2. A mezzo del difensore fiduciario, avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione con riguardo alla sola reiezione dell’eccezione d’incompetenza per territorio, già proposta e disattesa sia in sede di udienza preliminare, sia nel giudizio di primo grado, deducendo con unico motivo la violazione degli artt. 8 e 16 c.p.p., del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18 ed il vizio di motivazione.
Non essendo contestato che i reati siano connessi ex art. 12 c.p.p., per essere stato riconosciuto il vincolo della continuazione, e che reato più grave sia quello di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, il ricorrente sostiene che, nell’impossibilità d’individuare il luogo di consumazione di tale più grave reato, dovrebbe farsi applicazione della regola residuale di cui all’art. 18, comma 1, dello stesso decreto, e sarebbe dunque per esso competente – e di conseguenza anche per i reati meno gravi – il Tribunale di Rovigo, nel cui circondario si trova Este, sede del comando di polizia giudiziaria che accertò il reato effettuando la verifica fiscale nel corso della quale non fu esibita la documentazione contabile richiesta. Non poteva dunque ritenersi competente il Tribunale di Padova, che lo sarebbe soltanto per i meno gravi reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, essendo (OMISSIS) l’ultimo domicilio fiscale della società cooperativa nell’interesse della quale gli stessi furono commessi.
Mentre il Tribunale di Padova aveva in primo grado ritenuto la propria competenza quale luogo dell’autorità giudiziaria che aveva condotto le indagini, la sentenza impugnata – condividendo l’opinione già espressa dal g.u.p. – ha invece erroneamente ritenuto, a parere del ricorrente, che nella specie dovesse farsi applicazione della regola di cui all’art. 16 c.p.p., comma 1, quale enucleata dalle Sezioni unite di questa Corte con sent. n. 40537/2009, circa l’individuazione del giudice competente con riguardo al reato connesso che segue in ordine di gravità, nel caso in cui non sia possibile individuare il luogo di commissione del reato connesso più grave a norma dell’art. 8 c.p.p. e art. 9 c.p.p., comma 1, potendo farsi luogo ai criteri suppletivi indicati nell’art. 9 c.p.p., commi 2 e 3, solo quando risulti impossibile individuare il luogo di commissione per tutti i reati connessi. Secondo il ricorrente, quel principio fondato sulla necessità di una rigorosa delimitazione della connessione al fine di rispettare il principio del giudice naturale precostituito per legge, vale a dire quello che abbia un collegamento con il luogo di commissione del reato – non può trovare applicazione nel caso di connessione tra reati tributari, poiché per essi non valgono le regole suppletive di cui all’art. 9 c.p.p., ma i diversi criteri indicati nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, i quali prescindono da un necessario legame territoriale con il luogo del commesso reato. Applicando acriticamente quel principio al caso di specie si era immotivatamente stravolto, dunque, il sistema di individuazione automatica delle regole suppletive previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, non fondato sul rapporto tra fatto e locus commissi delicti, dandosi preferenza al criterio del domicilio fiscale previsto dal comma 2 per i reati meno gravi piuttosto che a quello del luogo di accertamento del reato previsto dal comma 1.
Quanto a quest’ultimo, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Padova – che aveva invocato un principio affermato in una vicenda processuale diversa da quella di specie – il ricorrente sostiene che non va individuato con riguardo al luogo in cui ha sede l’autorità giudiziaria che ha condotto le indagini, ma, appunto, nel luogo di accertamento del reato, da intendersi come quello dove sono state condotte le indagini che hanno portato all’individuazione dei reati nella loro materialità, vale a dire, nel caso di specie, Este, che ricade nel circondario del Tribunale di Rovigo.
2. Nella corposa motivazione della citata decisione delle Sezioni unite si argomenta che:
– in caso di dubbio dev’essere preferita l’interpretazione che privilegi comunque la necessaria presenza di un collegamento della competenza territoriale con il luogo di commissione di almeno uno dei diversi reati commessi, anche quando tale luogo non sia accertato con riferimento al reato più grave, rispetto ad altre interpretazioni che possano portare ad una competenza territoriale del tutto sganciata dal luogo di manifestazione di almeno una parte della complessa fattispecie criminale (p. 7.3);
– la ratio dell’art. 16 c.p.p., comma 1, in sé e per sé considerato è quella di assicurare, per quanto possibile, il collegamento tra competenza territoriale e luogo di manifestazione del reato, o almeno di un segmento del complesso criminoso, garantendo il principio, di valore costituzionale, della “fisiologica allocazione” del processo nel locus commissi delicti (p. 7.5);
– questa ratio sarebbe certamente non tutelata pienamente se il criterio oggettivo di collegamento dovesse venir meno e dovesse invece darsi applicazione agli incerti e non oggettivi criteri suppletivi di cui all’art. 9 c.p.p., commi 2 e 3, solo perché sia impossibile accertare il luogo di commissione del reato più grave, sebbene sia certo il luogo di commissione degli altri reati connessi (p. 7.5);
