Svolgimento del processo
Il GUP del Tribunale di Milano, con sentenza resa in esito a giudizio abbreviato, ha dichiarato la penale responsabilità di (omissis) in relazione ad una serie di delitti di violenza sessuale, affasciati dal vincolo della continuazione, da lui in ipotesi commessi, con abuso della autorità a lui derivante dal fatto di essere allenatore di una squadra giovanile di calcio, in danno di taluni ragazzi, tutti (omissis), affiliati a tale compagine e lo ha, pertanto condannato, ritenuta la ipotesi attenuata di cui all’art. 609-bis cod. pen., u.c. equivalente alle contestate aggravanti, alla pena di anni 4 di reclusione oltre alle pene accessorie.
Avendo il (omissis) proposto appello avverso la predetta sentenza, la Corte territoriale milanese, in parziale accoglimento del predetto gravame, ha ritenuto il ricorrente meritevole delle attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle ritenute aggravanti, ed ha pertanto, provveduto a rideterminare la pena nella misura di anni 3 e mesi 8 di reclusione, confermando la sentenza impugnata nel resto.
Assistito dal proprio difensore di fiducia ha interposto ricorso per cassazione avverso di essa il (omissis) articolando 5 motivi di impugnazione.
Il primo ha ad oggetto la mancanza o contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità della persona offesa (omissis); al riguardo il ricorrente premette la censura in ordine alla ritenuta invasività delle condotte poste in essere dall’imputato, posto che la stessa era stata, in sostanza esclusa dal giudice di prime cure ed invece, immotivatamente affermata, da quello del gravame; quanto specificamente alla attendibilità del predetto teste parte offesa, la Corte avrebbe, secondo il ricorrente, pretermesso le numerose incertezze evidenziabili nella narrazione di quello dando, peraltro, credito alle pregiudiziali interpretazioni colpevoliste che dell’intera vicenda sono state formulate dal giudice di primo grado, senza che si sia tenuto conto del fatto che le condotte materiali poste in essere, non negate dal (omissis), erano originate dalla necessità di ovviare a taluni malanni fisici cui il (omissis) era andato incontro.
Il secondo motivo di impugnazione attiene alla mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine al giudizio di attendibilità relativo alle dichiarazioni della persona offesa (omissis); anche in questo caso il ricorrente lamenta il fatto che il giudice del gravame abbia attribuito ampio credito alle dichiarazioni rese dal teste (omissis), sebbene non solo le stesse siano prive di riscontri, tali non potendosi ritenere quelli riportati dalla Corte milanese, ma anzi il complessivo giudizio sulle condizioni del minore, quali anche risultanti dalle dichiarazioni della stessa madre di questo, avrebbe dovuto giustificare una maggiore cautela nel giudizio di affidabilità di quanto da lui riferito.
Il terzo motivo di impugnazione, in particolare riferito alle condotte di cui ai capi di imputazione sub C) e D), attiene alla violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte nel non rilevare la assenza del requisito della offensività nelle condotte medesime, come emergerebbe anche dal fatto che le predette condotte non erano state apprezzate come invasive del bene libertà sessuale nemmeno dagli stessi soggetti passivi del reato, anche considerato che non di bambini si trattava ma di ragazzi oramai in età preadolescenziale; la Corte non avrebbe considerato che quei gesti, peraltro ritenuti abituali in un ambiente sportivo, quali gesti di incoraggiamento o di incitamento, nulla avevano sotto il profilo della connotazione sessuale.
Il quarto motivo attiene, nuovamente sotto il profilo della violazione di legge, al cattivo governo fatto dalla Corte territoriale in relazione al giudizio di comparazione fra le circostanze; in sintesi il ricorrente lamenta il fatto che la Corte abbia, per un verso, calcolato la prevalenza delle sole circostanza attenuanti generiche, confermando il giudizio di equivalenza, rispetto alle contestate aggravanti, quanto alla attenuante della minore gravità del fatto, in termini, peraltro contraddittori, posto che in alcuni punti della sentenza apparirebbe che il giudizio di prevalenza sia esteso anche alla attenuante di cui all’art. 609-bis cod. pen., u.c., e che, per altro verso, abbia limitato l’effetto della, o delle, circostanze attenuanti all’abbattimento della pena da cinque anni a quattro anni ed otto mesi.
Tale ulteriore aspetto costituisce anche l’oggetto dell’ultimo motivo di impugnazione, avendo il ricorrente censurato la motivazione della sentenza nella parte in cui l’effetto delle attenuanti è ingiustificatamente circoscritto all’abbattimento di solo 4 mesi di reclusione a fronte di una pena base pari a 5 anni.
