Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 ottobre 2022, il Tribunale di Gorizia condannava Ja.Ha., riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante di cui all’art. 609-ter, comma 1, n. 5-quater, cod. pen. e alla contestata recidiva, ritenuta la continuazione, alla pena di anni sei di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli artt. 572, 61, n. 11-quinquies, cod. pen. (capo 1), 582, 585, in relazione agli artt. 576, comma 1, n. 5, e 577, comma 2, cod. pen. (capo 2), 81, comma 2, 609-bis, 609-ter, comma 1, n. 5-quater cod. pen. (capo 3). Il Tribunale applicava, inoltre, le pene accessorie di legge.
Con sentenza del 23 maggio 2024, la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza di primo grado.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste, Ja.Ha., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la difesa lamenta inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità.
In sintesi, il ricorrente, sulla premessa che il Tribunale era stato composto da due giudici togati e da un giudice onorario nella udienza del 13/06/2019, da ritenersi la più importante ai fini decisionali perché aveva avuto luogo la deposizione testimoniale della persona offesa, deduce che la composizione mista dei collegi per i più gravi reati di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., tra cui rientrava il reato di cui agli artt. 81, comma 2, 609-bis, 609-ter, comma 1, n. 5-quater cod. pen. contestato al capo 3) dell’imputazione, era causa di nullità assoluta per violazione dei limiti di capacità del giudice in base a quanto disposto dal D.Lgs. n. 116/2017, art. 12, di riordino della disciplina della magistratura onoraria.
2.2 Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la difesa lamenta carenza di motivazione relativamente al capo 1) dell’imputazione riguardante il reato di cui all’art. 572 cod. pen.
Premette la difesa che la conferma della condanna era acriticamente fondata solo su alcuni dei riscontri emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale: a) non sarebbero state adeguatamente valutate le dichiarazioni della persona offesa nella parte in cui precisavano che, allorchè ubriaco, l’imputato si buttava sul divano e lì si addormentava; b) non sarebbero state adeguatamente valutate le dichiarazioni della persona offesa nella parte in cui affermava che le aggressioni non avvenivano tanto spesso, tanto da rimettere la querela nei giorni immediatamente successivi a dette dichiarazioni; c) non sarebbero credibili le dichiarazioni della persona offesa nella parte in cui dichiarava che le aggressioni dell’imputato aumentarono, allorchè gli comunicò la volontà di separarsi nel febbraio 2016 perché la risposta che ne avrebbe avuto fu il consenso dell’uomo a concedere la separazione consensuale; d) la persona offesa non sarebbe stata vittima del rapporto, poiché anche lei insultava e aggrediva l’imputato; e) infine, sarebbero state minimizzate le dichiarazioni testimoniali rese dai testi a favore dell’imputato che non avevano mai visto l’imputato in stato di ubriachezza e che, invece, avevano visto sempre la persona offesa attaccare il ricorrente che si occupava dei figli e della casa.
2.3 Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la difesa lamenta mancanza di motivazione e/o inosservanza di norme processuali relativamente al capo 3) di imputazione per il reato previsto e punito dagli artt. 609-bis e 609-ter cod. pen.
Deduce il ricorrente la poca attendibilità di alcune delle dichiarazioni rese dalla persona offesa. Aggiunge la difesa che, all’assoluzione dell’imputato per il reato di cui all’art. 572 cod. pen., conseguirebbe l’improcedibilità per mancanza di querela del reato di cui all’art. 609-bis contestato al capo 3) della rubrica, non sussistendo prova del rispetto del termine di sei mesi entro il quale andava proposta la querela.
2.4 Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la difesa lamenta inosservanza di norme processuali relativamente al reato di cui agli artt. 582, 585, in relazione agli artt. 576, co. 1, n. 5, e 577, co. 2, e 99, co. 4 e 1, cod. pen.