– rispetto alla analoga norma sulla competenza contenuta nel previgente codice di rito, l’uso della espressione “giudice competente per il reato più grave” al posto di quella di giudice “nella cui circoscrizione fu commesso il reato più grave” non e’, di per sé sola ed in mancanza di altri elementi, significativa di una volontà di operare un così profondo stravolgimento del sistema di determinazione della competenza per i reati connessi, eliminando totalmente il criterio oggettivo di collegamento costituito dal luogo di commissione del reato più grave e sostituendolo con un nuovo criterio aleatorio, che irrazionalmente isolerebbe il reato più grave dalla complessiva fattispecie criminosa e mutuerebbe la regola di determinazione della competenza in riferimento esclusivamente al reato più grave, isolatamente considerato (p.. 7.6);
– è quindi più logico ritenere che anche la nuova disposizione, quando si è riferita al giudice competente per il reato più grave, non abbia fatto altro che confermare, con una espressione sintetica, che il riferimento va fatto al giudice naturalmente competente perché nella sua circoscrizione è stato commesso il reato più grave e non abbia invece voluto addirittura sostituire, senza peraltro alcuna apparente ragione e razionale giustificazione, un collegamento oggettivo e fattuale (quale richiesto dalla ratio della norma e dai valori costituzionali dianzi richiamati) con un diverso criterio giuridico (p.. 7.6);
– il luogo di commissione del reato più grave (o del primo reato) va individuato utilizzando non solo le regole indicate nell’art. 8 c.p.p., ma eventualmente anche quella – avente natura di criterio integrativo e non suppletivo – di cui al comma 1 del successivo art. 9, giusta il quale “se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8, è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta parte dell’azione o dell’omissione”, mentre i criteri suppletivi ai quali non può farsi immediatamente riferimento sono quelli di cui all’art. 9 c.p.p., commi 2 e 3 (p.. 8.1);
– le prime regole si basano infatti su un elemento oggettivo di tipo territoriale costituito dal luogo di consumazione o dal luogo in cui comunque si è svolta una parte dell’azione o dell’omissione (o in cui si è verificato l’evento) e mirano primariamente alla medesima finalità di stabilire in quale luogo il reato deve intendersi commesso, mentre profondamente diversa è la ratio degli altri due criteri subordinati – questi sì realmente suppletivi – che sono privi di qualsiasi collegamento oggettivo e geografico con il fatto reato e sono stati discrezionalmente individuati, per fini pratici, dai commi 2 e 3 dell’art. 9 nel luogo di residenza, o di dimora, o di domicilio dell’imputato, o nel luogo della sede del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato (p.. 8.1).
3. Ciò premesso, reputa il Collegio che, essendo certamente applicabile l’art. 16 c.p.p., anche in relazione all’individuazione della competenza per territorio derivante da connessione tra reati tributari (cfr. Sez. 3, n. 31517 del 29/09/2020, Eusebio, Rv. 280161), mutatis mutandis, debbano utilizzarsi i principi interpretativi fissati dalle Sezioni unite quali più sopra esposti, correttamente applicati nel caso di specie dall’ordinanza impugnata.
Ed invero, posto che nel caso di specie il reato più grave di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, è stato ritenuto commesso in luogo ignoto, non potendo individuarsi il locus commissi delicti a norma dell’art. 8 c.p.p. e non applicandosi le regole suppletive di cui al successivo art. 9 (cfr. Sez. 3, n. 6529 del 12/12/2019, Magnozzi, Rv. 278597), trattandosi di delitto non ricompreso nel capo I del titolo II del D.Lgs. n. 74 del 2000, il criterio residuale sarebbe quello del luogo di accertamento del reato previsto dall’art. 18, comma 1, di tale decreto. Questo, tuttavia, è certamente un criterio suppletivo in nessun modo ancorato alla regola della territorialità che costituisce espressione del principio costituzionale del giudice naturale, e deve pertanto ritenersi non immediatamente utilizzabile nel caso di connessione dei reati, alla luce delle condivisibili linee ermeneutiche tracciate dalle Sezioni unite.
Dovendo dunque farsi riferimento ai meno gravi reati di natura dichiarativa, va osservato che per essi la regola attributiva della competenza per territorio è quella prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 2, vale a dire l’individuazione del giudice del domicilio fiscale, che, per le società, coincide con la sede legale, ma che, ove questa risulti avere carattere meramente fittizio, corrisponde al luogo in cui si trova la sede effettiva dell’ente (Sez. 3, n. 27606 del 14/09/2020, Di Leo, Rv. 280275; Sez. 3, n. 20504 del 19/02/2014, Cederna e aa., Rv. 259783). Diversamente da quanto opina il ricorrente, dunque, non si tratta di un criterio suppletivo, ma dell’unico criterio legale attributivo della competenza, essendo stato dettato (come si legge nella Relazione al decreto legislativo) per evitare che l’applicazione del criterio del locus commissi delicti consentisse al contribuente – abilitato a presentare in via telematica la dichiarazione in qualsiasi luogo – di scegliersi il giudice competente. Il criterio del domicilio fiscale del contribuente, peraltro, specie per le società, è quello che maggiormente assicura il legame territoriale con l’effettivo svolgimento dell’attività d’impresa a cui la dichiarazione si riferisce, in tal modo attuandosi proprio quel principio di individuazione del giudice naturale prefigurato dalla carta costituzionale.
L’applicazione dell’art. 16 c.p.p., nell’interpretazione data dalle Sezioni unite per reati diversi da quelli fiscali, dunque, è certamente proponibile nel caso di specie e perfettamente corrispondente alla ratio della citata decisione.
Non essendo per contro invocabile il criterio residuale previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 18, comma 1, non è rilevante l’ulteriore quesito proposto dal ricorrente circa l’interpretazione di tale disposizione.
4. Il ricorso, nel complesso infondato, deve pertanto essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2022
