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Cassazione penale sez. III, 02/04/2024, n.20351

Massima

In tema di recidiva, devono intendersi “reati della stessa indole” ex art. 101 c.p. non solo quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur se previsti da testi normativi diversi, presentano, in concreto, caratteri fondamentali comuni, in ragione della natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati. 

Supporto alla lettura

RECIDIVA

La recidiva è una circostanza aggravante prevista all’ art. 99 c.p., ai sensi del quale:

“Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.

La pena può essere aumentata fino alla metà:

1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole;

2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente;

3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.

Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l’aumento di pena è della metà.

Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi.

Se si tratta di uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l’aumento della pena per la recidiva [è obbligatorio e], nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto.

In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo“.

Si distingue:

-recidiva semplice: quando un soggetto, già condannato per un reato (un delitto non colposo) ne commette un altro.

-recidiva aggravata, che può configurarsi in tre ipotesi:

  1. recidiva specifica: quando il nuovo reato commesso è della stessa indole di quello precedente;
  2. recidiva infraquinquennale: quando il nuovo reato viene commesso entro cinque anni dalla condanna per il reato precedente;
  3. recidiva c.d. vera: quando il nuovo reato viene commesso durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.

-recidiva reiterata: il nuovo reato viene commesso da un soggetto già condannato con recidiva. Anche essa può essere sia semplice che aggravata.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa 6 giugno 2023, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Reggio Calabria che aveva dichiarato la penale responsabilità di Lo.An. per il delitto di violenza sessuale in danno di persona minore di diciotto anni, e, ritenuta la recidiva specifica, gli aveva irrogato la pena di quattordici anni di reclusione.

Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, Lo.An., in data 1 luglio 2020, avrebbe costretto la minore Do.An. a subire baci sulla labbra e penetrazione vaginale, dopo averla condotta con la propria auto in un luogo isolato, minacciata ripetutamente anche di morte, presa con forza per le braccia e per i polsi, e infine spogliata dei jeans e delle mutandine.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe Lo.An., con atto sottoscritto dall’avvocato Giuseppe Morabito, articolando quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta affidabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, decisiva fonte di prova a carico.

Si deduce, innanzitutto, che erroneamente sono state valorizzate, a conferma dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, le deposizioni del perito del giudice, incaricato di assistere all’incidente probatorio, e del consulente tecnico del pubblico ministero, cui era stato il compito di esaminare la capacità a deporre della persona offesa, sebbene le stesse non possano essere risolutive, la prima perché si limita ad attestare la regolarità dell’incidente probatorio, la seconda perché dà conto semplicemente di una situazione di turbamento emotivo, suscettibile di molteplici spiegazioni.

Si deduce, poi, che la sentenza impugnata ha omesso di confrontarsi con le incongruenze del racconto della persona offesa, puntualmente denunciate nell’atto di appello, in quanto ha semplicemente asserito la “marginalità” delle discrasie, senza null’altro aggiungere.

Si segnala, in particolare, che, come già indicato nell’atto di appello, la vittima, mentre in sede di denuncia aveva detto di conoscere a mala pena l’imputato, rendendo dichiarazioni al Pubblico Ministero aveva cambiato versione, e ammesso di avere un rapporto di frequentazione con lo stesso. Si osserva che questo “aggiustamento” e l’originario mendacio, spiegato con il timore di non essere altrimenti creduta, avrebbero dovuto essere messi in relazione con le perplessità espresse dalla sorella della vittima, la quale, in considerazione degli atteggiamenti disinibiti da questa più volte tenuti, ad esempio nei rapporti con il “fidanzatino”, e delle fughe da casa della stessa, ha affermato di aver temuto che il racconto della violenza fosse una grossa bugia per giustificare il mancato rientro a casa in quei primi giorni del luglio 2020. Si rappresenta, quindi, che anche altri testimoni hanno riferito la tendenza della vittima a dire bugie a scuola ed agli amici, e che, proprio per questa ragione, il teste Ba.An., il quale aveva ospitato la minore subito dopo il fatto, il 2 e il 3 luglio 2020, ha affermato di aver ritenuto bugie le confidenze in quel momento ricevute in ordine alla violenza; si aggiunge che, secondo il teste Ba.An., e la di lui madre, la persona offesa, a casa loro, in quei giorni, aveva manifestato tranquillità e spensieratezza.

Si rileva, poi, che il racconto della persona offesa è intrinsecamente contraddittorio ed inverosimile, quando riferisce del momento centrale della vicenda: la minore afferma di essere stata presa per il braccio da parte dell’imputato e trascinata verso la panchina dove era stata costretta a distendersi, e però poi ammette di essersi seduta sulla panchina con l’imputato per consumare alcune vivande.

Si evidenzia, ancora, che perplessità emergono con riguardo alle affermazioni della ragazza di essere stata costretta a rimanere nell’autovettura in cui l’imputato l’aveva trasportata per la presenza di una chiusura con un “sistema a doppia sicurezza”, quando i due erano giunti in prossimità di una pizzeria, dove avevano comprato delle vivande, in quanto l’autovettura in questione non era munita di tale tipo di sistema; si aggiunge che gli investigatori hanno omesso di acquisire le immagini delle telecamere presenti sul luogo per verificare se effettivamente in quel momento la minore fosse rimasta in auto o fosse scesa in strada.

Si espone, infine, che nessuno degli amici incontrati dalla persona offesa ha detto di aver notato ecchimosi al collo, escoriazioni o ematomi, quali quelli implicati dalle modalità con le quali era stata realizzata la violenza sessuale.

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta affidabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in considerazione degli accertamenti medico-legali e biologici.

Si deduce che il medico legale: a) non ha escluso una violenza sessuale, ma di certo non la ha ritenuta accertata; b) non ha escluso la riconducibilità delle perdite ematiche subite dalla ragazza al ciclo mestruale, ma ha semplicemente preso atto delle dichiarazioni della stessa, la quale aveva detto di avere avuto il ciclo alcuni giorni prima, ed ha inoltre rilevato l’assenza di alterazioni o disturbi incidenti sullo stesso. Si osserva, poi, che appare illogico il collegamento tra la violenza sessuale e le difficoltà di deambulazione della minore riscontrate il 5 luglio, posto che la stessa non ha avuto analoghe difficoltà nei giorni precedenti, come si desume dalle dichiarazioni del teste Ba.An.. Si evidenzia, quindi, che gli accertamenti biologici non hanno consentito di rinvenire sugli indumenti della persona offesa tracce di liquido seminale dell’imputato e che le tracce di DNA rinvenute possono essere spiegate in molti modi, ad esempio perché lasciate da sudore o da formazioni pilifere.

2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 99, secondo comma, n. 1, cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza della recidiva specifica. ,

Si deduce che illegittimamente il reato in contestazione è stato ritenuto della stessa indole di quello di tentato omicidio di cui alla precedente condanna. Si osserva che la stessa indole non può essere desunta dal fatto che entrambi i reati sono reati contro la persona, o sono stati commessi nella stessa area geografica. Né è significativo che la violenza sessuale sia stata commessa a soli diciotto mesi dalla fine dell’espiazione della pena per il tentato omicidio.

2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla determinazione della pena.

Si deduce che la pena irrogata, pari a quattordici anni di reclusione, è sproporzionata e contrastante con la finalità di rieducazione che deve perseguire a norma dell’art. 27, terzo comma, Cost.

3. Con memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale della Corte di cassazione, il difensore de! ricorrente ha riproposto le osservazioni formulate nei quattro motivi del ricorso.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.

2. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità, o comunque manifestamente infondate, sono le censure esposte nei primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente perché strettamente connesse, in quanto entrambe relative al giudizio sull’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, ritenuto viziato perché avrebbe minimizzato le rilevanti incongruenze ed inverosimiglianze del racconto della stessa, da valutare anche alla luce delle condotte pregresse e successive della medesima, e perché avrebbe valorizzato come riscontri elementi equivoci e privi di concreta efficacia indiziante.

2.1. Ai fini dell’esame delle censure indicate, è utile dare indicazione dei criteri metodologici cui il Collegio deve attenersi, in considerazione della consolidata e condivisa elaborazione della giurisprudenza in materia.

Innanzitutto, va evidenziato che, in tema di valutazione della prova testimoniale, la valutazione dell’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accìdit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (cfr., tra le tantissime, Sez. 4, 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01, e Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575-01, ma anche Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623-01).

Va poi aggiunto che, ai fini dell’affermazione di responsabilità penale, le dichiarazioni della persona offesa non debbono essere corroborate da riscontri estrinseci, essendo sufficiente una approfondita verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (cfr., per tutte, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214-01, e Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558-01).

Ancora, va rilevato che, come ulteriormente precisato da una decisione, qualora risulti “opportuna” l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S. Rv. 275312-01).

2.2. La sentenza impugnata ha ricostruito i fatti ascritti all’attuale ricorrente, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili all’esito di un dettagliato esame delle censure formulate negli atti di appello, ed in linea con le articolate osservazioni esposte nella sentenza di primo grado.

2.2.1. La sentenza impugnata, innanzitutto, riporta in modo analitico il contenuto delle dichiarazioni, estremamente dettagliate, della persona offesa, in ordine al fatto e delle vicende immediatamente successive fino alla presentazione della denuncia alle autorità di polizia.

In sintesi, secondo quanto esposto dalla Corte d’appello, la persona offesa, all’epoca dei fatti quindicenne, ha premesso di aver conosciuto l’imputato in occasione della festa per il compleanno di una sua amica, di averlo incontrato altre due o tre volte, e di aver avuto, con lo stesso, scambi di messaggi, alcuni dei quali di contenuto allusivo.

La dichiarante ha poi raccontato, con riferimento a quanto accaduto il giorno 1 luglio 2020, che: a) nel pomeriggio, ella aveva chiamato telefonicamente l’imputato per chiedergli in prestito ottanta euro al fine di comprare un cellulare, aveva informato di ciò la sorella alla quale era affidata e con la quale conviveva, ne era stata rimproverata ed aveva ricevuto da questa la somma di quaranta euro; b) ricevuto il denaro, ella era uscita di casa per comprare un costume da bagno ed aveva contattato l’imputato, il quale, dopo averla raggiunta, aveva insistito per pagare quanto da lei acquistato e l’aveva poi portata presso un bar dove entrambi avevano consumato qualche alimento; c) intorno alle 20,00, l’imputato, da lei richiesto di accompagnarla a casa, l’aveva fatta salire sulla sua auto, durante il viaggio le aveva chiesto un bacio, ricevendone un rifiuto, e poi aveva preso una strada isolata, dove si era fermato, adducendo il surriscaldamento della batteria, aveva stretto al collo la ragazza e le aveva detto che, se non avesse fatto quanto lui voleva, l’avrebbe uccisa o comunque non le avrebbe fatto più rivedere la famiglia, provocando in lei grida e pianti; d) subito dopo, l’imputato era ripartito ed aveva condotto la ragazza in un altro luogo isolato, e, poi, di fronte alla nuova crisi di pianto della stessa, aveva ribadito l’inutilità di quei lamenti, in quanto non sarebbero stati uditi da alcuno, aveva aggiunto di non sapere se ucciderla, o non riportarla a casa, o di “farsi la galera”, e le aveva chiesto un rapporto orale; e) subito dopo, l’auto con a bordo i due giovani era ripartita e, intorno alle 21,30, aveva raggiunto un bar pizzeria, dove l’uomo, chiusa l’auto a chiave e intimato a lei di non scendere dalla vettura, aveva comprato cibi e bevande; f) effettuato l’acquisto, l’imputato si era rimesso alla guida del veicolo, dicendo di non sapere se l’avrebbe riportata a casa, ed aveva raggiunto un luogo isolato, dove aveva fermato l’auto, e, poi, insieme con lei, a piedi, aveva raggiunto un spiazzo, nel quale c’era anche una panchina; g) in quel frangente, l’imputato aveva iniziato a bere birra e ad abbracciarla, e poi, nonostante le sue proteste, le sue grida ed i suoi pianti, profferendo bestemmie, l’aveva afferrata per i polsi, trascinata verso la panchina, dove l’aveva distesa, e, quindi, ponendosi sopra di lei, l’aveva costretta a subire un rapporto sessuale completo; h) ella, mentre si era rivestita, si era sentita bagnata e, chiesto all’imputato di farle luce con il cellulare, aveva notato di avere perdite di sangue; i) l’uomo, a quella vista, aveva deciso di accompagnarla a casa dei suoi nonni; I) ella, prima di partire, di nascosto, aveva lasciato gli slip presso la panchina, per lasciare una prova della violenza subita.

La persona offesa, con riguardo al successivo svolgimento dei fatti, ha dichiarato che: a) giunti a casa dei nonni dell’imputato, la nonna, informata dal nipote delle sue perdite di sangue, le aveva dato una pillola per l’emorragia e dei pannoloni; b) subito dopo, l’uomo si era addormentato, mentre lei era rimasto un poco sul balcone piangendo; c) la mattina seguente, dapprima era stata invitata dalla nonna dell’imputato a raccontare a casa di essere stata da un’amica per non rovinare il nipote, e, poi, approfittando del sonno di questi, aveva prelevato il cellulare del medesimo, lo aveva sbloccato ed era entrata nel proprio profilo Instagram, attraverso il quale aveva informato due amiche di quanto aveva subito; d) poco dopo, l’imputato, svegliatosi, su sua richiesta, aveva acconsentito ad accompagnarla presso un bar dove avrebbe incontrato delle amiche, per poi poter riferire alla sorella di aver domito a casa di queste; e) ella, prima di partire, aveva lasciato dietro la lavatrice della casa in cui aveva trascorso la notte un fazzoletto intriso del proprio sangue; f) raggiunti alcuni compagni scuola, ella era scesa dall’auto dell’imputato ed aveva preso un autobus, sul quale aveva incontrato il cognato, a cui aveva consegnato una busta contenente jeans e maglietta indossati al momento dello stupro; g) ella, tuttavia, non era tornata a casa, temendo di non essere creduta dalla sorella e dal cognato, per i suoi precedenti allontanamenti, ma si era recata presso alcuni amici, ed aveva trovato ospitalità presso Ba.An., al quale aveva confidato le violenze subite, ed a casa del quale era rimasta per due giorni; h) la mattina del 4 luglio, però, l’amico, vedendo vari post sui social network denuncianti la di lei scomparsa, l’aveva convinta a rientrare a casa; i) ella, però, preso l’autobus, aveva deciso di recarsi a presentare denuncia alla polizia, e, durante il viaggio, aveva incontrato un’amica, alla quale inizialmente non aveva raccontato nulla, salvo poi confidarsi alla discesa dall’autobus, per farsi accompagnare dalla stessa, siccome maggiorenne, presso la polizia; I) nell’immediato prosieguo, ella, con questa giovane ed un’altra amica incontrata per strada, si era recata in Questura dove aveva presentato denuncia.

2.2.2. La sentenza impugnata, dopo aver riportato il contenuto delle altre fonti di prova acquisite, tra cui le dichiarazioni dell’imputato, indica le ragioni per le quali ritiene attendibili le dichiarazioni della persona offesa.

In particolare, la Corte d’appello rappresenta che il racconto è estremamente preciso e dettagliato, è intrinsecamente coerente ed è avvalorato dal contegno tenuto nel corso della deposizione resa nell’incidente probatorio, oggetto di visione diretta in dibattimento, siccome indicativo di genuina e profonda sofferenza, e caratterizzato da cambio di voce, vergogna, inibizione, prolungati silenzi e copiose lacrime. Segnala, poi, che il perito nominato dal giudice ha affermato la piena capacità a testimoniare della vittima, e che il consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero ha confermato l’esistenza di elementi chiaramente sintomatici di un trauma subito e non elaborato.

Il Giudice di secondo grado, inoltre, evidenzia come la scelta della persona offesa di presentare denuncia sia stata sofferta e ponderata, per il timore non solo delle minacce dell’imputato, ma anche dei rimproveri della sorella cui era stata affidata dalla madre, stante la problematicità dei loro rapporti. Segnala, in proposito, che la vittima decise di confidarsi da subito, e nei limiti consentiti dal controllo cui era sottoposta da parte dell’imputato, con due amiche, precisamente indicate, tramite Instagram, e poi, quando era ormai lontana dal medesimo, con l’amico Ba.An., il quale l’aveva ospitata per due giorni. Aggiunge, ancora, che l’atteggiamento timoroso e diffidente della vittima è emerso anche in occasione della presentazione della denuncia in Questura, come indicato dalla consulente tecnica del Pubblico Ministero. Conclude che tali circostanze escludono anche qualunque intento calunnioso.

La Corte distrettuale, poi, espone che il racconto della persona offesa ha trovato conferma in numerosi dati oggettivi. In particolare, segnala che: a) il percorso effettuato con l’auto è stato riscontrato da immagini riprese dalle telecamere in più luoghi indicati e negli orari riferiti; b) sulla panchina segnalata come luogo della violenza sono state trovate tracce di sangue, e nelle immediate vicinanze della stessa sono stati rinvenuti gli slip della minore e due bottiglie di birra; c) nella stanza da letto dell’imputato, sono stati trovati pannoloni intrisi di sangue e tracce ematiche; d) il pernottamento a casa dei nonni dell’imputato è stato confermato dalla nonna dello stesso.

La sentenza impugnata, quindi, rappresenta che le aporie e discordanze delle dichiarazioni della vittima sono “minime”. Precisa, innanzitutto, che il silenzio della persona offesa, in occasione della denuncia, sul fatto di aver richiesto denaro all’imputato e di aver accettato il pagamento dei suoi indumenti è spiegabile con il timore di rimproveri, da parte della sorella, per essersi accompagnata ad un adulto: questo timore non solo era coerente con la conflittualità dei rapporti tra le due, dimostrati anche dalle conversazioni intercettate sull’utenza della sorella, ma era giustificato sia dai plurimi allontanamenti della ragazza da casa, sia dai ripetuti contatti telefonici con uomini adulti, e dallo scambio di fotografie in pose intime con l’ex-fidanzato, fatti entrambi “scoperti” dalla parente. Osserva, poi, che il racconto delle modalità dello stupro è rimasto immutato, ed è coerentemente costituito, in successione, dai primi approcci dell’imputato, dal netto rifiuto della vittima, dalla violenta reazione verbale dell’imputato, dalle spinte della ragazza per allontanarlo, e poi dall’azione violenta dell’uomo costituita dalla presa per un braccio e dalla coazione a distendersi sulla panchina. Espone, quindi, che la vittima ha affermato di essere rimasta nell’autovettura quando l’imputato era sceso per entrare in un bar pizzeria e comprare delle vivande perché lo stesso le aveva detto di fare la brava, e non ha mai riferito di aver tentato di aprire la portiera. Evidenzia, ancora, che il diniego della ragazza di aver già avuto in precedenza rapporti sessuali, sebbene smentito dagli accertamenti medici compiuti, lungi dallo screditare il suo racconto, “denota come la stessa non avrebbe disvelato particolari della propria vita intima qualora avesse intrattenuto un rapporto consensuale, trovando, di contro, il coraggio e la forza di raccontare unicamente per denunciare l’atrocità dell’abuso sessuale subito”.

La Corte d’appello, ancora, sottolinea che gli accertamenti medici e biologici non smentiscono, ma anzi confermano il racconto della persona offesa.

Quanto agli accertamenti e profili medici, segnala, in particolare, che: a) le perdite dì sangue non possono essere spiegate come il risultato del flusso mestruale, perché, come confermato dagli accertamenti specialistici effettuati, questo era regolare, e la sua datazione era coerente con quanto riferito dalla minore; b) l’assenza di tracce della violenza sessuale sono spiegabili in quanto la ragazza, come indicato negli accertamenti specialistici effettuati, presentava una vagina tipica di donna che aveva già avuto rapporti sessuali; c) l’assenza di segni esteriori sul corpo della vittima sono compatibili con la maggiore prestanza fisica dell’imputato, la quale rendeva non necessario l’esercizio di una particolare forza per consumare la violenza; d) le difficoltà di deambulazione della persona offesa, ed i forti dolori addominali avvertiti dalla stessa, sono circostanze confermate dalle conversazioni intercettate sull’utenza della sorella.

Quanto agli accertamenti biologici, rimarca che il profilo genetico dell’imputato è stato rinvenuto nei jeans della vittima, e ciò smentisce il racconto dell’uomo, secondo cui, nelle tante ore trascorse insieme, c”erano stati effusioni, baci e carezze consensuali, ma non approcci più intimi. Aggiunge che l’assenza di tracce di liquido seminale sui reperti “può al più eventualmente collegarsi all’assenza di eiaculazione”.

2.3. Le conclusioni della sentenza impugnata in ordine al giudizio di attendibilità del racconto della minore in ordine alla violenza denunciata sono immuni da vizi.

La Corte d’appello, infatti, ha spiegato perché ritiene che le stesse siano intrinsecamente attendibili e pienamente coerenti con le altre risultanze istruttorie, sulla base di elementi precisi e congrui rispetto alle conclusioni raggiunte, rispondendo inoltre in modo analitico, e con argomentazioni corrette, a tutte le deduzioni formulate dalla difesa dell’imputato.

3. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel terzo motivo di ricorso, che contestano l’applicazione della recidiva specifica, deducendo che il reato di violenza sessuale per cui si procede non può essere ritenuto della stessa indole di quello di tentato omicidio, oggetto di precedente condanna.

3.1. In forza della disposizione di cui all’art. 101 cod. pen., per “reati della stessa indole”, devono intendersi non solo quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, presentano nei casi concreti – per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati – caratteri fondamentali comuni (così, tra le tantissime, Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Assisi, Rv. 278166-06, e Sez. 6, n. 15439 del 17/03/2016, C., Rv. 266545-01).

In giurisprudenza, si è espressamente precisato che la “stessa indole” prescinde dall’identità del bene giuridico protetto dalle diverse disposizioni incriminatrici violate e sulla cui base di applica la recidiva (Sez. 2, n. 40105 del 21/10/2010, Apostolico, Rv. 248774-01). E, in questa prospettiva, si è affermato, ad esempio, che, ai fini della recidiva specifica, il reato di resistenza a pubblico ufficiale, siccome connotato da violenza o minaccia alla persona, presenta caratteri fondamentali comuni rispetto ai reati di detenzione e porto abusivo di arma comune da sparo, che pure sono indicativi dell’intenzione di recare offesa alla persona (Sez. 1, n. 3435 del 08/07/1994, Capitale, Rv. 199863-01).

Si è inoltre osservato che più reati possono considerarsi omogenei per comunanza di caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali si sono realizzati, quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni presentino aspetti che rendano evidente l’inclinazione verso un’identica tipologia criminosa, ovvero quando le modalità di esecuzione, gli espedienti adottati o le modalità di aggressione dell’altrui diritto rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa e che, per l’individuazione e per l’esclusione dei caratteri anzidetti è necessaria una specifica indagine rimessa alla valutazione discrezionale del giudice e non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (così Sez. 3, n. 11954 del 16/12/2010, dep. 2011, L., Rv. 249744-01, e Sez. 3, n. 3362 del 04/10/1996, Barrese, Rv. 206531-01).

3.2. La sentenza impugnata ritiene che il reato di violenza sessuale per il quale ha confermato la decisione di condanna sia della stessa indole del reato di tentato omicidio commesso dall’imputato in danno di minore infraquattordicenne, accertato dal Tribunale dei Minorenni con sentenza irrevocabile.

La Corte d’appello, in particolare, a fondamento di tale conclusione, osserva che i due reati sono entrambi contro la persona, e sono stati entrambi commessi in danno di una persona adolescente, con modalità violente, e nella medesima area territoriale isolata, ben conosciuta dall’imputato e idonea a ridurre al minimo la possibilità di interferenze di terzi e di reazione delle vittime. Aggiunge che il secondo reato, quello di violenza sessuale, è stato commesso dall’imputato solo diciotto mesi dopo l’espiazione della precedente condanna, così da evidenziare una continuità di condotte illecite ed una proclività delinquenziale espressa attraverso la medesima tecnica delittuosa. Precisa che il precedente reato di tentato omicidio aveva lasciato la vittima quasi in fin di vita, con il volto totalmente tumefatto nella parte destra con fuoriuscita di sostanza ematica ed escoriazioni ed ematomi sul resto del corpo, determinandone uno stato di coma protrattosi per due settimane.

3.3. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.

Il reato oggetto della sentenza impugnata e quello per il quale è già stata pronunciata sentenza irrevocabile legittimamente possono ritenersi, per come ricostruiti dalla Corte d’appello, presentare “caratteri fondamentali comuni”, quanto meno “per la natura dei fatti che li costituiscono”.

Precisamente, le modalità di esecuzione, gli espedienti adottati e le modalità di aggressione rivelano, con riguardo ad entrambi i reati, una propensione verso la medesima tecnica delittuosa. I due fatti di reato, inoltre, consistono entrambi in condotte di aggressione fisica in danno di una persona.

Inoltre, va considerato che il delitto di violenza sessuale è di poco successivo alla espiazione della pena per il precedente reato di tentato omicidio, e, anzi, l’imputato, più volte ha dimostrato assolta indifferenza e piena consapevolezza in ordine alle conseguenze delle sue azioni, terrorizzando la vittima con l’affermazione di non sapere se ucciderla, non riportarla a casa, o “farsi la galera”.

4. Del tutto prive di specificità sono le censure enunciate nel quarto motivo, che contestano l’entità della pena irrogata, ritenuta del tutto sproporzionata ed in contrasto con la finalità di rieducazione spettante alla stessa.

Invero, la sentenza impugnata, in modo pienamente corretto, ha motivato la scelta di applicare sia una pena base di poco superiore al minimo edittale, sia un aumento nel massimo per la recidiva, facendo riferimento alla gravità dei fatti in contestazione, alla gravità e specificità del precedente, ed alla vicinanza tra la fine dell’espiazione della pena per il pregresso reato e la commissione dei nuovo delitto. Né è allegata, o rilevabile, l’omessa considerazione di elementi favorevoli all’imputato.

5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Nessuna valutazione, poi, può essere espressa in ordine alla richiesta del difensore del ricorrente di liquidazione delle sue spettanze per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, trattandosi di questione estranea alle competenze della Corte di cassazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso il 02 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2024.

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