2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, (omissis), che ha dedotto un unico motivo di ricorso che qui si riporta nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. La difesa – dopo avere richiamato la posizione della ricorrente in ordine al capo T2 (alla stessa originariamente contestato in via provvisoria, ma per il quale non era stato disposto il rinvio a giudizio essendo intervenuta archiviazione) ed aver elencato le diverse azioni intraprese, anche in sede esecutiva, per giungere alla revoca della confisca dei beni disposta ex art. 416-bis, comma settimo, cod. pen. nei confronti del marito, che involgeva anche ai beni di cui al capo T2 – ha dedotto la ricorrenza di violazione di legge e la violazione di norme processuali in relazione all’art. 111 e art. 6 Conv. EDU per non avere la Corte di appello preso in considerazione il decreto di archiviazione relativo al capo T2 (in relazione al quale era stato originariamente disposto il sequestro di beni alla stessa riferibili) di cui era venuta a conoscenza solo in data 20/07/2023.
La ricorrente non si confronta con la chiara motivazione della Corte di appello, che ha evidenziato come, in relazione al caso in esame, non ricorrano i requisiti per giungere ad una valutazione della istanza di revisione, atteso che la (omissis) si presenta come terza estranea al giudizio del quale chiede la revisione. E, dunque, non potrebbe ottenere quello che è l’effetto tipico del giudizio di revisione sulla base della effettiva presenza di prove nuove, ovvero il proscioglimento dell’istante. La (omissis), sulla base di generiche allegazioni riportate in ricorso, rivestirebbe difatti la posizione di terza interessata alla revoca di confisca disposta in altro procedimento.
La Corte di appello ha ricostruito analiticamente le doglianze della ricorrente ed il suo percorso processuale, così come i diversi rimedi esperiti, quanto alla disposta confisca, nel giudizio a carico del (omissis) e del marito, evidenziando l’assenza dei presupposti per accedere al giudizio di revisione, proprio con riferimento alla mancanza di legittimazione a proporre l’istanza in questione. In conclusione, occorre richiamare il disposto dell’art. 631 cod. proc. pen., che, con una chiarezza che potrebbe di per sé sola risolvere la dedotta questione, stabilisce che “Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d’inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530, 531”.
In tal senso, questa Corte ha affermato, con principio che qui si intende ribadire, che è inammissibile la richiesta di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma solo alla revoca della confisca disposta ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen. (già art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356) (Sez. 2, n. 3853 del 30/11/2021, Lampada, Rv. 282522 – 01), principio certamente applicabile anche al caso in esame quanto alla disposta confisca ai sensi dell’art. 416-bis, comma settimo, cod. pen. Si è in tal senso precisato che: “nel rispetto di tale previsione testuale invero inequivocabile, questa Corte ha da sempre ritenuto che l’istanza di revisione deve investire in modo esaustivo la condanna riportata, tanto cioè da comportare, rispetto al relativo capo, il proscioglimento (Sez. 6, n. 2626 del 31/05/1994, Nastasia, Rv. 199442 – 01, che ha ritenuto inammissibile una istanza di revisione “parziale”, ovvero riguardante uno soltanto di plurimi reati oggetto di condanna, ed avente ad oggetto elementi o circostanze comportanti un’attenuazione del reato per il quale era stata riportata condanna; Sez. 1, n. 23927 del 23/05/2007, Pietroiusti, Rv. 236844 – 01, che ha ritenuto inammissibile la richiesta di revisione proposta in base ad elementi idonei, ove accertati, a determinare non il proscioglimento del condannato, ma il riconoscimento a suo favore del vizio parziale di mente)”. In applicazione del medesimo principio si è affermato che dal disposto degli artt. 631 e 637, comma 2, cod. proc. pen. emerge chiaramente come dall’accoglimento della richiesta di revisione non possa che derivare il proscioglimento del condannato, e, conseguentemente, che deve escludersi che detta richiesta possa essere fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma ad una dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato (Sez. 6, n. 4114 del 24/10/1997, Gentilini, Rv. 208834 – 01). Ancora nel medesimo senso, si è ritenuta l’inammissibilità della richiesta di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma a una dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato (Sez. 1, n. 4464 del 28/02/2000, Ilacqua, Rv. 215810 – 01; Sez. 6, n. 12307 del 03/03/2008, Racco, Rv. 239328 – 01; Sez. 1, n. 19342 del 22/04/2009, P.G. in proc. Nicodemi, Rv. 243778 – 01). Infine, occorre ricordare che è stata ritenuta l’inammissibilità della richiesta di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, alla sola esclusione di una circostanza aggravante (Sez. 6, n. 12307 del 03/03/2008, Rv. 239328 – 01 cit.; Sez. 1, n. 20470 del 10/02/2015, Pelle, Rv. 263592 – 01; Sez. 6, n. 4121 del 16/05/2019, dep. 2020, A., Rv. 278194 – 01).
2. La Corte di appello ha motivato rispettando tali principi, con argomentazioni prive di illogicità ed in assenza di qualsiasi violazione di legge. Con tale motivazione la ricorrente non si confronta e si limita a richiamare in modo del tutto generico la asserita risolutività della scoperta (non meglio precisata) di decreto di archiviazione pronunciato nel 2016, senza tra l’altro tener conto del principio già affermato da questa Corte e che qui si intende ribadire secondo il quale in tema di revisione, non costituisce prova nuova, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il decreto di archiviazione, in quanto decisione allo stato degli atti, di natura endoprocedimentale, non irrevocabile, alla quale può sempre seguire la riapertura delle indagini (Sez. 2, n. 2933 del 15/12/2021, Furnò, Rv. 282591 – 01).
Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2024.
