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Cassazione penale sez. III, 07/04/2016, n. 11044

Massima

Integra il delitto di cui all’art. 600 quater c.p. l’accertato possesso di “files” pedopornografici successivamente cancellati dalla memoria accessibile del sistema operativo di personal computer, in quanto l’avvenuta cancellazione determina solo la cessazione della permanenza del reato e non, invece, un’elisione “ex tunc” della rilevanza penale della condotta per il periodo antecedente alla eliminazione dei “files” sino a quel momento detenuti.

Supporto alla lettura

PEDOPORNOGRAFIA

La pedopornografia è la pornografia (ossia la rappresentazione di atti sessuali) in cui sono raffigurati soggetti pre-puberali. Spesso viene confusa con la pornografia minorile (materiale pornografico in cui sono coinvolti soggetti minorenni che però hanno già subito le trasformazioni fisiche e mentali derivanti dalla pubertà), poichè in molte legislazioni viene considerata illegale e punita non la pedopornografia in quanto tale, ma qualsiasi forma di pornografia minorile, ossia la produzione, distribuzione e detenzione di materiale pornografico che coinvolge i minori.

La norma codicistica italiana intende come pedopornografico quel materiale che ritrae o rappresenta visivamente un minore implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica. Ciò si applica anche ai fotoritocchi, fotomontaggi e in generale a immagini fotorealistiche realizzate utilizzando scatti o parti di scatti di soggetti minorenni, ciò vale anche per attività sessuali o analoghe e anche se i fotomontaggi non ritraggono scene realmente accadute.

La legge italiana non si applica ai disegni che siano chiaramente riconoscibili come tali e non come fotorealistici, mentre anche solo il semplice possesso di materiale pornografico coinvolgente minori costituisce reato.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 16 giugno 2015 la Corte di appello di Reggio Calabria ha sostanzialmente confermato la condanna inflitta, all’esito di giudizio abbreviato, dal Tribunale di tale medesima città a carico di (omissis), imputato per la violazione dell’art. 600-quater c.p. in quanto si procurava e deteneva consapevolmente materiale pornografico prodotto utilizzando soggetti di età inferiore ai 18 anni; in particolare la Corte territoriale ha confermato la affermazione della penale responsabilità del prevenuto e la condanna del medesimo alla pena, condizionatamente sospesa, di un anno di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa, concedendo, quale unica aggiunta rispetto a quanto previsto dal giudice di primo grado, il beneficio della non menzione.

Ha interposto ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza il (omissis), deducendo, sotto diverse prospettive, la violazione di legge in relazione agli artt. 600-quater, 62-bis e 131-bis c.p. ed il vizio di motivazione e di travisamento della prova.

In particolare il ricorrente ha segnalato la illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui in essa si era ritenuto provato il possesso in capo al ricorrente stesso dei filmati pedopornografici che sarebbero stati da lui mostrati alla minore (omissis), sebbene questa abbia smentito il fatto che le immagini a lei fatte vedere ritraessero minori; il giudice di primo grado era, invece, giunto alla affermazione della responsabilità del S. sulla base di quanto la madre della minore ricordava che, nell’immediatezza dei fatti, costei le aveva riferito.

La difesa del ricorrente ha altresì osservato che non poteva ritenersi oggetto di detenzione un filmato, ancorchè materialmente contenuto nella memoria del computer, laddove lo stesso, come nel caso in questione, non era facilmente accessibile in quanto non postato solamente nel “cestino” del computer ma cancellato dalla memoria accessibile di questo e recuperabile solo attraverso l’utilizzo di sofisticati strumenti informatici.

Ancora, con riferimento a 10 files trovati sulla memoria di sistema del computer del (omissis), la difesa di questi ha osservato che la Corte territoriale non aveva preso in considerazione l’eventualità che tali files fossero stati scaricati per errore o comunque senza la volontà del ricorrente, evento questo che avrebbe fatto venire meno il necessario elemento soggettivo ai fini della integrazione della fattispecie delittuosa a lui contestata.

Infine relativamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche e della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. il ricorrente ha osservato che la Corte reggina, avrebbe fondato il suo giudizio sul contenuto delle dichiarazioni rese dalla minore (omissis), il cui oggetto, però, o non concerne la connotazione pedopornografica dei files detenuti dal ricorrente, ovvero è rispetto a tale dato irrilevante in quanto concernente comportamenti del (omissis) che, anche laddove censurabili, avrebbero tutt’altra consistenza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.

Osserva, infatti, il Collegio che con il primo motivo di impugnazione il ricorrente ha contestato la affermazione della sua penale responsabilità come formulata dai giudici del merito, in quanto la stessa sarebbe fondata sulle dichiarazioni rese dalla madre della minore (omissis), persona quest’ultima cui il (omissis) avrebbe mostrato il materiale pedopornografico in suo possesso, la quale ha riferito che la figliola le disse che il (omissis) le aveva, appunto fatto vedere dei filmati, con protagonisti soggetti maggiorenni e minorenni, aventi contenuti pornografici; tali dichiarazioni, precisa il ricorrente, sarebbero però, smentite da quanto riportato dalla stessa (omissis) la quale, sentita a sommarie informazioni testimoniali, aveva modificato il senso delle sue dichiarazioni, precisando che i filmati a lei sottoposti dal (omissis) ritraevano solo persona adulte; da tale contraddizione, fra la dichiarazione de relato e quella resa, in un secondo tempo, dalla principale teste, il ricorrente fa discendere la inadeguatezza della prova utilizzata dai giudici del merito ai fini della dichiarazione della sua penale responsabilità.