Con atto depositato in Cancelleria in data 24 marzo 2017, la difesa dell’imputato ha insistito per l’accoglimento del ricorso, in particolare con riferimento alla ritenuta carenza del requisito della offensività nella condotta del P. quanto alle imputazione a lui ascritte sub C) e D) della rubrica.
Essendo stata chiamata una prima volta per l’udienza del 12 aprile 2017, la trattazione del presente ricorso è stata differita alla odierna udienza, a richiesta della difesa del prevenuto, stante la astensione della attività di udienza deliberata in data 17 marzo 2017 dalla Unione della Camere penali italiane.
Motivi della decisione
Il ricorso, essendo fondato nei limiti di quanto di ragione, deve, pertanto, essere accolto nei sensi che saranno infra precisati.
Con riferimento ai primi due motivi di impugnazione, si rileva che gli stessi hanno ad oggetto, sotto il profilo del vizio di motivazione, la valutazione operata dalla Corte territoriale in merito alla attendibilità dei due testi persone offese (omissis) e (omissis).
Deve premettersi come, in linea di principio, più volte questa Corte ha ribadito il principio, affermato anche dalla sue Sezioni unite penali, secondo il quale le dichiarazioni della persona offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (per tutte: Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 27 ottobre 2015, n. 43278; idem Sezioni unite penale, 24 ottobre 2012, n. 41461).
Rileva a tale proposito che il suddetto vaglio appare essere stato adeguatamente operato dai giudici del merito per ciò che attiene alle dichiarazioni rese dal teste (omissis), le quali appaiono non solo oggettivamente congrue rispetto a taluni dati indubbiamente accertati – il fatto che il prevenuto abbia eseguito dei massaggi sul giovane a causa di un disturbo, forse muscolare, che questi aveva alla schiena – ma anche caratterizzate da una loro costanza di contenuto nella varie occasioni in cui i fatti sono stati narrati, che, certamente, ne avvalora la attendibilità.
In termini di piena plausibilità la Corte di merito ha, altresì, valorizzato, onde escludere la eventualità che il (omissis) fosse animato da un qualche risentimento nei confronti dell’imputato, o comunque dall’intento di utilizzare strumentalmente le dichiarazioni fatte in danno di questo, la circostanza che la persona offesa, che pure ha riferito di morbose attenzioni che il (omissis) mostrava nei suoi confronti allorchè lo accompagnava con la propria autovettura o in alcune trasferte ovvero al campo sportivo per partecipare agli allenamenti della squadra della quale il giovane faceva parte (circostanza questa degli accompagnamenti sicuramente veridica e come tale idonea a costituire, se non un elemento di riscontro del narrato del ragazzo, certamente un dato fattuale che evidenzia l’inserimento di tale narrato in un ordito di fatti accertati), il fatto che il teste abbia escluso che, in occasione di un viaggio fatto in auto con il (omissis) sino a (omissis) per essere sottoposto ad una visita medica, egli non subì molestia alcuna; correttamente hanno osservato i giudici del merito che tali dichiarazioni, dimostrando la insussistenza di qualsivoglia volontà di aggravare gratuitamente la posizione dell’imputato, rafforzano il giudizio di credibilità relativamente alle restanti dichiarazioni accusatorie.
Diverse è, invece, il giudizio per ciò che attiene alla valutazione delle dichiarazioni della altra parte offesa (omissis).
Al riguardo va, infatti, osservato che la Corte territoriale, trascurando totalmente le stesse preoccupazioni che sul punto erano state espresse dal giudice di primo grado (il quale, significativamente, nell’evidenziare la maggiore complessità che presenta la valutazione delle dichiarazioni del ragazzino, aveva posto in luce la circostanza che il racconto reso da questo sia “infarcito da contraddizioni ed incongruenze” la cui causale è dal Tribunale ascritta alla immaturità intellettuale del (omissis)), ha, in termini quanto meno assertivi, affermato che il teste era attendibile e che quanto da lui riferito era caratterizzato dalla coerenza e linearità.
Singolarmente, poi, le due sentenze, pur dichiaratamente conformi secondo l’avviso della Corte territoriale, appaiono, invece, divergere in modo sostanziale in relazione al contenuto delle condotte che il (omissis) avrebbe avuto nei confronti del (omissis); secondo la ricostruzione operata sulla base delle dichiarazioni di quest’ultimo.
