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Cassazione penale sez. III, 13/06/2025, n. 22297

Massima

In tema di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), la fattispecie è integrata da qualsiasi atto di contatto corporeo, anche fugace ed estemporaneo, che coinvolga la corporeità sessuale e sia idoneo a porre in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale della vittima.

Supporto alla lettura

VIOLENZA SESSUALE

La violenza sessuale è riconosciuta a livello internazionale come un crimine contro l’umanità e come una forma di violenza maschile sulle donne.

Nell’ordinamento italiano è riconosciuta come un delitto contro la persona ed è un reato punito secondo l’art. 609 bis c.p..

Può assumere forme diverse: dallo stupro all’aggressione sessuale, passando dalle violenze nel matrimonio, nella coppia e nella famiglia, quindi non è posto l’accento sulla sessualità, si tratta bensì di una dimostrazione di potere e della messa in atto di obiettivi personali o politici degli autori del reato.

Per la configurazione del reato è importante la mancanza di consenso da parte della vittima, e non la manifestazione del dissenso, ma anche tra partner se non c’è consenso al rapporto sessuale allora vi è violenza.

L’attuale formulazione dell’art. 609 bis c.p. è il frutto di molteplici modifiche che si sono susseguite nel corso del tempo e che hanno reso la disciplina in materia sempre più rigida. L’ultima riforma, in ordine di tempo, è quella apportata dal Codice Rosso (L. 69/2019), che non ha solo modificato l’articolo, ma ha introdotto molteplici strumenti per assicurare maggiori tutele alle donne e ai minori vittime di violenza domestica e di genere.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 24 giugno 2024 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza in data 26 gennaio 2022 del Tribunale di Busto Arsizio che aveva assolto l’imputato dal reato dell’art. 609 – bis, ultimo comma, cod. pen., con la formula “perché il fatto non sussiste”.

2. Presentano ricorso sia il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano sia la parte civile.

Il primo formula due motivi, uno per violazione di legge perché la Corte territoriale aveva confermato l’assoluzione sulla base della mancata reazione della vittima, in modo del tutto eccentrico rispetto alla condotta di violenza sessuale, l’altro per vizio di motivazione perché erano state travisate le circostanze di contesto e svalutato il racconto della denunciante.

La seconda formula tre motivi per violazione di legge e il vizio di motivazione, il primo in ordine all’esclusione dell’elemento oggettivo della violenza sessuale, il secondo in ordine al mancato riconoscimento dell’abuso di autorità, il terzo in ordine al mancato riconoscimento dell’elemento psicologico dell’imputato.

Motivi della decisione

3. I ricorsi sono fondati.

E’ stato contestato all’imputato, rappresentante sindacale, il reato di violenza sessuale, nella fattispecie della minore gravità, ai danni di una lavoratrice che gli si era rivolta per un parere in merito a una controversia con il suo datore di lavoro. L’uomo l’aveva ricevuta nel suo ufficio, l’aveva fatta accomodare sulla sedia posta di fronte alla scrivania e con le spalle alla porta, aveva chiuso la porta, si era posizionato alle sue spalle e le aveva detto “sfogati quanto vuoi, siamo soli, non c’è nessuno”, riprendendo una sua frase e sviandone il senso, quindi le aveva massaggiato la schiena partendo dal collo, l’aveva baciata sul collo e sulle orecchie, e quando la donna aveva chiesto, dopo l’iniziale sorpresa, che cosa stesse facendo e gli avesse detto di smettere, aveva risposto che la stava facendo rilassare, aveva quindi continuato a palpeggiarla, arrivando a toccarle i seni e a infilarle le mani all’interno degli slip dalla schiena, finché la donna non aveva urlato “Io non mi sto rilassando, ma mi sto incazzando”. I fatti sono pacifici e corrispondono a quanto descritto nel capo d’imputazione. Il Tribunale di Busto Arsizio ha ritenuto il narrato della donna pienamente attendibile e riscontrato dai testi – marito, amica e colleghe – che hanno riferito l’episodio in termini del tutto analoghi e sovrapponibili. Ha anche ritenuto che gli atti compiuti – baci sul collo, toccamento del seno, mani nel fondoschiena per tirare l’elastico degli slip – avevano chiara valenza sessuale e avevano provocato all’imputato un’erezione. Tuttavia, il Tribunale lo ha assolto dal reato di violenza sessuale perché non erano stati riscontrati elementi di violenza, minaccia o abuso di autorità e la donna non aveva subito alcun costringimento fisico né la condotta si era concretizzata in atti idonei a superare la sua volontà contraria, per insidiosità e repentinità, siccome i toccamenti si erano protratti per venti o trenta secondi, senza che avesse espresso un dissenso. La donna non era in rapporto di subordinazione nei confronti dell’imputato, bensì in una condizione paritaria, essendoglisi rivolta per un consiglio e avendogli chiesto di “sfogarsi”, ed era libera di muoversi e uscire dalla stanza, mentre l’uomo non aveva potuto percepirne il dissenso perché era collocato alle sue spalle. La Corte territoriale ha confermato l’assoluzione ritenendo che non vi fosse stata violenza né minaccia né abuso di autorità e che i comportamenti dell’uomo non erano qualificabili come repentini o insidiosi perché erano durati venti o trenta secondi né era possibile ritenere che la vittima si fosse sentita soggiogata fisicamente perché l’imputato era di corporatura normale.

