinanza impugnata individua come reati presupposti della ricettazione gli illeciti di cui all’art. 2 della legge n. 150 del 1992, al d.lgs. n. 4 del 2012, all’art. 727-bis cod. pen., e all’art. 733-bis cod. pen., ossia tutte fattispecie contravvenzionali, e non offre alcun riferimento conducente a ritenere la
provenienza dei “datteri di mare” dal reato di cui all’art. 452-bis cod. pen. Si evidenzia, a quest’ultimo proposito, che: a) la compromissione dell’ecosistema è stata parametrata ad un’area limitata rispetto a quella oggetto di indagini; b) il parametro di partenza, situazione morfologica e rocciosa preesistente non è determinato, né determinabile, e, quindi, non è «misurabil[e]», come espressamente esige l’art. 452-bis cod. pen.; c) le ricerche ed i danneggiamenti delle formazioni rocciose sono ragionevolmente riferibili ad epoca anteriore all’introduzione del divieto dì estrazione dei “datteri di mare”, anche perché i
consulenti del Pubblico Ministero hanno dato atto che «il ripopolamento [vicenda richiedente decenni per il suo compimento] è iniziato».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Infondate sono le censure enunciate nel terzo motivo, da esaminare preliminarmente per ragioni di ordine logico, le quali contestano la configurabilità del reato di ricettazione, osservando che non vi è alcun elemento idoneo per ritenere che i “datteri di mare”, secondo i provvedimenti cautelari oggetto di
ricettazione, provengano dal delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen.

2.1. Occorre premettere che, secondo la contestazione riportata dal Tribunale, la ricettazione di cui è accusato il ricorrente ha ad oggetto «cose», i “datteri di mare”, provenienti da condotte sussunte in più fattispecie.

Invero, secondo quanto espressamente precisato nell’ordinanza impugnata, al ricorrente viene contestato di essersi intromesso in veste di mediatore nel far ricevere, acquistare od occultare, allo scopo di conseguire un profitto derivante dalla sua illecita compravendita, notevoli quantitativi di molluschi gasteropodi della specie protetta Lithopaga lithopaga, prelevati illecitamente da altri coindagati
nominativamente indicati, e costituenti «provento dei delitti di cui agli artt. 452-bis, 452-quater e 635 comma II n. 1 c.p.».

Di conseguenza, per come è formulata la contestazione, ai finì della configurabilità della ricettazione, sotto il profilo oggettivo, è sufficiente che i molluschi in questione provengano anche da uno solo di detti reati.

2.2. Ciò posto, risulta dirimente considerare che il delitto di danneggiamento può costituire reato presupposto del delitto di ricettazione, e che il prelievo dei c.d. “datteri di mare” integra in ogni caso il delitto di danneggiamento a norma dell’art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen.

In proposito, la giurisprudenza aveva già affermato, in epoca anteriore alla modifica della fattispecie di danneggiamento recata dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, che integra il delitto di ricettazione la condotta dell’acquirente di pesce proveniente dalla cattura mediante uso di materie esplodenti (artt. 10 e 12 della
L. 14 ottobre 1974, n. 497 ovvero art. 678 cod. pen.) o da danneggiamento delle risorse marine (art. 635, comma secondo, n. 3 cod. pen.), qualora costui acquisti consapevolmente il pescato proveniente dai predetti delitti (Sez. 3, n. 42109 del 12/10/2007, Morelli, Rv. 238071-01). Questa decisione, in particolare, per quanto di specifico interesse nel caso di specie, aveva precisato che il fondale marino è
bene destinato a pubblica utilità a norma dell’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen., che altre pronunce di legittimità avevano ritenuto configurabile il delitto di danneggiamento aggravato nel comportamento di colui il quale frantumi gli scogli sotterranei per pescare le specie ittiche che vivono al loro interno, tra cui proprio i c.d. “datteri di mare”, e che, quindi, «la messa in commercio di pescato proveniente da pesca di frodo può concorrere con il delitto di ricettazione allorché la cattura sia stata effettuata mediante l’utilizzo di esplosivo ovvero mediante danneggiamento di risorse marine, a condizione che l’acquirente sia consapevole della delittuosa provenienza della merce».

