2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo deduce, invocando il vizio di carenza e manifesta illogicità motivazionale, che la prova della propria responsabilità fosse stata illogicamente tratta dalle dichiarazioni asseritamente confessorie rese da lui e dalla moglie allo psicologo del Consultorio di Bergamo, cui si erano entrambi spontaneamente rivolti, nel corso di due sedute tenutesi nel febbraio 2015, e nelle relazioni delle insegnanti della scuola materna che davano atto di anomali comportamenti sessuali tenuti dal bambino con i compagni. Sostiene, quanto al primo punto, di non aver mai riferito al medico di aver interposto il bambino tra lui e la moglie nei loro rapporti sessuali nudi sul letto, ma che in una sola circostanza si era toccato il pene, neppure eretto, a debita distanza dalla moglie e dal figlio che giacevano anch’essi sul letto l’una accanto all’altro senza che quest’ultimo lo vedesse, di talché non poteva essere ritenuta coinvolta la corporeità del minore, con conseguente inconfigurabilità della contestata violenza sessuale. Quanto ai comportamenti a connotazione sessuale da costui tenuti con i compagni dell’asilo, assume che la loro riconducibilità a pregresse esperienze dirette sia frutto di una mera congettura, priva di alcun riscontro fattuale, ed al contrario sconfessata dal referto del medico pediatra e dalle relazioni degli assistenti sociali. Evidenzia in ogni caso le risultanze dell’incidente probatorio in cui il minore non aveva mai fatto riferimento a rapporti fisici con il padre e che, al contrario, alle domande con cui gli si chiedeva degli anomali “giochi” con il genitore riferiti alle insegnanti e ai compagni di scuola aveva risposto solo con dei “non so” o “non ricordo”, censurando in quanto manifestamente illogico, il ragionamento che aveva portato la Corte di Appello a ritenere le dichiarazioni di terzi maggiormente credibili di quelle dell’eventuale soggetto passivo della condotta, senza neppure analizzare le ragioni di tali divergenti atteggiamenti se non per ipotizzare un affievolimento dei ricordi nel momento in cui era stato sentito dal giudice: rilievo anch’esso, secondo la difesa, incongruo sia perché l’audizione non si era affatto svolta, come indicato nella sentenza, nel 2017 risalendo, viceversa, al 17 maggio 2016 e dunque ad appena un anno di distanza dei comportamenti avuti dal minore a scuola, il che rendeva inverosimile la dimenticanza, sia perché la cancellazione dalla memoria di tali episodi era la dimostrazione palese dell’assenza di un disagio subito dal bambino, contraddittoriamente posto a
fondamento del diniego dell’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c.. Evidenzia infine come la svalutazione dell’incidente probatorio, ritenuto ininfluente rispetto a quelli che la Corte di Appello definisce come “gli altri elementi di prova” ne avrebbe imposto la disamina analitica e quantomeno l’indicazione, invece, del tutto omessa.
2.2. Con il secondo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge, la mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 609 quinquies c.p. ed il diniego della fattispecie di minore gravità ex art. 609 bis c.p., u.c.. Deduce sul primo punto che, emergendo dalle dichiarazioni dello psicologo che l’imputato si sarebbe masturbato alla presenza della moglie e del figlio tenendosi a debita distanza da entrambi, la condotta, in quanto consistita in atti sessuali alla presenza di un minorenne, escludeva alla radice, nulla venendo specificato in ordine ad un eventuale ruolo attivo tenuto in quel contesto dal bambino, la configurabilità della contestata violenza sessuale, tanto più che la moglie, tratta a giudizio con separato procedimento, era stata condannata in secondo grado, pur avendo giaciuto nuda sul letto accanto al figlio cingendolo per un braccio, per il reato meno grave di corruzione di minorenne, in stridente contrasto con il delitto ascritto al prevenuto che aveva agito in assenza di qualsivoglia coinvolgimento o contatto corporeo con il minore riferito. In relazione invece al mancato riconoscimento dell’attenuante invocata, contesta sia la pluralità delle vicende delittuose indicate a fondamento del diniego, essendosi trattato secondo lo psicologo soltanto di quattro episodi di masturbazione senza alcun coinvolgimento del bambino, sia le conseguenze da quest’ultimo patite, escluse dalla relazione del pediatra, nonché dalle contingenze concrete trovandosi il piccolo, mentre avvenivano i fatti, cinto dall’abbraccio della madre in un’effusione di tenerezza.
ed interpretazione dei fatti, si risolvono nella rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, così da sollecitare l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede.