Deduce la difesa omessa applicazione degli effetti di legge conseguenti all’intervenuta remissione di querela.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Occorre premettere che il divieto, non derogabile, di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi che giudicano i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. – tra cui rientra il reato di cui agli artt. 609-bis e 609-ter cod. pen. contestato al capo 3) della rubrica -introdotto dall’art. 12 D.Lgs. n. 116 del 13 luglio 2017, determina una limitazione alla “capacità” del giudice ex art. 33 cod. proc. pen., la cui violazione è causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; si tratta di una nullità insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 6, n. 35857 del 10/09/2024, R., Rv. 286975; Sez. 3, n. 39119 del 06/07/2023, M., Rv. 285112).
È stato, tuttavia, affermato che, all’interno di un’operazione ermeneutica che non sia solo ancorata alla littera legis, ma che si estenda anche al piano teleologico, che l’espletamento di un’attività di natura esclusivamente ordinatoria, comunque antecedente all’apertura del dibattimento, non consente di ritenere integrato il divieto impartito dalla norma suddetta, la cui ratio risponde alla chiara finalità di precludere a collegi non composti da giudici esclusivamente togati decisioni in ordine questioni di particolare delicatezza quali sono i provvedimenti in materia di libertà personale o di presiedere procedimenti richiedenti peculiari competenze tecniche quali si configurano quelli indicati dall’art. 407 secondo comma cod. proc. pen. Discende pertanto dalle suddette linee interpretative che l’evenienza cui è sotteso il divieto in questione non ricorre allorquando il provvedimento adottato sia privo, in quanto assunto antecedentemente ad ogni attività di natura anche solo istruttoria, di alcuna valenza decisoria sul giudizio (Sez. 3, n. 41236 del 01/10/2024, Esposito, Rv. 287168).
Questa Corte nel suo supremo consesso ha anche ormai chiarito che, a seguito del mutamento della composizione del collegio giudicante, il procedimento regredisce nella fase degli atti preliminari al dibattimento (che precede la nuova dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 cod. proc. pen.), affermando i seguenti principi:
– “il principio di immutabilità del giudice (“alla deliberazione concorrono gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento”) posto dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen. a pena di nullità assoluta, impone che quando muti la persona del giudice monocratico o la composizione del giudice collegiale il dibattimento sia integralmente rinnovato, con la ripetizione della sequenza procedimentale costituita dalla dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 492), dall’esposizione introduttiva (ora non più prevista) e dalle richieste di ammissione delle prove (art. 493), dai provvedimenti relativi all’ammissione (art. 495), dall’assunzione delle prove secondo le regole stabilite negli artt. 496 ss. cod. proc. pen.” (Sez. U, n. 2 del 15/01/1999, Iannasso, Rv. 212395);
– “il divieto di mutamento del giudice sancito dall’art. 525 cod. proc. pen. richiede che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso che ha assunto la prova ma anche quello che l’ha ammessa, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto conservano efficacia se non espressamente modificati o revocati” (Sez. U, Sentenza n. 41736 del 30/05/2019, Bajrami, Rv. 276754);
– “l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 cod. proc. pen., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa” (Sez. U, Bajrami).
Nel caso in esame, l’esame degli atti, cui la Corte può accedere in ragione della natura dell’eccezione sollevata, rivela che, sebbene una udienza istruttoria – nella quale è stata escussa la persona offesa – si sia tenuta con la presenza di un giudice onorario quale componente del Collegio, il dibattimento, per la mutata composizione del Collegio, è poi regredito alla fase degli atti preliminari ed è stato rinnovato dinanzi ad un Tribunale composto interamente da giudici togati che ha nuovamente dichiarato l’apertura del dibattimento, dato corso al processo e pronunciato, all’esito, la sentenza finale, con una composizione rimasta immutata quanto alla composizione togata. Ne consegue che nella nuova fase processuale, snodatasi dinanzi a Collegio interamente composto da magistrati togati, non è dato rinvenire – né è stata dedotta – alcuna violazione del disposto dell’art. 525 cod. proc. pen., laddove gli atti precedentemente assunti sono stati sostituiti, nella sequela procedimentale, da atti validi, dal contenuto identico, in grado di creare una soluzione di continuità fra quanto compiuto dal Collegio “incapace” e le attività che sarebbero state emesse dal nuovo Collegio, né risulta nuovamente violato il divieto di composizione del Collegio con giudici non togati secondo le previsioni del D.Lgs. n. 116/2017.
