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Cassazione penale sez. III, 15/01/2020, n. 1438

Massima

In materia di ordini di demolizione edilizia, il ricorso per cassazione avverso il rigetto dell’istanza di revoca è inammissibile quando le doglianze sull’impossibilità dell’abbattimento (per presunto pregiudizio alla stabilità del terreno o di altre opere legittime) siano prospettate in modo generico, teorico e non concreto, richiedendo una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità, e laddove la motivazione del giudice di merito risulti adeguata.

Supporto alla lettura

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE

L’ordinanza di demolizione (o ingiunzione di demolizione), rappresenta un atto amministrativo mediante il quale il Comune, ordina la demolizione di un edificio non autorizzato, realizzato in modo abusivo o non conforme alla normativa edilizia vigente.

Nell’ambito delle pratiche abusive nel settore edilizio, vi sono diverse tipologie di infrazioni che possono portare all’emissione di un’ordinanza di demolizione:

  • lottizzazione abusiva: divisione di terreni in lotti edificabili senza autorizzazione;
  • lavori eseguiti senza permesso o in difformità edilizia: casi in cui vengono eseguiti lavori edilizi senza ottenere il permesso necessario o in totale difformità da esso senza rispettare la normativa vigente;
  • interventi abusivi su terreni pubblici: interventi eseguiti su terreni di proprietà pubblica senza autorizzazione, che compromettono l’utilizzo corretto del territorio destinato a fini pubblici;
  • difformità delle norme urbanistiche: qualsiasi intervento edilizio realizzato in difformità dalle norme urbanistiche e dai piani regolatori vigenti;
  • violazione di vincoli edilizi: opere eseguite in violazione dei vincoli edilizi imposti da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche, che possono riguardare la destinazione d’uso del terreno, il rispetto di zone inedificabili o la salvaguardia di aree di particolare interesse storico o ambientale.

Secondo quanto stabilito dall’art. 31 del D.P.R. 380/01, è compito del dirigente o del responsabile dell’ufficio comunale esercitare il potere di vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia. Dopo aver accertato l’abuso edilizio, il Comune emette un’ordinanza di demolizione, pubblicata sul sito istituzionale e comunicata anche al Prefetto.

Il destinatario ha 60 giorni per impugnare l’ordinanza davanti al T.A.R. o presentare una richiesta di sanatoria. Se non viene avviato alcun procedimento di sanatoria nei 90 giorni successivi, la Polizia Municipale verifica l’adempimento dell’ordinanza.

Data la natura dell’ordinanza, che impone la demolizione entro 90 giorni e il cui termine, se non prorogato, porta alla confisca automatica del bene, la fase cautelare durante il processo di impugnazione riveste un ruolo fondamentale, infatti, il decorso dei 90 giorni previsti dalla legge, può essere interrotto solo mediante sospensione decisa dal giudice amministrativo su richiesta della parte ricorrente. Questa sospensione congela il termine e impedisce la confisca automatica del bene non demolito.

L’ordinanza di demolizione non sempre viene immediatamente eseguita, e ciò può determinare una serie di implicazioni e difficoltà di cui è essenziale essere consapevoli. Una delle prime conseguenze che possono manifestarsi in caso di mancata esecuzione dell’ordine di demolizione è l’applicazione di sanzioni pecuniarie. Inoltre, secondo quanto sancito dall’art. 31 comma 3 del D.P.R. 380/01, se il responsabile dell’abuso non demolisce conripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notifica, il bene e l’area su cui è stato costruito illegalmente diventano proprietà gratuita del Comune.

In caso di accertamento di inottemperanza, ossia se l’abuso edilizio non viene rimosso entro il termine di 90 giorni fissato dall’ordinanza demolitoria, le sanzioni pecuniarie previste dal D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) possono variare da 2.000 a 20.000 euro.

Dopo aver ricevuto l’ordine di demolizione, è possibile presentare un’istanza di sanatoria per l’abuso edilizio (o accertamento di conformità), per ottenere il permesso di costruire in sanatoria o per richiedere la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA in sanatoria) o la CILA tardiva.

L’istanza di sanatoria può essere presentata anche se è già stato presentato un ricorso al Giudice Amministrativo contro l’ordine di demolizione, entro un termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento. In questo caso, l’ordine di demolizione viene temporaneamente sospeso in attesa del completamento del nuovo e separato procedimento relativo alla sanatoria dell’abuso edilizio.

Le situazioni in cui un’ordinanza di demolizione può decadere sono le seguenti:

  • se l’ordine di demolizione risulta sproporzionato rispetto alla gravità dell’abuso commesso;
  • se è in corso un processo di regolarizzazione (sanatoria), la demolizione può essere sospesa e poi annullata;
  • in casi in cui il ripristino dello stato originario risulta impossibile senza danneggiare irreparabilmente la parte dell’edificio costruita correttamente (fiscalizzazione dell’abuso edilizio

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Napoli con provvedimento 5 febbraio 2019 ha rigettato l’istanza di (omissis) di revoca dell’ingiunzione di demolizione n. 824/2008 RESA del 30 settembre 2011 emessa nei suoi confronti e relativa all’ordine di demolizione di cui alla sentenza del Tribunale di Napoli del 21 novembre 2007, irrevocabile il 7 febbraio 2008.