Occorre tuttavia ricordare che in sede di legittimità non é consentita una diversa lettura ed interpretazione delle risultanze processuali finalizzata alla ricostruzione dei fatti, né la Corte di cassazione può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Il vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità deve essere diretto ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, che va non solo identificato come illogicità manifesta della motivazione o come omissione argomentativa, intesa sia quale mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia quale carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato, ma deve essere altresì decisivo, ovverosia idoneo ad incidere sul compendio indiziario così da incrinarne la capacità dimostrativa, non potendo il sindacato di legittimità, riservato a questa Corte, dilatarsi nella indiscriminata rivalutazione dell’intero materiale probatorio che si risolverebbe in un nuovo giudizio di merito.
Al contrario, la prospettazione difensiva non individua alcun passaggio della sentenza impugnata nel quale possa compendiarsi il devoluto vizio motivazionale, che, deve essere ancora una volta ricordato, si sostanzia nel solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non al suo contenuto valutativo, fuoriuscendo dal perimetro operativo di questa Corte il controllo tra prova e decisione: il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria ad essa sottesa, esclusivamente riservata al giudice di merito.
Le censure che la difesa rivolge al provvedimento impugnato sono perciò inammissibili, non riscontrandosi nel tessuto motivazionale né la contraddittorietà della motivazione, né l’illogicità manifesta, che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica formale e/o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 c.p.p. genericamente lamentati dalla difesa, essendo la Corte distrettuale pervenuta all’affermazione di responsabilità dell’imputato attraverso un percorso lineare, immune da qualsiasi caduta di consequenzialità logica e coerente al compendio probatorio di riferimento, nel percorrere il quale si é espressamente fatta carico delle obiezioni e delle contestazioni sollevate dalla difesa, che vengono in questa sede nuovamente proposte.
La mancata considerazione delle risultanze dell’incidente probatorio, in cui effettivamente il minore non ebbe a ripetere, trincerandosi dietro dei “non so” o “non ricordo”, alcuno dei fatti narrati agli adulti di riferimento nel contesto extrafamiliare é stata motivata nella sentenza impugnata proprio dal silenzio serbato al riguardo dal minore che, del resto, aveva portato all’esclusione della relativa contestazione sin dal capo di imputazione. La rivelazione fatta alle insegnanti che lo interrogavano sulle sue anomale condotte restano perciò sullo sfondo nella valutazione dei giudici del gravame rispetto alle dichiarazioni rese dall’imputato e dalla moglie allo psicologo del Consultorio familiare, sulla cui spontaneità depone il fatto che fossero stati proprio loro a richiederne l’intervento, una volta resisi conto dei comportamenti a connotazione marcatamente sessuale assunti dal figlio nel contesto scolastico, ovverosia nei suoi rapporti con i pari, stanti le preoccupazioni insorte specie da parte della madre circa la relazione con i fatti di cui era stato spettatore, trovandosi nel letto insieme ai genitori.
Non essendo emersi profili di inattendibilità dello psicologo le cui dichiarazioni risultano riscontrate dai report da lui stesso redatti in relazione ai due incontri avuti con la coppia, profili che la difesa per vero neppure evidenzia, le contestazioni articolate con la presente impugnativa si risolvono nel contrasto con quanto riferito dal medico, per averlo appreso direttamente dall’imputato e dalla moglie, e quanto invece dichiarato dal B. in sede dibattimentale, in cui quest’ultimo, senza negare di aver relazionato in merito a condotte di carattere sessuale, ha tuttavia assunto un travisamento del racconto da parte del professionista in ordine agli episodi di masturbazione alla presenza della moglie e del figlio, nudi anch’essi sul letto, che non sarebbero stati quattro, come riportato dal teste, ma uno soltanto.
