Massima

La sentenza emessa è impugnabile secondo il regime ordinario, tuttavia il ricorso per Cassazione è inammissibile qualora l’impugnazione verta su capi o punti (come le cause di proscioglimento ex Art. 129 c.p.p.) che siano stati oggetto di rinuncia esplicita o implicita in sede di accordo tra le parti, o che non siano stati devoluti al giudice d’appello con specifico motivo, avendo pertanto formato il giudicato sostanziale in primo grado.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione, nel processo penale, disciplinato dagli art. 606 e ss. c.p.c, è un mezzo di impugnazione ordinario, costituzionalmente previsto avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale ed esperibile negli altri casi previsti dal codice di procedura penale, tramite il quale l’impugnante lamenta un errore di diritto compiuto dal giudice nell’applicazione delle norme di diritto sostanziale (c.d. error in iudicando) o di diritto processuale (c.d. error in procedendo).

Legittimata a ricorrere è la parte che vi abbia interesse e conseguentemente le parti necessarie quali l’imputato (a mezzo di difensore abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori) e il pubblico ministero. Altresì, possono proporre ricorso anche le parti ritualmente costituite come la parte civile, civilmente responsabile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

I giudici della Cassazione possono decidere soltanto nell’ambito dei motivi palesati dal ricorrente, in quanto il giudizio verte sulla fondatezza di tali motivi che devono corrispondere alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 606 c.p.p.:

  • eccesso di potere;
  • error in iudicando;
  • error in procedendo;
  • mancata assunzione di una prova decisiva;
  • carenza o manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorso può essere presentato da una parte o da un suo difensore, che deve essere iscritto ad un albo speciale predisposto dalla Corte stessa, (in mancanza viene nominato uno d’ufficio), quindi il Presidente della Cassazione assegna il ricorso ad una delle sei sezioni della Corte a seconda della materia e di altri criteri stabiliti dall’ordinamento giudiziario. Se rileva l’inammissibilità del ricorso, lo assegna alla VII Sezione Penale (c.d. Sezione Filtro), composta dai magistrati di Cassazione delle altre Sezioni Penali che vi si alternano a rotazione biennale. Entro 30 giorni la sezione adìta si riunisce in Camera di Consiglio e decide se effettivamente esiste la causa evidenziata dal Presidente, in mancanza rimette gli atti a quest’ultimo. Come nel procedimento civile, la Cassazione si riunisce a “Sezioni Unite” quando deve decidere una questione sulla quale esistono pronunce contrastanti della Corte di Cassazione stessa o per questioni di importanza rilevante.

Qualora non si proceda in camera di consiglio, l’art. 614 c.p.p. prevede l’ovvia fase dibattimentale. Particolarità è che la sentenza non viene emanata dopo la chiusura del dibattimento, ma subito dopo il termine dell’udienza pubblica. Tuttavia il presidente può decidere di differire la deliberazione ad un’udienza successiva se le questioni sono numerose o particolarmente importanti e complesse.

Sono quattro i tipi di sentenza che la Corte può emettere:

  • di inammissibilità;
  • di rigetto;
  • di rettificazione;
  • di annullamento (con rinvio o senza rinvio).

Come per il procedimento civile, anche nel processo penale è previsto il “ricorso per saltum“, cioè dal primo grado direttamente in Cassazione (art. 569 c.p.p.), è importante precisare che non si può ricorrere per saltum per i motivi alle lettere d) ed e) dell’art. 606 c.p.p. (prove non ammesse in giudizi di grado inferiore e per illogicità o motivazione carente nella sentenza) in quanto la Cassazione ha potere cognitivo di merito molto ristretto.

Ambito oggettivo di applicazione

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. A.A., per il tramite del proprio difensore, ricorre avverso la sentenza del 29/04/2025 della Corte di appello di Brescia, che ha applicato la pena indicata dalle parti, così come da loro determinata con l’accordo raggiunto ai sensi dell’art. 599 – bis cod. proc. pen.

 

1.1. Con un unico motivo di ricorso si duole dell’omessa motivazione sulla sussistenza di cause di proscioglimento.

 

2. Il ricorso è inammissibile.

 

2.1. Va premesso che, all’indomani della sentenza delle Sezioni Unite n. 19415 del 27/10/2022 (dep. 2023, Fazio), deve ritenersi oramai superato l’orientamento di questa Corte, che limitava l’impugnabilità della sentenza pronunciata in esito a un concordato in appello, ai sensi dell’art. 599 – bis, cod. proc. pen., richiamando i limiti stabiliti dall’art. 448, comma 2 – bis, cod. proc. pen. in relazione all’impugnazione della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.