Infatti, mentre la Corte di appello parrebbe dare credito a quanto dapprima riferito dal (omissis) in relazione al fatto che il (omissis), nel corso dei massaggi, lo avrebbe attinto anche ai genitali, spiegando la successiva reticenza e negazione della circostanza in sede processuale in ragione della maturata ritrosia, dovuta al raggiungimento dell’età adolescenziale, a riportare fatti particolarmente imbarazzanti, se non traumatizzanti, il Tribunale, avendo attribuito, invece, maggior credito a quanto detto dal (omissis) in sede processuale, ritiene più attendibili tali dichiarazioni, nelle quali la manipolazione dei genitali non è stata riferita, in ragione della percezione da parte del teste della maggiore ufficialità delle sede ove tali seconde dichiarazioni erano rilasciate, tale da comportare una più spiccata attenzione da parte del profitente alla veridicità e non esagerazione di quanto dichiarato.
Nè, va segnalato, può legittimamente affermarsi che i racconti del (omissis) e del (omissis) costituiscano reciproco riscontro delle loro attendibilità; invero un tale modo di argomentare, considerato il comune nucleo ambientale frequentato dai due ragazzi e la indubbia esistenza di scambio di notizie in tale ambito, comporterebbe la piena legittimazione in sede probatoria del contagio informativo da cui potrebbero essere affette le dichiarazioni del (omissis), del quale, anche questo va rilevato, la Corte di merito ha del tutto trascurato, in tal senso evidenziandosi una ulteriore illogicità motivazionale della sentenza impugnata, la tendenza, riferita dalla stessa madre del ragazzo, a dire cose non rispondenti al vero, tanto che quanto da lui detto al fratello (omissis) in ordine agli abusi subiti poteva anche originare, sempre secondo l’avviso della madre, dalla volontà di corrispondere alle richieste del fratello ed a rendersi protagonista di fatti importanti di fronte a lui.
Del tutto inaccettabile, sul piano della congruità logica è, infine, il rilievo contenuto nella sentenza impugnata, secondo la quale costituirebbe un riscontro della attendibilità di quanto riferito dal (omissis), riscontro ritenuto, con aggettivazione quanto meno inappropriata, dalla Corte meneghina “granitico”, il fatto che uno dei compagni di squadra del ragazzo avrebbe dedotto la veridicità delle dichiarazioni, indirizzate anche a lui, della persona offesa dal fatto che, essendo il (omissis) dislessico, “quando dice le cose di solito le dice proprio sul serio”.
Rimane del tutto misteriosa la legge di copertura che legittimerebbe una siffatta deduzione, cioè che il soggetto dislessico sia persona generalmente attendibile nelle sue dichiarazioni, a tacere della singolare attribuzione di una specifica competenza in campo personologico ad uno dei giovani compagni di squadra del (omissis).
Con riferimento, pertanto, alla ritenuta responsabilità del prevenuto in relazione alla imputazione di cui al capo B) della rubrica, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che riesaminerà il profilo della attendibilità, oggettiva e soggettiva, delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa (omissis), anche alla luce della eventuale esistenza di elementi idonei a corroborare la affidabilità di quanto da lui riportato.
Il terzo motivo di impugnazione, argomentato In relazione alle imputazioni di cui a i capi C) e D) della rubrica, è infondato.
In sostanza con tale motivo di impugnazione il ricorrente rileva che, in considerazione del fatto che neppure i soggetti in rubrica indicati come parti offese avessero apprezzato la effettiva lesione della loro libertà sessuale, era quanto meno dubbio che nelle condotte del (omissis) fosse ravvisabile la necessaria offensività, indispensabile ai fini della integrazione del reato a quello contestato.
L’argomento svolto dal ricorrente non ha pregio.
Esso, infatti, parte da un presupposto logico fallace, cioè che, affinchè si determini il reato – in realtà, infatti, la tematica appare applicabile ad ogni tipologia di illecito penale – è necessario che il soggetto portatore dell’interesse leso abbia la consapevolezza dell’avvenuta lesione, posto che, laddove tale consapevolezza non vi sia la condotta non sarebbe concretamente offensiva del bene-interesse tutelato dalla norma.
Onde dimostrare, appunto, la inaccettabilità di una tale impostazione, e per rimanere nell’ambito criminologico ora in discorso, è sufficiente rilevare che non potrà certamente escludersi la rilevanza penale di una condotta consistente nel compimento di atti sessuali in danno di soggetti che – vuoi per limiti legati ad un’età estremamente infantile vuoi per limiti legati a fattori nosologici, siano essi fisici ovvero psichici – non siano in grado di apprezzare la invasività e la violenza degli atti in questione.