La contestazione risulta tuttavia relegata al livello di una mera congettura in difetto di elementi probatori che la supportino e di illogicità che inficino il percorso logico argomentativo della Corte bresciana: la sentenza impugnata evidenzia infatti, oltre alla piena affidabilità del teste, che aveva sua sponte ritenuto di segnalare le vicende all’autorità giudiziaria, e dunque assunto un’iniziativa le cui possibili ripercussioni presupponevano necessariamente la puntuale comprensione di quanto riferitogli, e alla mancanza di incertezze nella sua deposizione anche sul numero degli episodi riferitigli dal paziente, così come dalla moglie, e sulle condotte da entrambi tenute nel relativo frangente, altresì, a riscontro della sussistenza dei fatti, proprio gli atteggiamenti di marcata connotazione sessuale assunti dal minore con i compagni all’asilo, e dunque in tutt’altro contesto, i quali, essendo emersi dalla narrazione dei fatti resa dallo stesso imputato anche allo psicologo, sono stati ragionevolmente interpretati quale segno palese dell’impronta che avevano lasciato nella psiche del bambino.
Ora, se é possibile che dei comportamenti di carattere sessuale assunti da un minore non necessariamente derivino dall’essere stato costui vittima di abusi sessuali, così come sostiene il ricorrente, trattasi ciò nondimeno di affermazione inidonea a scalfire la coerenza del ragionamento seguito dai giudici distrettuali che non solo ne hanno misurato il significato rapportandolo ad un minore di appena quattro anni, età in cui il contesto parentale é il suo unico punto di riferimento e dunque anche la sua maggiore fonte di conoscenza, ma che in ogni caso ne hanno messo in luce l’intrinseca connessione con le dichiarazioni rese allo psicologo dall’imputato che non ha mai negato di averle lui stesso descritte al medico, avendo, viceversa, costituito la ragione concreta del consulto richiestogli.
2. Il secondo motivo non può ritenersi fondato.
2.1. In ordine alla prima questione ivi dedotta, va rilevato che la riconducibilità della condotta contestata al reato di violenza sessuale si fonda, secondo quanto affermato dalla Corte distrettuale, sul fatto che l’imputato non si sia limitato a praticare atti di autoerotismo in presenza del bambino ma, avendo espressamente richiesto la presenza della moglie e del figlio nudi nello stesso letto, lo ha coinvolto in una sorta di amplesso virtuale.
L’assunto deve ritenersi condivisibile nei termini di seguito indicati.
La nozione di corporeità sessuale, cui fa riferimento anche la sentenza n. 33045 del 29/10/2020 – dep. 25/11/2020, Rv. 280044 citata dalla difesa, non si identifica nel contatto corporeo tra l’agente e la vittima, ma é nozione rispetto ad essa più ampia comprendendo un coinvolgimento derivante dal contesto complessivo in cui la condotta si esplica e dalla dinamica intersoggettiva che si sviluppa tra i soggetti che ne sono protagonisti, come del resto é stato già affermato da questa Corte in relazione ad atti di autoerotismo perfezionatisi mediante una comunicazione telematica, attraverso la quale il reo aveva indotto le vittime minorenni a compiere su se stesse atti sessuali di masturbazione (Sez. 3, n. 25822 del 09/05/2013 – dep. 12/06/2013, Rv. 257139; Sez. 3, n. 41951 del 05/07/2019 – dep. 11/10/2019, Rv. 277053). Orbene se in tal caso, a differenza della fattispecie di cui alla citata pronuncia, é lo stesso imputato ad aver compiuto su di sé la masturbazione, quello che connota la condotta criminosa riconducibile all’abuso sessuale é la compresenza della moglie e del figlio chiamati non soltanto assistere a tale atto, ma, ancor prima, a determinare l’eccitazione dell’uomo attraverso lo sfregamento dei loro corpi in una pratica marcatamente erotica, posto che era lo stesso imputato a posizionare il figlio nudo sul corpo, anch’esso nudo, della moglie e a richiedere a quest’ultima di avere un rapporto fisico con il piccolo. Che la condotta posta in essere dalla donna in tali frangenti non fosse, del resto, quella di un semplice abbraccio rivolto al bambino e dunque di un gesto improntato a tenerezza materna, come assume la difesa, ma invece un rapporto particolarmente intimo e connotato dalla fisicità emerge sia dalle giustificazioni addotte dallo stesso (omissis), secondo le quali, attraverso il contatto corporeo, la madre avrebbe potuto recuperare la condotta, a sua detta, poco affettiva tenuta da costei nei confronti del figlio con cui, nel passato, si era relazionata con modalità aggressive e finanche di rifiuto al momento della sua nascita, sia dalla nudità dei corpi che ha ben poco a che fare con l’esternazione di sentimenti che il marito vorrebbe declassare ad effusioni di affetto.