Occorre poi specificare che, come puntualmente indicato anche da altra decisione, sempre nella vigenza della disciplina anteriore al d.lgs. n. 7 del 2016, costituiva danneggiamento aggravato, perseguibile d’ufficio, ai sensi dell’art. 635, comma 2, n. 3, e 625, n. 7, cod. pen., la condotta di frantumazione degli scogli esistenti su di un fondale marino, effettuata allo scopo di impossessarsi di esemplari di specie ittiche che vivevano all’interno di detti scogli (Sez. 3, n. 42119 del 19/11/2002, Corbacio, Rv. 223352-01). A fondamento di questa affermazione, si era precisato che il fondo e il sottofondo marini, costituenti la c.d. “piattaforma continentale”, rientrano fra le cose destinate a pubblica utilità, ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 625, n. 7, cod. pen., in quanto, pur qualificabili come res communes omnium, sono soggetti, anche sotto il profilo del diritto internazionale (Convenzione di Ginevra del 1958), alla sovranità dello Stato che è portatore diretto alla loro integrità, sia per quanto riguarda la conservazione come risorse naturali e la duratura fruizione da parte di tutti, sia per poterne disporre iure imperii nei casi previsti dalla legge (Sez. 3, n. 42119 del 2002, cit.; per l’affermazione secondo cui il fondo e il sottofondo marini rientrano fra le cose destinate a pubblica utilità, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 625, n. 7, cod. pen., cfr. anche Sez. 2, n. 28153 del 13/05/2004, Scarpa, Rv. 229714-01).

Le osservazioni appena esposte consentono di precisare, innanzitutto, che la configurabilità del delitto di danneggiamento, nel caso di frantumazione degli scogli esistenti su di un fondale marino allo scopo di impossessarsi di esemplari di specie ittiche, non è venuta meno nemmeno dopo la riformulazione del delitto di danneggiamento, per effetto del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

Invero, costituisce tuttora delitto di danneggiamento, a norma dell’art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen., la condotta di chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le cose indicate nel numero 7 dell’art. 625 cod. pen., disposizione rimasta immutata e che riguarda, anche
attualmente, le cose «destinate […] a pubblica utilità […]».

Ne discende che deve essere riproposto, anche dopo le modifiche recate alla fattispecie di danneggiamento dal d.lgs. n. 7 del 2017, il principio in forza del quale integra il delitto di ricettazione la condotta dell’acquirente di specie ittiche catturate mediante danneggiamento delle risorse marine, qualora detto soggetto proceda a tale acquisto nella consapevolezza della provenienza del pescato dal
delitto di cui all’art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen.

2.3. Posto questo principio, non vi è dubbio che, per procurarsi i c.d. “datteri di mare”, è necessaria una condotta di danneggiamento delle risorse marine.

In effetti, risulta evidenziato dal tribunale, e non è oggetto di contestazione) che i mitili sopra precisati possono essere prelevati solo previa distruzione delle rocce in cui gli stessi si annidano. Precisamente, come indicato nell’ordinanza impugnata sulla base della consulenza tecnica espletata su incarico del P.M., il c.d. “dattero di mare” «non vive sulle rocce ma al loro interno», e precisamente nei cunicoli e nelle gallerie scavati nelle rocce calcaree mediante secrezioni acide prodotte da alcune sue ghiandole; di conseguenza, per prelevare detti molluschi dal loro habitat «bisogna frantumare la roccia in cui vivono, distruggendo con essa tutta la comunità biologica che la ricopre o che vive al suo interno».

Può aggiungersi che in relazione al precisato mollusco vi è un divieto assoluto di pesca, stabilito sia da fonti internazionali – come la Convenzione di Berna del 1982, Annesso II, la Convenzione CITES del 1983, Annesso III, la Direttiva c.d. Habitat 92/43/EEC, Annesso IV, la Convenzione di Barcellona del 1982, Annesso II, l’art. 8 del Regolamento (CE) 1967/2006 del Consiglio del 21 dicembre 2006 – sia da leggi italiane (in particolare, l’art. 7 d.lgs. n. 4 del 2012, nonché il D.m. 16 ottobre 1998).

3. Manifestamente infondate, poi, sono le censure esposte nel primo motivo, le quali criticano l’affermazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di ricettazione, deducendo che non risultano elementi, nemmeno dalle conversazioni telefoniche intercettate, da cui inferire con certezza che i frutti di mare oggetto del commercio dell’indagato come mediatore tra i raccoglitori e i
titolari dei ristoranti debbano essere individuati proprio nei c.d. “datteri di mare”.

3.1. L’ordinanza impugnata espone dettagliatamente numerose conversazioni intercettate tra il ricorrente, da una parte, ed il suo fornitore o il suo principale acquirente, dall’altra, per evidenziare che il traffico avesse ad oggetto proprio il mollusco il cui commercio è vietato e che, quindi, non sono attendibili le spiegazioni fornite in sede di interrogatorio di garanzia, secondo cui i riferimenti ai
«cosi» o ai «jolly» riguardavano le vongole giganti.