4. Ritiene il Collegio che entrambe le decisioni di merito non abbiano fatto buon governo dei consolidati principi affermati dalla giurisprudenza in materia di violenza sessuale, con riferimento alla specifica ipotesi della condotta del gesto repentino o insidioso.

E’ pacifico in giurisprudenza che la condotta vietata dall’art. 609 – bis cod. pen. ricomprende, oltre a ogni forma di congiunzione, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest’ultimo, sia idoneo e finalizzato a porne in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale. Pertanto la valutazione del giudice sulla sussistenza dell’elemento oggettivo non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ed al grado di intensità fisica del contatto instaurato, ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva, esaminando la vicenda con un approccio interpretativo di tipo sintetico: di conseguenza possono costituire un’indebita intrusione fisica nella sfera sessuale non solo i toccamenti delle zone genitali, ma anche quelli delle zone ritenute “erogene” – ossia in grado di stimolare l’istinto sessuale – dalla scienza medica, psicologica ed antropologico-sociologica (Sez. 3, n. 33464 del 15/06/2006, Beretta, Rv. 234786 – 01 e n. 37395 del 02/07/2004, Annunziata, Rv. 230041 – 01).

E’ stato precisato e ribadito in numerose occasioni che per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua la soddisfazione erotica (Sez. 6, n. 10626 del 16/02/2022, L., Rv. 283003 – 01; Sez. 3, n. 17414 del 18/02/2016, F., Rv. 266900 – 01, che ha ravvisato invece il tentativo in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l’agente non ha raggiunto le zone intime, genitali o erogene, della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest’ultima con le proprie parti intime; Sez. 3, n. 4674 del 22/10/2014, dep. 2015, S., Rv. 262472 – 01; Sez. 3, n. 27469 del 05/06/2008, Di Venti, Rv. 240338 – 01).

Dunque, lo sfioramento o il toccamento repentino e insidioso integrano sempre la fattispecie della violenza sessuale consumata (Sez. 3, n. 43423 del 18/09/2019, P., Rv. 277179 – 01, che ha reputato immune da censure la sentenza di appello che aveva confermato la condanna di un professore che, all’interno della scuola, aveva abbracciato da dietro un’alunna, baciandola sulla guancia, dopo aver provato a farlo sulla bocca; Sez. 3, n. 38926 del 12/04/2018, C., Rv. 273916 – 01, che ha ritenuto di qualificare come violenza sessuale consumata e non tentata il comportamento dell’imputato che, dopo aver alzato ripetutamente il vestito indossato dalla vittima, le ha toccato le cosce con l’intenzione di raggiungere parti più intime; Sez. 3, n. 47265 del 08/09/2016,1., Rv. 268280 – 01 che ha considerato violenza sessuale consumata il cosiddetto succhiotto; Sez. 3, n. 964 del 26/11/2014, dep. 2015, V., Rv. 261634 – 01; Sez. 3 n. 10248 del 12/02/2014, M., Rv. 258588 – 01; Sez. 3, n. 42871 del 26/09/2013, Z., Rv. 256915 – 01; Sez. 3, n. 12506 del 23/02/2011, Z., Rv. 249758 – 01, che ha ritenuto integrato il reato consumato con i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime della vittima, o, comunque, su zone erogene suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale, anche in modo non completo e/o di breve durata, essendo a tal fine irrilevante che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica, nello stesso senso, Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007, Greco, Rv. 236964 – 01, che ha qualificato come atto sessuale il bacio consistente nel mero contatto delle labbra, a prescindere dai contesti sociali, culturali o familiari; Sez. 3, n. 6945 del 01/02/2006, Giuliani, Rv. 233315 – 01; Sez. 3, n. 549 del 15/11/2005, dep. 2006, Beraldo, Rv. 233115 – 01, che ha ritenuto violenza sessuale anche il solo sfioramento delle labbra per dare un bacio).