2. (omissis) ha proposto ricorso per cassazione per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2.1. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente all’attendibilità delle conclusioni del consulente del (omissis) senza valutazione delle consulenze di parte.

Nell’ipotesi di assoluta impossibilità di demolizione per il pregiudizio che ne deriverebbe alle parti non abusive del fabbricato risulta possibile e doverosa la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione (Cass. Sez. 3, n. 9859 del 2016). I consulenti tecnici di parte evidenziavano l’impossibilità della demolizione della parte abusiva in considerazione del pericolo per le altre costruzioni a monte (rischio concreto di smottamenti e frane). L’ordinanza impugnata si fonda sulle diverse conclusioni del consulente del (omissis) che ha ritenuto ininfluente l’abbattimento dell’immobile abusivo sulla statica degli altri edifici. Dalla relazione del Geologo (omissis) allegata alla Consulenza dell’Ing. (omissis) emerge, invece, che l’abbattimento dell’immobile abusivo potrebbe creare una situazione di precarietà per le costruzioni poste a monte e lateralmente, nonchè il rischio di smottamenti e frane (il fabbricato da abbattere regimenta le acque generate dalle piogge). Dalle relazioni dei consulenti di parte è emerso come il fabbricato da abbattere svolge una duplice funzione statica, di contenimento della spinta del terreno confinante a monte e, tenuta statica delle sollecitazioni relative al fabbricato stesso e alle intemperie. Il costone del resto risulta composto da terreno altamente friabile e la costruzione da abbattere funge da muro di contenimento.

Ha chiesto pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, inoltre lo stesso risulta generico e articolato in fatto e richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto, non consentita in sede di legittimità.

Relativamente alla questione posta con il ricorso in cassazione incidenza della demolizione su altri fabbricati non abusivi e sulla stabilità del terreno -, la decisione del Tribunale risulta adeguatamente motivata, rilevando come dalle stesse consulenze di parte il pericolo per le altre costruzioni “viene assunto solo come possibilità e non come certezza”; inoltre gran parte del fabbricato da abbattere risulta fuori terra e l’immobile non risulta aderente ad altri fabbricati. Con la relazione del consulente del (omissis) – Ing. (omissis) – si è accertato come il fabbricato da demolire è adiacente ad un muro di contenimento del terreno (doppia parete) e ciò induce logicamente a ritenere “che l’abbattimento non andrebbe ad inficiare la stabilità del terrapieno in quanto l’abbattimento deve essere limitato alle sole strutture del fabbricato abusivo”. Inoltre il fabbricato più vicino si trova a diversi metri di distanza ed ad una quota di poco superiore a quello da abbattere.

Anche nel ricorso per cassazione si prospetta un’incidenza negativa e grave (della demolizione) sulle opere costruite legittimamente, ma solo in modo teorico, generico, e non concreto, senza nessun confronto con la motivazione dell’ordinanza.

E’, comunque, una evidente questione di fatto, non valutabile in questa sede se adeguatamente motivata, come nel caso in oggetto (Sez. 3, n. 19090 del 13/02/2013 – dep. 03/05/2013, Buia e altro, Rv. 25589101).

Deve inoltre rilevarsi che l’intero immobile da demolire risulta senza autorizzazione, completamente abusivo e, quindi, non può trovare applicazione la norma di cui al D.P.R. n. 380 del 2001art. 34, che riguarda solo le ipotesi di parziale difformità fra quanto oggetto del permesso a costruire e quanto invece realizzato: “In tema di reati edilizi, la possibilità di non eseguire la demolizione qualora possa derivarne pregiudizio per la porzione di fabbricato non abusiva, secondo la procedura di cd. “fiscalizzazione” di cui al D.P.R. n. 380 del 2001art. 34, riguarda le sole ipotesi di parziale difformità (al netto del limite di tolleranza individuato dall’u.c. dell’articolo citato) fra quanto oggetto del permesso a costruire e quanto invece realizzato, rimanendo invece esclusa nel caso in cui le opere eseguite siano del tutto sprovviste del necessario assenso amministrativo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto illegittima la revoca dell’ingiunzione a demolire un manufatto completamente abusivo e del tutto nuovo, ancorchè innestato su una preesistente struttura di per sè conforme agli strumenti ed alle prescrizioni urbanistiche)” (Sez. 3, n. 16548 del 16/06/2016 – dep. 03/04/2017, P.G. in proc. Porcelli, Rv. 26962401; vedi anche Sez. 3, n. 28747 del 11/05/2018 – dep. 21/06/2018, Pellegrino, Rv. 27329101 e Sez. 3, n. 19090 del 13/02/2013 – dep. 03/05/2013, Buia e altro, Rv. 25589101).

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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