Se, invero, la ratio del divieto di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 116/2017 risponde alla finalità di precludere a Collegi non composti da giudici esclusivamente togati decisioni in ordine a questioni di particolare delicatezza, quali sono i provvedimenti in materia di libertà personale, o di presiedere procedimenti richiedenti peculiari competenze tecniche, quali quelli indicati dall’art. 407, comma 2, cod. proc. pen., non può allora essere ravvisata la violazione dell’art. 12 D.Lgs. 116/2017 cit. nel caso di specie, dal momento che nessun mutamento della composizione togata dell’organo collegiale si è verificato a partire dall’udienza del 06/02/2020 (immediatamente successiva a quella del 13/06/2019 in cui il Collegio è stato composto da un giudice onorario) nella quale è stato dichiarato aperto il dibattimento, fino all’udienza in cui è stata resa la sentenza finale, non essendo più avvenuto l’inserimento nel Collegio di giudici onorari, tanto nella fase di ammissione delle prove, quanto in quella del loro espletamento, nonché nella fase finale della decisione emessa all’esito del primo grado di giudizio.
In conclusione, deve affermarsi che l’evenienza cui è sotteso il divieto di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 116 del 2017 non ricorre allorquando, dopo l’intervento del giudice onorario nella composizione del Collegio giudicante, il dibattimento sia poi regredito alla fase degli atti preliminari e sia intervenuta la integrale sua rinnovazione dinanzi a Collegio composto interamente da giudici togati, che abbiano proceduto alla istruttoria e alla deliberazione finale, non essendo, in tal caso, configurabile un difetto di capacità dell’organo giudicante.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato perché proposto fuori dai consentiti dallo scrutinio di legittimità.
2.1 La costante giurisprudenza di questa Corte ha sempre affermato che le censure che, a dispetto del formale riferimento alla mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, si risolvano in confutazioni della valutazione, operata dai giudici di merito, del compendio probatorio acquisito in giudizio, anche sulla base di possibili letture alternative dello stesso, fuoriescono con nettezza dai limiti cognitivi assegnati per legge al giudice di legittimità, finendo per attribuire allo stesso l’improprio e non consentito ruolo di un sindacato di merito. In tal senso concorrono infatti, tra le altre, le costanti affermazioni secondo cui, anche dopo la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., introdotta dalla I. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di cassazione continua a restare quello di sola legittimità sì che seguita ad esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (tra le altre, Sez.5, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv.237652), così come quelle secondo cui sono inammissibili tutte le doglianze che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, e dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (da ultimo, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).
Deve aggiungersi che l’obbligo di motivazione del giudice dell’impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto d’impugnazione, ove il suo discorso giustificativo indichi le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostri di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera ed altri, Rv. 260841). 2.2 Ciò posto, le censure svolte dal secondo motivo di ricorso ricadono nelle inammissibilità ricordate, laddove si dolgono della mancata considerazione di elementi che, ove adeguatamente considerati, avrebbe dovuto condurre la Corte di merito ad una pronuncia liberatoria per il reato di cui all’art. 572 cod. pen., in ragione delle reticenze e delle contraddizioni emerse dalle dichiarazioni della persona offesa.