Nonostante l’accostamento corporeo sia nella specie avvenuto tra la moglie ed il bambino, l’azione complessiva é comunque riconducibile all’imputato che l’ha diretta, quasi in veste di regista, pretendendo che la donna si strusciasse con il figlio, entrato così a far parte della scena quale soggetto fondamentale nella dinamica erotica, nel mentre lui si masturbava, così da eccitare la sua libidine e pervenire all’appagamento sessuale. Né assume alcun rilievo ai fini del perfezionamento del reato la circostanza, su cui insiste la difesa, che l’organo genitale dell’uomo non fosse in erezione atteso che il raggiungimento della finalità perseguita dall’agente non é richiesto ai fini della rilevanza penale della condotta dall’art. 609-bis c.p., costruito dal legislatore come reato a dolo generico (ex multis Sez. 3, n. 33464 del 15/06/2006 – dep. 05/10/2006, Rv. 234786; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014 – dep. 21/05/2015, Rv. 263738).
Non si tratta, dunque, di una scena di natura sessuale alla quale il minore ha soltanto assistito, così come prevede l’art. 609 quinquies c.p. nel disciplinare il delitto di corruzione di minorenne, ma della quale questi é stato, al contrario, protagonista diretto posto che é attraverso il suo contatto con la madre nell’integrale nudità dei corpi, condizione questa che di per sé attiene alla dimensione erotica involgendo il toccamento di zone erogene e comunque esplicandosi nella più stretta intimità, e ancor di più attraverso lo strusciamento dell’uno contro l’altra, condotta questa immanente alla sfera strettamente sessuale, che il padre, per il solo fatto di guardarlo nel mentre venivano eseguite le direttive da lui stesso impartite, appagava la sua libidine. E’ pertanto nella contestualità delle due azioni, l’atto di autoerotismo praticato dall’imputato e lo sfregamento dei corpi nudi tra il bambino e la madre, che risiede la condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 609 bis c.p.: contestualità questa che viene del tutto tralasciata dalla difesa appuntandosi i rilevi svolti in ordine alla qualificazione del fatto esclusivamente sul gesto della masturbazione. E’ vero che tale condotta isolatamente considerata ne consente alla presenza di un minore la sussumibilità nell’ambito della corruzione di minorenne, ma nella specie non é questo il fatto contestato, non potendosi prescindere dalla contestuale condotta della moglie con il bambino in cui gli atti sessuali si congiungono idealmente gli uni, quelli del padre, con gli altri, quelli della moglie e del bambino, in una scena erotica sincronica dove l’atto della masturbazione, ancorché autodiretto, si alimenta attraverso la visione delle gestualità improntate ad una dimensione squisitamente sessuale dei co-protagonisti.