Tra le numerose conversazioni intercettate e riportate dal Tribunale (cfr., per una loro analitica indicazione le pagg. da 10 a 15 dell’ordinanza impugnata), si segnalano: -) un dialogo del 5 settembre 2019 tra il ricorrente ed il fornitore, nel corso del quale i due conversanti si accordano per tre consegne settimanali, per un quantitativo complessivo di 40 kg., il fornitore afferma di aver garantito consegne al gestore della pescheria “(omissis)” fino a quando non aveva subito un sequestro per 50 kg., e di aver deciso da allora di non effettuare più consegne alle pescherie (il Tribunale dà atto della produzione nell’udienza di riesame del pertinente verbale di sequestro, avvenuto nel 2015), ed i due concordano di
adottare un linguaggio convenzionale per indicare il buono o cattivo esito della pesca; -) un dialogo del 19 settembre 2019 tra il ricorrente ed il fornitore, durante il quale quest’ultimo informa l’interlocutore di aver subito un sequestro di 14 kg. di frutti, e di essere stato perciò «rovina[to]»; -) un dialogo del 4 ottobre 2019 tra il ricorrente ed il fornitore, nel corso del quale il secondo precisa di dedicarsi alle
vongole per i primi tre giorni, e di doversi «fermare un poco per quei cosi li dobbiamo fare a fine settimana solamente, faccio 2-3 giorni a fine settimana di là»; -) un dialogo del 19 ottobre 2019 tra il ricorrente ed il fornitore, nel corso del quale il primo dice al secondo di essere stato costretto a fermarsi presso una pompa di benzina, ma riceve un rifiuto ad essere raggiunto per il rischio di un sequestro del pescato e di tutta l’attrezzatura necessaria per l’immersione (il fornitore dice: «Non posso rischiare con i cosi, ho le bombole nella macchina, tutta l’attrezzatura»); -) un dialogo del 19 ottobre tra il ricorrente ed il fornitore, al quale assiste anche il principale destinatario della merce, che resta vicino al
ricorrente, e rifiuta espressamente di parlare con il fornitore, in quanto già intercettato («cotto») in passato; -) un dialogo del 26 ottobre tra il ricorrente ed il fornitore, durante il quale il secondo si lamenta per i continui controlli e sequestri delle attrezzature ed il primo si dichiara disponibile a comprare la nuova attrezzatura; -) un dialogo del 30 ottobre tra il ricorrente ed il fornitore, nel corso del quale il secondo segnala le sempre maggiori difficoltà a «lavorare» perché c’è una grande attenzione anche dei giornalisti sulla pesca dei “datteri di mare”.

3.2. In considerazione degli elementi esposti, e nella prospettiva di un accertamento concernente la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, valutazionedel Tribunale risulta corretta.

Infatti, per come esposte, le conversazioni intercettate, anche alla luce del significato ad esse attribuibile in considerazione del verbale di sequestro del 2015 nei confronti del fornitore del ricorrente, risultano ragionevolmente interpretabili come aventi ad oggetto la compravendita di “datteri di mare”.

Né appaiono dirimenti le obiezioni del ricorso, le quali rappresentano che i due sequestri dei mitili vietati, ai quali fa riferimento il Tribunale, non sono stati eseguiti nei confronti del ricorrente: l’ordinanza impugnata, infatti, ha richiamato tali vicende perché di esse il ricorrente ed il suo fornitore parlavano e, quindi, le stesse sono utili per individuare l’oggetto dei loro discorsi in ordine ai commerci
tra di essi intercorrenti.

4. Manifestamente infondate, infine, sono le censure formulate nel secondo motivo, le quali criticano l’affermazione della sussistenza delle esigenze cautelari, prospettando il difetto di attualità delle esigenze cautelari, per essere i fatti commessi non oltre il dicembre 2019, a fronte di un’ordinanza cautelare emessa nel marzo 2021.

L’ordinanza impugnata, a fondamento delle sue conclusioni in ordine all’attualità delle esigenze cautelari ed alla necessità dell’applicazione della misura degli arresti domiciliari, evidenzia che il ricorrente è dedito stabilmente ai traffici illeciti dei “datteri di mare”, agisce al fine di soddisfare una pluralità di clienti, ha stipulato un accordo avente ad oggetto più consegne settimanale, ed ha dimostrato l’assenza di qualunque remora nonostante i continui sequestri e controlli operati dalla polizia giudiziaria.

Ora, gli elementi indicati rendono corretta la conclusione secondo cui la personalità del ricorrente è fortemente incline a commettere i delitti del tipo di quelli contestatigli, senza mostrare alcuna remora nonostante i continui controlli effettuati dalla polizia giudiziaria, e, conseguentemente, l’affermazione
dell’attualità del pericolo di reiterazione di reati da parte del medesimo.

5. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 10/09/2021

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