A fronte di tali rilievi finalizzati ad inquadrare i rapporti tra i coniugi in un ambito di conflittualità, con aggressioni verbali e fisiche reciproche, la sentenza ha dato logicamente conto della credibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in ordine alle violenze verbali e fisiche subite a partire dal momento in cui l’imputato aveva iniziato ad abusare di bevande alcoliche, sia perché provviste di coerenza e di logicità, sia perché riscontrate da vari elementi esterni, quali il verbale di pronto soccorso, il file audio registrato dalla persona offesa, le testimonianze della suocera, di un’amica e della vicina di casa, le quali erano state messe a parte dalla persona offesa delle condotte violente del coniuge ed avevano anche direttamente assistito ad alcuni episodi di violenza o direttamente constatato le conseguenze che sul corpo della donna provocavano le violenze inferte dall’uomo. Rileva, pertanto, il Collegio che i vizi dedotti in ricorso sono smentiti dalla lettura della pronuncia impugnata, che consente di rilevare la sussistenza di un apparato motivazionale connotato da lineare e coerente logicità in punto di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 572 cod. pen., dovendosi ricordare come nel caso di specie ricorre l’ipotesi di “doppia conforme”, rilevante ai fini del controllo di legittimità sulla motivazione, in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima, sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due pronunce possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
Inoltre, la ritenuta tipicità delle condotte aggressive e violente poste in essere dal prevenuto non viene scalfita in considerazione del vissuto conflittuale della coppia oggettivamente rappresentato anche dalla persona offesa, sia perché la conflittualità reciproca viene prospettata dalla persona offesa come conseguenza dell’abuso di bevande alcoliche da parte dell’uomo, sia perché, secondo il prevalente orientamento di legittimità, cui si intende dare continuità, il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri, dal momento che il reato di cui all’art. 572 cod. pen. non prevede il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di “compensazione” fra condotte penalmente rilevanti e reciprocamente poste in essere (Sez. 1, n. 19769 del 10/04/2024, P., Rv. 286399; Sez. 3, n. 12026 del 24/01/2020, M., Rv. 278968).
Va ricordato, infine, l’insegnamento di questa Corte secondo cui non basta prospettare una valutazione della prova diversa rispetto a quella del giudice di merito ovvero asserire l’eventuale erronea lettura di un dato fattuale per denunciare il vizio di illogicità manifesta, essendo altresì necessario spiegare perché venga a configurarsi una illogicità manifesta, ovverosia di immediata e lampante evidenza, tale da scardinare e destrutturare l’intero impianto motivazionale di riferimento (Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, M., Rv. 277091). Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è, perciò, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro, esso esige pur sempre – a pena di inammissibilità del ricorso – che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. È quindi onere del ricorrente, nel chiedere l’annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti – s’intende -delle censure di legittimità (così, in motivazione, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014).
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato perché del tutto generico nella parte in cui afferma la dubbia attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa con riferimento al delitto di violenza sessuale aggravata, evidenziando che i rapporti intimi tra imputato e parte offesa avvenivano all’insegna della trasgressività, senza un integrale confronto con gli argomenti motivazionali, non illogici, utilizzati nella sentenza impugnata. Né può porsi un problema di procedibilità del reato di cui agli artt. 609-bis, 609-ter, comma 1, n. 5-quater cod. pen. stante la connessione con il reato di cui all’art. 572 cod. pen. per il quale non è intervenuta pronuncia liberatoria.
4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato, dal momento che il reato di cui all’art. 582 cod. pen. è procedibile d’ufficio se ricorre taluna delle circostanze aggravanti di cui all’art. 585 cod. pen. – che richiama a sua volta le circostanze aggravanti di cui agli artt. 576 e 577 cod. pen. – ad eccezione delle circostanze indicate nel primo comma, n. 1), e nel secondo comma dell’art. 577 cod. pen. Nel caso in esame, oltre alla recidiva reiterata, sono state contestate e ritenute le circostanze aggravanti della qualità di coniuge del soggetto passivo (art. 577, comma 2, cod. pen.) e della commissione del reato di lesioni personali in occasione del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 576, comma 1, cod. pen.): ed è proprio quest’ultima circostanza aggravante a determinare la procedibilità d’ufficio del reato di lesioni personali aggravate contestato al capo 2) della rubrica.
5. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell’interesse del ricorrente deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente stesso, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, L. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità’ e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 e ss.mm.
Così è deciso in Roma, il 5 marzo 2025.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2025.