La circostanza che la condanna della moglie, giudicata con separato giudizio per il reato di cui all’art. 609 quinquies c.p. sia stata annullata senza rinvio con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, come documentato dalla difesa con la produzione della pronuncia resa da questa stessa Sezione in data 8.5.2019, non intacca né la ricostruzione dei fatti oggetto del presente giudizio,
né la configurabilità del delitto contestato all’odierno imputato. Ed invero, mentre la diversa valutazione della deposizione dello psicologo cui si erano rivolti i coniugi per far luce sulle anomale condotte assunte dal bambino e sui loro problemi di coppia sconta il fatto che in tal caso si trattasse di un rito abbreviato, svoltosi sulla base di un più limitato compendio probatorio rispetto a quello di istruzione dibattimentale, e dunque a cognizione piena, del presente procedimento, onde il materiale istruttorio dei due giudizi non può costituire oggetto di raffronto, l’insussistenza del dolo specifico che caratterizza il delitto di corruzione di minorenne in capo alla donna per essere stata lei stessa colta di sorpresa dalle condotte di autoerotismo poste in essere dal marito nel mentre giaceva sul letto con il bambino non contrasta affatto con la ricostruzione del fatto effettuata dalla sentenza oggetto della presente impugnazione: la circostanza che la donna non fosse consapevole degli sviluppi della condotta del marito una volta assecondate le sue richieste consistite nel mostrare una maggiore fisicità con il figlio nel mentre giacevano a letto nudi conferma che fosse stato l’imputato l’unico autore della pratica di masturbazione, ma che la contestuale richiesta rivoltale di un coinvolgimento corporeo con il minore e puntualmente attuata avesse determinato la scena sessuale di cui i tre erano stati diretti protagonisti al fine di alimentare le pulsioni libidinose dell’uomo, che dirigeva l’azione complessiva.
2.2. Né maggior fondamento rivestono le doglianze articolate dalla difesa in ordine al diniego dell’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..
Mentre quelle che si appuntano sul numero degli episodi costituiscono l’espressione di un giudizio valutativo che non può sovrapporsi alla discrezionalità del giudicante, tanto più che la reiterazione della condotta criminosa é stata con univoca interpretazione di questa Corte comunque ritenuta espressione sintomatica dell’intensità del dolo dell’agente e perciò non compatibile con la “minore gravità” del fatto (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 – dep. 22/02/2016, Rv. 266272; Sez. 3, n. 4960 del 11/10/2018 – dep. 01/02/2019, Rv. 275693), le conseguenze dannose patite dal minore, cui fa contestualmente riferimento la Corte distrettuale nel negare l’attenuante, non si identificano necessariamente con la sofferenza psichica della vittima, onde inconferente risulta il richiamo alla relazione del pediatra curante, ma, estendendosi a tutti i pregiudizi derivati a quest’ultima per effetto dell’azione delittuosa, comprendono anche, specie quando si tratti di un minore in una così tenera età (il bambino all’epoca dei fatti non aveva ancora quattro anni), gli effetti, secondo l’ampia accezione del danno non patrimoniale, che hanno inciso sul processo di formazione della personalità, che nella specie risulta aver assunto connotazioni del tutto anomale alla luce dei comportamenti marcatamente “sessualizzati” tenuti dal piccolo nella relazione con i pari, ripetutamente emersi nel contesto scolastico: la circostanza che il bambino si approcciasse con i compagni, abbassandosi i pantaloni e tenendo il pene fra le mani per mostrarlo agli amichetti, o che lo strusciasse contro i loro glutei, che leccasse loro il fondoschiena o i genitali, che entrasse nei bagni della scuola dove stavano gli altri bambini intenti ai loro bisogni, che desiderasse bere le urine, sono tutti indici di condotte di chiara devianza sessuale o espressione di convincimenti in cui la matrice libidinosa, non ancora consapevolmente acquisita a quell’età, si sovrappone nelle sue espressioni degenerate, alla dimensione naturale dell’età infantile.
Del resto quel che il legislatore intende stigmatizzare nel discrimen della minore gravità é la più attenuata riprovevolezza di quelle sole condotte che, pur presentando tutti gli elementi costitutivi del reato, non si traducano in una compromissione non soltanto della sfera strettamente sessuale della p.o., ma altresì della sua sfera psichica: occorre perciò considerare che, allorquando il soggetto passivo sia un minore, le conseguenze prodotte dalla condotta criminosa sono suscettibili di ripercussioni ulteriori rispetto a quelle prodottesi nell’immediatezza e dallo stesso direttamente percepite, essendo destinate a venire alla luce nella fase successiva del suo percorso di crescita, traducendosi, quand’anche non abbiano arrecato subitanee sofferenze o disagi, in una compromissione del successivo sviluppo della sua personalità, involgente possibili aspetti della vita di relazione e della sfera sessuale, così come affettiva.
Il ricorso deve in conclusione, essere rigettato, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, in conformità a quanto disposto dall’art. 616 c.p.p..
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021