5. Nel caso in esame, i Giudici di merito non hanno dubitato dell’insidiosità o repentinità degli atti sessuali, ciò che, come detto, integra di per sé la violenza sessuale, ma hanno immaginato che la durata del contatto escludesse l’insidiosità del gesto e comportasse la necessità della violenza, della minaccia o dell’abuso di autorità per pronunciare la condanna. Tale prospettazione è fallace perché non ha tenuto conto di tutti gli elementi di contesto. E’ pacifico che la donna si era recata nell’ufficio dell’imputato per un consiglio su una sua vertenza di lavoro munita di una cartellina con tutti i documenti comprovanti il mobbing che stava subendo.

Più in particolare, l’imputato l’aveva fatta aspettare un’ora e mezza prima di riceverla, era arrivato verso le 18,20 – 18,30 quando gli uffici avevano chiuso per cui lo aveva atteso in auto, poi si erano recati insieme nel suo ufficio e aveva cominciato a esporre il problema. L’uomo aveva dimostrato un atteggiamento superficiale e aveva minimizzato i suoi problemi, affermando che era in grado di risolvere tutto con una chiacchierata con chi di competenza, al che aveva reagito chiedendo di essere ascoltata e successivamente, perdurando lo stesso atteggiamento, aveva detto “Ascoltami, fammi sfogare”. Sentite queste parole, l’imputato, aveva chiuso la porta, si era posizionato alle sue spalle, e le aveva detto “sfogati quanto vuoi, siamo soli, non c’è nessuno”, passando all’azione. Corretta quindi è la descrizione del fatto nel capo d’imputazione laddove è scritto che l’imputato aveva ripreso la frase della donna e l’aveva “decontestualizzata”. Infatti, se n’era appropriato per introdurre e giustificare l’aggressione sessuale. Ed è chiaro che la vittima, che si era recata dall’imputato per esporre un problema di lavoro e che per tutto il tempo aveva mantenuto in mano la cartellina contenente i documenti, era rimasta del tutto disorientata e sguarnita rispetto ai comportamenti dell’uomo. Il ritardo nella reazione, dunque, cioè nella manifestazione del dissenso, è stato irrilevante avuto riguardo al contesto. La giurisprudenza è netta nel ritenere che sia irrilevante, ai fini della configurazione della violenza sessuale, la reazione della vittima, perché la sorpresa può essere tale da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi (Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014, J., Rv. 260985 – 01; Sez. 3, n. 27273 del 15/06/2010, M., Rv. 247932 – 01). Nella letteratura scientifica è spiegato il fenomeno del blocco emotivo o freezing, cioè l’incapacità di reazione dovuta alla paura o al frastornamento per l’imprevedibilità della situazione e l’incapacità di fronteggiarla né d’altra patte esiste un modello di reazione o un modello di vittima. Pertanto, la conclusione dei Giudici di merito secondo cui non vi sarebbe stata violenza è meramente congetturale.

L’ulteriore argomento che si desume dal ragionamento che in entrambe le sentenze ha portato all’assoluzione è quello della mancata percezione del dissenso della donna alle profferte sessuali dell’imputato, che si era posto volontariamente alle sue spalle.

Anche in questo caso l’osservazione dei Giudici di merito è fallace.

E’ parimenti pacifico in giurisprudenza che, per andare esenti da responsabilità nelle violenze sessuali, è necessario che l’agente acquisisca il consenso del destinatario degli atti sessuali, o comunque non lo escluda in base del contesto, anche in caso di gesto repentino e insidioso (Sez. 3, n. 6945 del 27/01/2004, Manta, Rv. 228493 – 01). Infatti, il dissenso della vittima costituisce un requisito implicito della fattispecie e, pertanto, il dubbio sulla sua sussistenza investe la configurabilità del fatto – reato e non la verifica della presenza di una causa di giustificazione (Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018, P., Rv. 274417 – 01), mentre l’errore su di esso rileva come errore di fatto, sicché incombe sull’imputato l’onere di fornire la prova del relativo assunto (Sez. 3, n. 3326 del 25/11/2021, dep. 2022, P., Rv. 282715 – 01). Nel caso in esame, i Giudici di merito si sono limitati a constatare che l’imputato era posto da tergo della donna e non poteva apprezzarne le reazioni. La circostanza della posizione fisica dell’uomo al momento del compimento degli atti sessuali è irrilevante perché manca la contestualizzazione rispetto all’antefatto. I Giudici di merito non hanno spiegato se vi era stato un preventivo contatto tra le parti che avesse indotto l’imputato a ritenere che la donna avrebbe apprezzato o non avrebbe respinto l’approccio né tale eventualità era contemplata o poteva essere considerata, secondo le regole di comune esperienza, uno sviluppo ordinario e prevedibile del colloquio.

La motivazione è dunque, anche sotto questo profilo, non in linea con i pacifici orientamenti giurisprudenziali di legittimità.

S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano cui è demandato il regolamento delle spese di giudizio, anche per la fase di legittimità, sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dell’Erario.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso, l’11 febbraio 2025.

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2025.

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