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Cassazione penale sez. II, 29/11/2024, n.43715

Massima

La richiesta di revisione deve essere basata su elementi che, se accertati, porterebbero al proscioglimento del condannato e non solo alla revoca di una confisca o alla dichiarazione di responsabilità per un reato diverso o meno grave.

Supporto alla lettura

CONFISCA

Si tratta di una misura di sicurezza patrimoniale che consiste nell’espropriazione a favore dello Stato dei beni che servirono o furono destinati a commettere il reato (c.d. mezzi di esecuzione del reato) e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.

L’art. 240 c.p. distingue due tipologie di confisca:

  • facoltativa: ha ad oggetto gli strumenti, il prodotto o il profitto;
  • obbligatoria: ha ad oggetto il prezzo, gli strumenti informatici o telematici utilizzati per la commissione di taluni reati specificatamente indicati, le cose il cui uso o detenzione o porto costituisce reato anche se non c’è stata sentenza di condanna.

La L. 300/2000 ha introdotto un’altra tipologia di confisca c.d. per equivalente (disciplinata dall’art. 322 ter c.p.) che deve essere disposta necessariamente dal giudice in caso di condanna o di sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p., ma anche nel corso delle indagini preliminari con lo strumento del sequestro preventivo.  A tal proposito, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca attualmente opera con una duplice modalità:

  • il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, avente ad oggetto i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato;
  • il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente (o per valore), che interviene laddove non sia possibile procedere alla confisca diretta e che riguarda i beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato senza che sia necessario provare il nesso

Tuttavia, la confisca, a differenza del sequestro che ha natura cautelare provvisoria, comporta l’ablazione definitiva delle utilità patrimoniali in sequestro, secondo il disposto dell’art. 12 bis D.lgs. 74/2000, ed opera quando il procedimento penale viene definito con sentenza di condanna ovvero con applicazione della pena concordata tra le parti (patteggiamento).

L’ istituto in esame è stato esteso ai reati tributari mediante la legge finanziaria del 2008, e in tema di reati contro la Pubblica Amministrazione fa da modello l’art. 322 ter c.p..

Diverse tipologie di confisca sono previste nel d.lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti. In questo caso l’istituto della confisca si connota in maniera differenziata a seconda del contesto in cui è chiamato ad operare.

Nella legislazione antimafia la confisca è divenuto lo strumento privilegiato di contrasto alla criminalità organizzata e può suddividersi in:

  • confisca di sicurezza (art. 240 c.p.);
  • confisca sanzionatoria (art. 416 bis comma 7 c.p. e 12 sexies D.l. 306/92 per la persona fisica e artt 19 e 24 ter comma 1 d.lgs. 231/2001 per le persone giuridiche);
  • confisca di prevenzione (art 24 d.lgs. 159/11 recante il nuovo codice antimafia e delle misure di prevenzione).

Un’altra figura di confisca è quella c.d. urbanistica (prevista dall’art. 44 d.P.R. 380/2001) che prevede la confisca obbligatoria di terreni e fabbricati oggetto del reato di lottizzazione abusiva.

La L. 157/2019 ha affiancato alle altre ipotesi di confisca la c.d. confisca allargata (o confisca per sproporzione) a carico di coloro che commettono alcune tipologie di reati fiscali.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, in data 13/06/2024, ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione della sentenza del Gip presso il Tribunale di Napoli del 27/12/2012 proposta da (omissis), confermata dalla Corte di appello ed irrevocabile in data 06/07/2022.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, (omissis), che ha dedotto un unico motivo di ricorso che qui si riporta nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3. La difesa – dopo avere richiamato la posizione della ricorrente in ordine al capo T2 (alla stessa originariamente contestato in via provvisoria, ma per il quale non era stato disposto il rinvio a giudizio essendo intervenuta archiviazione) ed aver elencato le diverse azioni intraprese, anche in sede esecutiva, per giungere alla revoca della confisca dei beni disposta ex art. 416-bis, comma settimo, cod. pen. nei confronti del marito, che involgeva anche ai beni di cui al capo T2 – ha dedotto la ricorrenza di violazione di legge e la violazione di norme processuali in relazione all’art. 111 e art. 6 Conv. EDU per non avere la Corte di appello preso in considerazione il decreto di archiviazione relativo al capo T2 (in relazione al quale era stato originariamente disposto il sequestro di beni alla stessa riferibili) di cui era venuta a conoscenza solo in data 20/07/2023.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivo generico, oltre che manifestamente infondato.

