• Home
  • >
  • Cassazione penale sez. III, 07/01/2019, n.348

Cassazione penale sez. III, 07/01/2019, n.348

Massima

In tema di reati alimentari, ai fini della sussistenza della fattispecie prevista dall’art. 5, lett. b), l. 30 aprile 1962, n. 283, il pericolo di alterazione dell’alimento non può essere desunto in via automatica dalla mera inosservanza delle temperature indicate dal produttore sulla confezione, avendo tali segnalazioni valore di mero suggerimento per il venditore. (In motivazione, la Corte ha precisato che le disposizioni contenute nei Regolamenti UE del 29 aprile 2004, nn. 852, 853, 854 ed 882 – che definiscono le norme sostanziali e le procedure di controllo in tema di sicurezza alimentare – non conferiscono al produttore poteri precettivi nei confronti dei commercianti al dettaglio in merito alle modalità di conservazione dei prodotti destinati alla vendita)

 

Supporto alla lettura

DETENZIONE ALIMENTI DESTINATI ALLA VENDITA IN CATTIVO STATO DI CONSERVAZIONE

La disciplina per garantire la sicurezza igienico-sanitaria delle sostanze alimentari è data dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, il cui art. 5 è posto alla tutela della food safety e contiene diverse fattispecie di reato, tutte di natura contravvenzionale, il cui trattamento sanzionatorio è previsto al successivo art. 6:

  • privazione degli elementi nutritivi, mescolati con sostante di qualità inferiore, o trattate in modo da modificarne la composizione naturale;
  • cattivo stato di conservazione;
  • cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti;
  • aggiunta di additivi chimici;
  • residui di prodotti tossici utilizzati in agricoltura per la protezione della piante.

Si tratta di figure autonome di reato, piuttosto eterogenee tra loro, che abbracciano gran parte delle ipotesi illecite in materia igiene e sicurezza alimentare sanitaria, e poichè sono poste a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura, non serve che dalle condotte illecite si determini un danno alla salute

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 14.5.2018 il Tribunale di Asti ha assolto (omissis) imputato del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5 lett. B, e art. 6, comma 3, per aver detenuto del baccalà esposto alla vendita in acqua con temperatura mai inferiore a 6, laddove l’etichetta di accompagnamento ne prevedeva la conservazione in frigorifero con una temperatura da 0 a 4 gradi, all’interno di cartoni privi di qualsivoglia protezione contro l’insudiciamento, perchè il fatto non costituisce reato ritenendo che in assenza di una normativa relativa alla conservazione del prodotto, le condizioni in cui in concreto deteneva il pesce già salato fossero conformi alle regole di comune esperienza, secondo cui è solo oltre il superamento della soglia di 15 che è profilabile il rischio di deterioramento.

2. Avverso il suddetto provvedimento il Procuratore della Repubblica di Asti ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge, che pur non essendo stati fissati dalla legge limiti predeterminati sulla conservazione del baccalà, ciò nondimeno i Regolamenti comunitari del Pacchetto di Igiene emanati nel 2004 hanno rivoluzionato il comparto produttivo degli alimenti di origine animale e vegetale attribuendo all’operatore del settore alimentare (OSA) la responsabilità della salubrità dell’alimento in tutte le fasi del processo, dala produzione alla commercializzazione, con la conseguenza che se nello specifico il produttore ha indicato in etichetta la temperatura di conservazione tra 0 e 4 è perchè ha già valutato il rischio, in relazione alle caratteristiche organolettiche del prodotto ed alla quantità di sale impiegato, legato in concreto a quel prodotto, onde tutti gli operatori e rivenditori devo attenersi a quelle indicazioni in quanto vincolanti.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’eccepita applicabilità della disciplina regolamentare comunitaria alla fattispecie in esame in quanto volta ad integrare il precetto penale e per esso la violazione dei parametri di pericolosità sottesi alla corretta conservazione degli alimenti impone talune osservazioni preliminari.

E’ certamente corretta l’affermazione del PG ricorrente in ordine alla diretta operatività all’interno della normativa applicabile al settore alimentare del cd. Pacchetto Igiene, costituito da quattro Regolamenti UE, i nn. 852, 853, 854 ed 882 del 2004 in materia di igiene e sicurezza degli alimenti che, attesa la natura comunitaria della fonte, sono, secondo quanto previsto dall’art. 189 del Trattato CE, obbligatori in tutti i loro elementi nei confronti dei destinatari, hanno portata generale e sono direttamente applicabili nel senso che non necessitano di alcun atto di recezione interna da parte degli Stati membri.