Il ragionamento svolto dal ricorrente è, però, errato, posto che esso prende in considerazione solamente il dato riveniente dalla pretesa discordanza fra quanto la (omissis), madre della (omissis), ricorda che quest’ultima le disse e quanto dalla stessa (omissis) successivamente riportato, peraltro in forma non pienamente assertiva ma solo valutativa (“nei video che mi ha mostrato non vi erano a mio giudizio persone minorenni”), in sede di indagini preliminari.

Il ricorrente trascura infatti del tutto di considerare che, nel proseguimento delle indagini svolte a carico del (omissis), essendo stata condotta un’attività di verifica del contenuto del suo computer, strumento che sarebbe stato usato per fare vedere alla (omissis) i filmati “incriminati”, sono stati trovati nella memoria di esso una serie di files il cui contenuto è stato definito dalla Corte calabrese inequivocabilmente pedopornografico in quanto riferibili nella quasi totalità a soggetti certamente minorenni.

Sulla base di tale dato, rimane quindi confinata sullo sfondo del materiale probatorio la dedotta discordanza fra quanto riferito dalla (omissis) e quanto detto dalla (omissis), posto che la prova della detenzione da parte del (omissis) del materiale pedopornografico e della sua ostensione alla minore non deriverebbe soltanto dal contenuto delle dichiarazioni rese dalla (omissis) alla di lei madre nell’immediatezza del fatto e da questa poco dopo riferite alle autorità inquirenti, quanto dall’obbiettivo riscontro derivante dalla verifica materiale operata su quanto conservato nella memoria del computer dell’imputato, elemento questo che costituisce un’oggettiva corroborazione di quanto detto dalla (omissis).

Il motivo di impugnazione, essendo pertanto riferito ad un tema non determinante ai fini della assunzione della decisione impugnata, essendo questa sostenuta anche da altri, logicamente concorrenti, argomenti, non può trovare accoglimento.

Non meritevole di migliore sorte è il successivo argomento dedotto dal ricorrente, cioè che non potrebbe definirsi detenuto un file avente contenuto anche pedopornografico laddove lo stesso sia stato cancellato in maniera sostanzialmente definitiva dalla memoria del computer all’interno della quale lo stesso era allocato.

Sul punto il Collegio rileva che effettivamente questa Corte, occupandosi della rilevanza penale dell’avvenuta cancellazione dei files a contenuto pedopornografico presenti all’interno della memoria di un computer ha avuto occasione di precisare che, mentre non ha alcuna rilevanza il mero trasferimento di detti files all’interno della cartella “cestino” del sistema operativo del personal computer, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell’accesso al file, escluderebbe la loro materiale detenzione un’operazione di definitiva cancellazione dei medesimi (Corte di cassazione, Sez. 3 penale, 8 giugno 2015, n. 24345).

Ritiene, tuttavia, la Corte che anche l’adesione a tale indirizzo non sia tale da comportare, nel caso in esame, l’annullamento della sentenza censurata.

Infatti – anche a prescindere dal fatto che l’avvenuta cancellazione dei files non esclude certamente una pregressa detenzione, di tal che essa, in linea di principio non incide immediatamente sulla integrazione della fattispecie penale de qua quanto sulla sua perdurante flagranza, dovendosi ritenere che sino al momento della cancellazione i files erano bensì detenuti, comportando, pertanto, la loro cancellazione non la elisione ex tunc della rilevanza penale della condotta ma, semmai la cessazione di essa, dato certamente non trascurabile stante la evidente natura permanente del reato ora contestato ma tuttavia non idoneo di per sè a condurre alla esclusione della sussistenza del reato per il periodo antecedente alla cancellazione di files fino a quel momento detenuti – va segnalato, e l’argomento è decisivo quanto alla fattispecie, che nel caso ora in esame, oltre ai files recuperati attraverso sofisticate procedure informatiche (ragionevolmente inattingibili dall’utente medio) a seguito della attività consultiva effettuata sul computer in uso al (omissis) (files che, come detto, ben possono essere considerati, in quanto non più raggiungibili utilizzando metodiche usuali di accesso alla memoria del computer, in sostanza definitivamente cancellati), ve ne erano ben altri 10 a contenuto parimenti pedopornografico regolarmente allocati nella memoria immediatamente accessibile del predetto computer.

Affermare, come sostenuto dal ricorrente, che di tale allocazione il (omissis) non fosse consapevole, essendo essa avvenuta in maniera automatica in occasione del trasferimento di altri files sul computer del (omissis) e quindi senza una diretta partecipazione soggettiva di questo, è argomento, oltre che privo di qualsivoglia sostanziale base probatoria, di mero fatto non rilevante in questa sede di legittimità.

Quanto, infine, alla mancata concessione da parte della Corte reggina delle attenuanti generiche ed alla mancata sussunzione del fatto entro l’ambito della non punibilità penale ai sensi dell’art. 131-bis c.p., rileva la Corte che siffatte deliberazioni appaiono sorrette da un’adeguata motivazione resa sul punto dalla Corte di merito, in quanto ancorata, per un verso alla intrinseca gravità del reato ed alla assenza di elementi positivi nella condotta e nella personalità del (omissis) valorizzabili ai fini della concessione delle predette attenuanti, e, per altro verso, ad un giudizio di sensibile disvalore della complessivo comportamento mostrato dall’imputato nel suo modo di rapportarsi con la (omissis), come descritto dalla medesima, tale, anche a volere prescindere dal preciso contenuto della immagini ad essa mostrate, da evidenziare nell’uomo un atteggiamento subdolamente riprovevole ed insidiosamente volto ad approfittare della ingenuità della giovane adolescente, sì da arricchire il quadro valutativo della condotta da lui tenuta in termini tali che il fatto da lui posto in essere non va certamente considerato, come ha infatti correttamente opinato la Corte distrettuale, di particolare tenuità.

Al rigetto del ricorso segue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

Allegati

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