La ricorrente non si confronta con la chiara motivazione della Corte di appello, che ha evidenziato come, in relazione al caso in esame, non ricorrano i requisiti per giungere ad una valutazione della istanza di revisione, atteso che la (omissis) si presenta come terza estranea al giudizio del quale chiede la revisione. E, dunque, non potrebbe ottenere quello che è l’effetto tipico del giudizio di revisione sulla base della effettiva presenza di prove nuove, ovvero il proscioglimento dell’istante. La (omissis), sulla base di generiche allegazioni riportate in ricorso, rivestirebbe difatti la posizione di terza interessata alla revoca di confisca disposta in altro procedimento.

La Corte di appello ha ricostruito analiticamente le doglianze della ricorrente ed il suo percorso processuale, così come i diversi rimedi esperiti, quanto alla disposta confisca, nel giudizio a carico del (omissis) e del marito, evidenziando l’assenza dei presupposti per accedere al giudizio di revisione, proprio con riferimento alla mancanza di legittimazione a proporre l’istanza in questione. In conclusione, occorre richiamare il disposto dell’art. 631 cod. proc. pen., che, con una chiarezza che potrebbe di per sé sola risolvere la dedotta questione, stabilisce che “Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d’inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530, 531”.

In tal senso, questa Corte ha affermato, con principio che qui si intende ribadire, che è inammissibile la richiesta di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma solo alla revoca della confisca disposta ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen. (già art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356) (Sez. 2, n. 3853 del 30/11/2021, Lampada, Rv. 282522 – 01), principio certamente applicabile anche al caso in esame quanto alla disposta confisca ai sensi dell’art. 416-bis, comma settimo, cod. pen. Si è in tal senso precisato che: “nel rispetto di tale previsione testuale invero inequivocabile, questa Corte ha da sempre ritenuto che l’istanza di revisione deve investire in modo esaustivo la condanna riportata, tanto cioè da comportare, rispetto al relativo capo, il proscioglimento (Sez. 6, n. 2626 del 31/05/1994, Nastasia, Rv. 199442 – 01, che ha ritenuto inammissibile una istanza di revisione “parziale”, ovvero riguardante uno soltanto di plurimi reati oggetto di condanna, ed avente ad oggetto elementi o circostanze comportanti un’attenuazione del reato per il quale era stata riportata condanna; Sez. 1, n. 23927 del 23/05/2007, Pietroiusti, Rv. 236844 – 01, che ha ritenuto inammissibile la richiesta di revisione proposta in base ad elementi idonei, ove accertati, a determinare non il proscioglimento del condannato, ma il riconoscimento a suo favore del vizio parziale di mente)”. In applicazione del medesimo principio si è affermato che dal disposto degli artt. 631 e 637, comma 2, cod. proc. pen. emerge chiaramente come dall’accoglimento della richiesta di revisione non possa che derivare il proscioglimento del condannato, e, conseguentemente, che deve escludersi che detta richiesta possa essere fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma ad una dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato (Sez. 6, n. 4114 del 24/10/1997, Gentilini, Rv. 208834 – 01). Ancora nel medesimo senso, si è ritenuta l’inammissibilità della richiesta di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma a una dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato (Sez. 1, n. 4464 del 28/02/2000, Ilacqua, Rv. 215810 – 01; Sez. 6, n. 12307 del 03/03/2008, Racco, Rv. 239328 – 01; Sez. 1, n. 19342 del 22/04/2009, P.G. in proc. Nicodemi, Rv. 243778 – 01). Infine, occorre ricordare che è stata ritenuta l’inammissibilità della richiesta di revisione fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, alla sola esclusione di una circostanza aggravante (Sez. 6, n. 12307 del 03/03/2008, Rv. 239328 – 01 cit.; Sez. 1, n. 20470 del 10/02/2015, Pelle, Rv. 263592 – 01; Sez. 6, n. 4121 del 16/05/2019, dep. 2020, A., Rv. 278194 – 01).

2. La Corte di appello ha motivato rispettando tali principi, con argomentazioni prive di illogicità ed in assenza di qualsiasi violazione di legge. Con tale motivazione la ricorrente non si confronta e si limita a richiamare in modo del tutto generico la asserita risolutività della scoperta (non meglio precisata) di decreto di archiviazione pronunciato nel 2016, senza tra l’altro tener conto del principio già affermato da questa Corte e che qui si intende ribadire secondo il quale in tema di revisione, non costituisce prova nuova, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il decreto di archiviazione, in quanto decisione allo stato degli atti, di natura endoprocedimentale, non irrevocabile, alla quale può sempre seguire la riapertura delle indagini (Sez. 2, n. 2933 del 15/12/2021, Furnò, Rv. 282591 – 01).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.Così deciso in Roma, il 20 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2024.

Allegati

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