Con la sentenza Fazio è stato chiarito, infatti, che va esclusa l’applicabilità dell’art. 448, comma 2 – bis, cod. proc. pen. al concordato in appello ex art. 599 – bis cod. proc. pen.

Tanto è stato affermato osservando che la norma citata è stata introdotta quale disposizione speciale, limitata al rito del patteggiamento, e non può essere estesa analogicamente ad altri istituti processuali, in virtù del principio di tassatività che governa i mezzi e i motivi di impugnazione. A tale riguardo, è stato evidenziato che, diversamente dal patteggiamento, il concordato in appello non costituisce rito speciale, ma si innesta nel giudizio ordinario di secondo grado, senza introdurre preclusioni ulteriori rispetto a quelle derivanti dalla rinuncia ai motivi, con la conseguenza che la disciplina restrittiva prevista dall’art. 448, comma 2 – bis, non può trovare applicazione al di fuori dell’ambito per il quale è stata espressamente dettata.

 

2.2. Le Sezioni Unite hanno evidenziato che, sotto il profilo della loro impugnabilità, non vi sono differenze tra la sentenza ordinaria di appello e quella resa ai sensi dell’art. 599 – bis cod. proc. pen., non esistendo alcuna disposizione che limiti l’esperibilità dei motivi di ricorso avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599 – bis cod. proc. pen., così da diversificare il suo regime di impugnazione rispetto a quello previsto in via generale per la sentenza ordinaria di appello.

In tal senso è stato osservato che l’unico riferimento normativo in materia di impugnazione, specificamente rivolto alla sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599 – bis cod. proc. pen., è l’art. 610, comma 5 – bis, cod. proc. pen., che tuttavia non incide sui presupposti di ammissibilità del ricorso, ma si limita a prevedere che l’inammissibilità possa essere dichiarata con procedimento de plano, per ragioni di economia processuale.

 

3. In forza di quanto chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza Fazio fin qui brevemente compendiata, emerge che i limiti alla impugnabilità con ricorso per cassazione della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599 – bis cod. proc. pen. non discendono da una disciplina speciale, inesistente per tale istituto, bensì dall’ordinario effetto preclusivo che consegue alla rinuncia ai motivi di appello.

Invero, una volta che la parte abbia rinunciato a uno o a più motivi, sul punto oggetto di rinuncia si forma il giudicato sostanziale, che impedisce la riproposizione della censura nel successivo grado di giudizio.

I confini dell’impugnazione con ricorso per cassazione della sentenza resa ai sensi dell’art. 599 – bis cod. proc. pen. vengono, dunque, delimitati dalla formazione del giudicato sui capi o sui punti oggetto dei motivi rinunciati, restando altrimenti proponibile l’impugnazione nei limiti generali previsti dall’art. 606 cod. proc. pen.

 

3.1. In tale direzione, peraltro, si era già espressa questa Corte, affermando un principio di diritto -richiamato e ribadito dalla sentenza Fazio nel corpo della motivazione- a mente del quale “il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. né sull’insussistenza di ipotesi di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove perché si deve rapportare l’obbligo della motivazione all’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione in quanto, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia” (Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522; Sez. 5, Sentenza n. 15505 del 19/03/2018, Bresciani, Rv. 272853 – 01).

Più di recente, in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite, è stato affermato che “nel caso in cui il giudice di appello abbia raccolto le richieste concordemente formulate dalle parti, queste ultime non possono dedurre in sede di legittimità difetto di motivazione o altra questione relativa ai motivi rinunciati. (Vedi: n. 103837 del 1992, Rv. 192113 – 01)” (Sez. 3, n. 51557 del 14/11/2023, Spina, Rv. 285628 – 02).

 

4. Da quanto esposto discende l’inammissibilità del ricorso atteso che il ricorrente ha rinunciato a tutti i motivi d’impugnazione, fatta eccezione per quello relativo al trattamento sanzionatorio, da loro stessi concordato.

Quanto alla misura della pena irrogata, va osservato come essa sia quella determinata dalle stesse parti e che l’accordo raggiunto in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, per come già chiarito.

A ciò si aggiunga, inoltre, che il ricorrente, con l’atto di gravame, non aveva prospettato davanti alla Corte di appello questioni relative alla sussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., con motivi che non siano stati oggetto della rinuncia che ha portato alla pena così concordata dalle parti.

Da qui l’ulteriore causa d’inammissibilità, correlata all’interruzione della catena devolutiva sulla questione in esame, dovendosi ribadire che “nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291)”, (Sez. 3, Sentenza n. 2343 del 28/09/2018 Ud., dep. 18/01/2019, Di Fenza, Rv. 274346).

Segue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

 

5. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così è deciso, 9 settembre 2025.

Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2025.

Allegati

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