Così è avvenuto nel caso in questione, nel quale le giovani persone offese, chiaramente in ciò influenzate sia dal rapporto di fiducia che le legava al loro “allenatore” sia dalla ingenuità connessa alla loro età ancora preadolescenziale, in prima battuta, sebbene avessero avvertito un certo disagio derivante dai comportamenti del (omissis), non ne avevano colto la indubbia oggettiva connotazione sessuale, dimostrata anche dall’insinuante quesito che il (omissis) rivolgeva alle persone offese in merito al fatto se essi provassero o meno piacere da quanto lui faceva su di loro.
Passando, infine, a trattare il quarto motivo di impugnazione, osserva il Collegio che non è assolutamente chiaro il modo in cui la Corte territoriale milanese abbia determinato la pena da irroga re in concreto al prevenuto.
Rileva, infatti, la Corte che il giudice del gravame ha ritenuto di dovere riconoscere in favore del (omissis), in ragione del quanto meno parziale risarcimento del danno disposto dall’imputato, le circostanze attenuanti generiche, che si sono andate ad affiancare alla attenuante di cui all’artt. 609-bis cod. pen., u.c. già riconosciuta dal giudice di primo grado; va, però, precisato che, mentre il giudice di primo grado aveva ritenuto tale attenuante in regime di equivalenza con le aggravanti contestate, il giudice di appello ha applicato le attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alle predette aggravanti.
Tale decisione ha, evidentemente, comportato la definitiva elisione delle aggravanti in questione e, di conseguenza, anche la necessaria applicazione, non più in termini di mera equivalenza con le altre aggravanti ma prevalendo su di esse, anche della attenuante speciale di cui al ricordato art. 609-bis cod. pen., u.c.. Rileva a questo punto il Collegio che nel calcolo della pena di irrogare a carico del (omissis) la Corte territoriale è direttamente partita da una pena base pari ad anni 4 e mesi 8 di reclusione che deve intendersi già comprensiva delle diminuzioni derivanti dalla applicazione delle due diverse attenuanti riconosciute.
Ora, considerato che in sede di giudizio di primo grado la pena base che era servita ai fini del calcolo della pena in concreto alla quale il (omissis) era stato condannato, pena che evidentemente costituisce un limite invalicabile in pejus per il giudice del gravame, era stata determinata in 5 anni di reclusione, la determinazione della nuova pena, al di là della irregolarità della sua indicazione sintetica operata già avendo tenuto conto delle diminuzioni derivanti dalla applicazione delle due riconosciute attenuanti, nella misura di 4 anni e 8 mesi di reclusione, cioè con un complessivo abbattimento di pena pari a soli 4 mesi di reclusione (cioè una trentesima parte della pena base per ciascuna delle due circostanze attenuanti) avrebbe meritato uno sforzo motivazionale, considerata la ridottissima incidenza ai fini della determinazione della pena in concreto riconosciuta alle due circostanze attenuanti (una delle quali, essendo ad effetto speciale, avrebbe addirittura consentito una riduzione della pena base sino alla misura dei due terzi di essa), ben più intenso della mera affermazione che non vi erano gli elementi per riconoscere gli effetti delle attenuanti nella loro massima estensione.
Invero, così come la esaustività della motivazione in punto di determinazione della pena deve essere tanto più rigorosamente valutata quanto più essa si discosta dal minimo edittale per accostarsi ai massimi sanzionatori, parimenti la motivazione in ordine alla incidenza in termini di dosimetria della pena delle circostanze attenuanti deve dare in termini tanto più stringenti conto dei criteri seguiti quanto più tale incidenza sia ridotta e, quindi, affievolisca gli effetti favorevoli sul trattamento sanzionatorio dell’avvenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti, posto che diversamente tale riconoscimento potrebbe trasformarsi, con chiara eterogenesi dei fini, un una mera beffarda lustra in danno del condannato.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio pure in questa circostanza, anche il relazione alla determinazione della pena cui il (omissis) dovrà essere condannato, dovendo il giudice del rinvio, ovviamente individuato nella medesima Sezione della Corte di appello di Milano nei cui confronti è stato disposto il precedente rinvio, riformulare, anche in considerazione dell’esito del rinnovato giudizio in relazione alla imputazione di cui al capo B) della rubrica contestata al (omissis), la motivazione in ordine alla incidenza sulla pena in concreto delle due riconosciute circostanze attenuanti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla condanna di cui al capo B) ed alla determinazione della pena e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Rigetta il ricorso nel resto.
In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2018