Tali regolamenti definiscono rispettivamente le norme sostanziali e le procedure di controllo in tema di sicurezza alimentare con particolare riferimento alla definizione e applicazione del sistema HACCP (un apposito protocollo nazionale di autocontrollo che permette di valutare e stimare i rischi di contaminazione ai quali sono sottoposti gli alimenti e di adottare le adeguate misure di prevenzione), disciplinando altresì i processi produttivi degli alimenti e le caratteristiche degli ambienti e dei macchinari utilizzati nei rispettivi settori. Sintetizzando l’insieme delle procedure previste l’art. 5 del regolamento CE 852/2004 stabilisce il principio che attribuisce agli operatori la responsabilità di “prevenire, eliminare o ridurre ad un livello accettabile il rischio che può presentare una contaminazione”. Secondo il citato Regolamento CE 852/2004, gli operatori del settore alimentare sono tenuti a garantire a tutela della sicurezza alimentare un controllo efficace durante tutte le fasi di trasformazione, produzione e distribuzione del prodotto, prevedendosi in particolare che la principale responsabilità per la sicurezza alimentare ricada sull’operatore, che la sicurezza vada garantita in tutta la filiera alimentare e che vada assicurata la catena del freddo per la conservazione degli alimenti che non possono essere immagazzinati a temperatura ambiente.

Pur convergendo il delineato sistema normativo nell’attribuire agli operatori la responsabilità di adottare i comportamenti idonei allo scopo di realizzare un grado accettabile di prevenzione dal rischio e di sicurezza alimentare, ciò nondimeno non appare configurabile nella condotta esaminata una significativa violazione della normativa comunitaria in materia, non potendosi farsi derivare dalle prescrizioni contenute sull’etichetta apposta sulla confezione del prodotto una specifica portata prescrittiva sulla conservazione di quanto ivi contenuto, valendo queste solo come consigli o indicazioni di massima. Il pericolo dell’alterazione non può essere ipotizzato in via automatica per effetto del solo scostamento delle temperature indicate dal produttore sulla confezione della merce alimentare, tenuto conto che nessuna prescrizione contenuta nei citati regolamenti comunitari conferisce al produttore, in relazione alla tecnologia utilizzata per la conservazione del prodotto, il potere di dettare indicazioni di contenuto precettivo nei confronti dei commercianti al dettaglio, la cui violazione si configuri perciò come una violazione di legge.

Al contrario, la regolamentazione contenuta nel Regolamento CE 853/2004 riguardante l’igiene degli alimenti ad uso zootecnico, tra cui sono compresi i prodotti ittici, puntualizza espressamente che tutte le prescrizioni ivi contenute non si applicano, salvo espressa indicazione contraria, al commercio al dettaglio (punto 5 a). A ciò deve aggiungersi che tra i prodotti della pesca freschi, specificamente contemplati dal citato Regolamento CE – ovverosia, come puntualizzato nelle definizioni di cui all’allegato 1), i prodotti della pesca non trasformati, interi o preparati, compresi i prodotti imballati sotto vuoto o in atmosfera modificata che, ai fini della conservazione, non hanno subito alcun trattamento diverso dalla refrigerazione, inteso a garantirne la conservazione che devono essere mantenuti ad una temperatura vicina a quella del ghiaccio di fusione non può essere compreso il baccalà che configura un prodotto ittico lavorato in quanto sottoposto a salagione, tecnica di per sè volta alla conservazione del prodotto. Nè può farsi riferimento alle specifiche temperature indicate per i prodotti ittici riferite alle fasi della lavorazione, del magazzinaggio e del trasporto, in quanto non applicabili alla fase di vendita al dettaglio.

D’altra parte lo stesso ricorso si limita a rinviare genericamente al corpo dei regolamenti comunitari genericamente indicati come facenti parte del Pacchetto Igiene, senza individuare quale specifico punto risulti violato.

Conclusivamente perciò nella fattispecie in esame, in difetto di un accertamento sul fatto che le modalità di conservazione fossero in concreto idonee a determinare un pericolo, deve escludersi che la modalità di conservazione utilizzata, concretizzatasi nel discostamento di 2 dalla temperatura indicata sull’etichetta del prodotto non garantisse il mantenimento delle proprietà o delle caratteristiche organolettiche dell’alimento, con conseguente insussistenza dell’eccepita violazione di legge.

Il ricorso non può pertanto trovare accoglimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.Così deciso in Roma, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2019

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi