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Cassazione penale sez. II, 30/01/2025, n.6798

Massima

Il delitto di appropriazione indebita, avendo natura istantanea, si perfeziona con la prima condotta appropriativa e, quindi, nel momento in cui il soggetto agente compie un atto di dominio sulla cosa altrui, con la volontà, espressa o implicita, di tenerla come propria, sicché è irrilevante a tal fine, oltre che per individuare la data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza di tale comportamento illecito. (Fattispecie relativa a un contratto di noleggio di attrezzature della durata di cinque anni, in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione che aveva individuato il momento dell’interversione consapevole del possesso in quello della mancata restituzione della “res” alla data di scadenza).

 

Supporto alla lettura

APPROPRIAZIONE INDEBITA 

Il reato di appropriazione indebita è previsto e punito dall’ art. 646 c.p., secondo il quale:

“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata”

Il reato in esame colpisce tanto il diritto di proprietà quanto il rapporto fiduciario tra proprietario e soggetto su cui grava l’obbligo di restituire la cosa posseduta. Presupposto del reato in esame è il possesso del bene: chi commette il reato deve trovarsi cioè già in possesso del denaro o della cosa mobile. L’aggravio di pena di cui al secondo comma è giustificato dal fatto che il deposito non è frutto di una libera scelta ma è determinato da una situazione eccezionale e non prevista.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Potenza, con sentenza del 08/05/2024, ha confermato la sentenza del Tribunale di Potenza del 09/04/2021 con la quale Ro.An. è stato condannato alla pena di giustizia per il delitto allo stesso ascritto (art. 646 cod. pen.).

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, Ro.An. con motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge e vizio della motivazione perché manifestamente illogica in relazione alla improcedibilità della azione penale per difetto di querela; la Corte di appello ha ritenuto la querela validamente presentata da Pi.Ro., nonostante il contratto di noleggio delle attrezzature fosse intervenuto con Pi.Da., che era l’unico soggetto legittimato ad ottenere la restituzione. Pi.Da. è stato sentito come persona presente al momento della querela ed ha anche sottoscritto tale atto, che tuttavia risulta proposto dal padre Pi.Ro.; doveva essere rilevata la mancanza di valida querela.

2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al mancato rilievo dell’estinzione del delitto contestato per intervenuta prescrizione; la difesa ha richiamato la natura istantanea del delitto di appropriazione indebita e la decorrenza del termine di prescrizione dalla data del 01/02/2015, atteso che il contratto di noleggio della attrezzatura aveva la durata di giorni cinque e sarebbe dovuto scadere il 31/01/2015. Al fine di individuare compiutamente il termine di prescrizione, la difesa ha evidenziato non solo che la recidiva non era stata né ritenuta ricorrente, né applicata nell’ambito del trattamento sanzionatorio (come emergeva dalla motivazione della sentenza), ma ha anche richiamato i diversi rinvii e la sospensione della prescrizione per mesi diciassette e giorni quindici, individuando l’intervenuto decorso del termine di prescrizione in data 16/01/2024 e, dunque, antecedentemente alla data della sentenza di appello (08/05/2024). L’intervenuto decorso del termine di prescrizione era stato comunque eccepito con note di trattazione scritta e la Corte di appello aveva omesso qualsiasi considerazione sul punto.

3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga rigettato.

4. La difesa ha presentato tempestivamente memoria, con la quale ha contestato le conclusioni del Procuratore generale, sottolineando ulteriormente come la prescrizione fosse stata eccepita con le note scritte, neanche citate dalla Corte di appello, che sul punto aveva omesso di motivare.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi non consentiti, generici, oltre che manifestamente infondati.

2. In via preliminare si deve rilevare come il primo motivo di ricorso non sia consentito, in quanto totalmente reiterativo in mancanza di confronto con la motivazione della Corte di appello, che ha ampiamente argomentato, in assenza di qualsiasi illogicità od aporia, in ordine alla tempestiva presentazione della querela (pag. 3 e segg. dove si è valorizzata la giurisprudenza in tema di poteri di rappresentanza al fine della presentazione della querela da parte di una società a responsabilità limitata). Il ricorrente non si confronta effettivamente con la motivazione sul punto resa dalla Corte di appello, limitandosi a reiterare le argomentazioni poste con il motivo di appello. Il motivo in conclusione non è consentito perché totalmente reiterativo del motivo di gravame sul tema (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01) e si caratterizza altresì per evidente genericità in mancanza di confronto con le argomentazioni spese sul punto dal giudice di secondo grado (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutatour, Rv. 277710-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568-01; Sez. 4, n.18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849-01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Rv. 236945-01).

3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico, non avendo precisamente allegato gli elementi a supporto della doglianza.

In tal senso, correttamente, la difesa ha richiamato il principio affermato da questa Corte, che qui si intende ribadire, secondo il quale il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione (Sez. 2, n. 15735 del 14/02/2020, Francini, Rv. 279225-01).

Tuttavia, tenuto conto delle caratteristiche del contratto concluso tra le parti, della data prevista per la restituzione, mai avvenuta e indicativa della interversione consapevole del possesso, il ricorrente con le proprie allegazioni non ha compiutamente considerato gli effetti delle diverse sospensioni del termine di prescrizione intervenute durante il giudizio, la cui durata complessiva è stata pari ad anni uno, mesi dieci e giorni ventotto (come riscontrabile dagli atti presenti al fascicolo ed in particolare dai verbali di udienza), sicché il termine di prescrizione poteva ritenersi maturato solo alla data del 28/10/2024, successiva rispetto alla decisione della Corte di appello intervenuta – come detto – in data 08/05/2024. In particolare, la difesa non ha tenuto conto dei rinvii concessi a titolo di cortesia su richiesta del ricorrente (erroneamente definiti dalla verbalizzazione come termini a difesa), rispetto ai quali il Pubblico ministero ha espresso consenso solo a condizione della contestuale sospensione del termine di prescrizione, condizione in relazione alla quale nessuna opposizione è stata formulata in udienza dal difensore del ricorrente.

Il procedimento è dunque rimasto sospeso dal 28/04/2017 al 10/11/2017 (gg. 196), dal 10/11/2017 al 14/09/2018 (gg. 308) e dal 14/09/2018 al 21/03/2019 (gg. 189), per complessivi gg. 693.

Sul tema questa Corte ha ripetutamente riconosciuto, con principio che qui si intende ribadire, che il rinvio del processo disposto su richiesta del difensore dell’imputato comporta la sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 159, comma primo, n. 3) cod. pen. indipendentemente dall’accordo o dall’opposizione o meno del Pubblico ministero o della parte civile (Sez. 4, n. 20395 del 27/04/2021, Irallo, Rv. 281243-01; Sez. 6, n. 37953 del 13/07/2018, G., Rv. 273837-01; Sez. 6, n. 51912 del 17/10/2017, Pizzolante, Rv. 271561-01), per l’intera durata del rinvio, a prescindere dalle ragioni poste a fondamento della richiesta (Sez. 7, n. 8124 del 25/01/2016, Nascio, Rv. 266469-01).

Fermo quanto precede, è bene chiarire come nel caso in esame non si trattasse in alcun modo (come emerge dalla situazione delle parti richiamata nel verbale di udienza) di un rinvio per concedere un termine a difesa, nel senso emergente dalla relativa disciplina ai sensi dell’art. 108 cod. proc. pen. da leggere in senso tassativo, con specifico riferimento ai casi ivi evidenziati, ovvero la ricorrenza di rinuncia, revoca, incompatibilità o abbandono della difesa, certamente non ricorrenti, né attestate in alcun modo, nel caso in esame, quanto ai primi due rinvii concessi su richiesta della difesa senza alcuna specificazione in tal senso. Anche il terzo ed ultimo rinvio, richiesto al fine di valutare l’eventuale accesso ad un rito alternativo, non può in alcun modo essere considerato un termine a difesa, atteso che la richiesta di differimento non appare in alcun modo funzionale a consentire al difensore di prendere completa cognizione degli atti e garantire un pieno e consapevole esercizio della difesa tecnica ai sensi del predetto articolo 108 (Sez. 2, n. 33336 del 09/05/2023, Fiasché, Rv. 285003-01) per le cause ivi previste.

4. Deve poi essere rilevata la manifesta infondatezza della censura relativa alla ricorrenza di un vizio della motivazione perché omessa quanto alla eccepita decorrenza del termine di prescrizione con note conclusive depositate nel giudizio di appello, per come nuovamente sottolineato dalla difesa, anche in questa sede, con la memoria del 20/01/2025. Invero, la mera lettura delle note di trattazione scritta in appello evidenzia, come la deduzione di caratterizzasse per assoluta genericità e per la sua natura di richiesta a carattere meramente esplorativo, inserita senza alcuna considerazione, nelle note predette nel ribadire i motivi di appello già proposti (non incentrati in alcun modo sul decorso del termine di prescrizione).

L’allegazione era, dunque, totalmente generica in quella sede, assumeva un carattere meramente esplorativo e non rappresentava, neanche nella sua formulazione letterale, uno scrutinabile motivo di appello.

5. L’inammissibilità del ricorso per cassazione, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., nella specie la prescrizione maturata medio tempore, ossia dopo la pronuncia della sentenza di appello (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266, in fattispecie analoga; conformi, Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239400).

6. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così è deciso in Roma il 30 gennaio 2025.

Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2025.

Allegati

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