RITENUTO IN FATTO
1. Il Pubblico ministero presso il Tribunale di Reggio Calabria ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 10 aprile 2025 con cui, in accoglimento della richiesta di riesame dell’indagata (omissis) è stato annullato il decreto di sequestro preventivo della somma di euro 2.347,80, disposto dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria in ordine ad un’ipotesi di concorso in truffa aggravata (capo n. 176, artt. 110, 640, commi 1 e 2, n. 1 cod. pen.).
2. A sostegno della decisione il Tribunale ha osservato quanto segue.
Il G.i.p. aveva disposto il sequestro preventivo ritenendo sussistente a carico dell’indagata, il reato di cui agli artt. 110, 640, commi 1 e 2, n. 1 cod. pen., perché, in concorso con (omissis) questi ultimi partecipi di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti di truffa aggravata ai danni dell’Agenzia delle entrate, di sostituzione di persona, di rivelazione di segreti di ufficio, di falsi contro la fede pubblica e di accessi abusivi a sistema informatico – mediante artifici e raggiri consistiti nell’indicare elementi fittizi e non veritieri, crediti in tutto o in parte inesistenti, nelle dichiarazioni fiscali presentate con modello 730, inducevano in errore l’Agenzia delle entrate in ordine alla sussistenza di crediti di imposta, così ottenendo dall’Erario rimborsi non dovuti.
Secondo il Tribunale, l’indagine svolta in ordine ad oltre 900 dichiarazioni fiscali recanti “anomalie” aveva “permesso di accertare l’esistenza di una articolata associazione criminale diretta alla commissione di plurimi reati in danno dell’Agenzia delle entrate, che riusciva ad assicurare a soggetti compartecipi (o anche solo compiacenti) l’indebita percezione di rimborsi Irpef nel complesso di ingente portata, sebbene volto ad ottenere, ogni volta, “indebiti bonus fiscali e rimborsi Irpef … per un importo mai superiore a 3.990,00 euro ciascuno e, quindi, sotto la soglia di 4.000,00 euro, limite previsto per l’attivazione di procedure automatizzate di controllo in tema di dichiarazione dei redditi”.
Ciò posto, riteneva il Tribunale che la condotta provvisoriamente ascritta agli indagati andava qualificata come delitto di “dichiarazione infedele” di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, alla stregua del principio di diritto espresso dalle S.U. nella sentenza n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 – 01.
Andava poi escluso, nella fattispecie concreta, il delitto di cui all’art. 640 cod. pen., avendo gli indagati conseguito esclusivamente profitti di natura fiscale, senza conseguire un profitto ulteriore e diverso rispetto a quello dell’evasione.
Considerato, poi, che il citato art. 4 prevede una soglia di punibilità nella specie non superata, conseguiva l’insussistenza del fumus del delitto in contestazione.
Quand’anche, inoltre, volesse ipotizzarsi che la mera dichiarazione di dati falsi possa integrare una condotta fraudolenta, comunque si verserebbe nell’ipotesi prevista dall’art. 3 del d.lgs. del 2000 citato, ma anche tale delitto sarebbe insussistente per effetto del mancato superamento della soglia di punibilità prevista dalla norma incriminatrice.
Quanto al periculum, il decreto del Gip recava una motivazione solo apparente.
3. Il pubblico ministero presso il Tribunale di Reggio Calabria affida il ricorso a due motivi.
3.1. Con il primo denuncia l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla qualificazione del contestato delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato nel reato tributario di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, ovvero in quello di cui al precedente art. 3.
Premesso che il Gip aveva disposto nei confronti dei 125 indagati il sequestro preventivo della somma di euro 718.426,25 (costituita da euro 406.306,96 quali indebiti rimborsi percepiti dai singoli contribuenti, e da euro 312.111,29 pari ai complessivi profitti illeciti ottenuti dall’associazione, secondo un consolidato meccanismo in base al quale i sodali percepivano il 40% degli indebiti rimborsi, residuando per i singoli contribuenti il restante 60%), della quale euro 2.347,80 direttamente nei confronti dell’odierna indagata, lamenta che il Tribunale aveva omesso di considerare tutte le condotte ulteriori e diverse rispetto alla mera falsa dichiarazione infedele, idonee a integrare gli artifici e i raggiri di cui all’art. 640 cod. pen., nonché trascurato il profitto dell’associazione, terza rispetto al rapporto tra Erario e contribuente, profitto non riconducibile a tale rapporto e non limitato a quanto ottenuto dalla evasione fiscale.
3.2. Con il secondo motivo deduce la mancanza, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione riguardo alla ritenuta assenza del periculum; trattandosi di sequestro finalizzato alla confisca, del tutto congrua doveva ritenersi la motivazione resa a sostegno del provvedimento genetico.
4. Con requisitoria del 24 giugno 2025, il P.G. presso questa Corte ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
Le Sezioni unite, seppur con riguardo alle differenti fattispecie di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, hanno ritenuto esistente un rapporto di specialità tra le norme incriminatrici tributarie e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato «in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni” (Sez. U, n. n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 – 01).
Si tratta di un principio che sancisce una linea di demarcazione tra l’ambito applicativo delle fattispecie a connotazione truffaldina e le norme incriminatrici di carattere fiscale.
Il profitto avuto di mira e conseguito dall’indagata coincide, infatti, con quello fiscale, costituito, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 74 del 2000, anche dal fine di ottenere un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta, il cui perseguimento è posto come scopo della condotta tipica.
Né vale, in questa sede, al fine di superare l’obiezione costituita dall’assenza di un autonomo disvalore dell’ipotizzata truffa, fare riferimento all’ottenimento di un profitto ulteriore quale “prezzo del servizio illecito” reso, in quanto, al di là del rilievo che si tratta di profilo di merito che appare dotato di novità e non sottoposto alla cognizione del Tribunale per il riesame, tale “vantaggio” nulla aggiungerebbe all’indebito rimborso, trattandosi di una ripartizione pro-quota tra i concorrenti di quell’unico profitto ricavato dalla condotta decettiva eziologicamente riferibile al reato tributario.
Analogamente può osservarsi a proposito della riconducibilità alla struttura associativa degli illeciti profitti derivanti dai reati fiscali, in quanto fattispecie di reato che non risulta fondante la domanda cautelare, posto che la somma sequestrata è specificamente riferita al profitto illecito della contestata truffa di cui al capo 176) della rubrica provvisoria.
Infine, va osservato come le modalità della condotta truffaldina, per come indicate nell’imputazione provvisoria, nulla aggiungano a quella decettiva, in quanto si richiamano quelle strumentali all’indicazione nelle dichiarazioni annuali degli elementi passivi inesistenti in forza dei quali si mira ad ottenere l’indebito rimborso da parte dell’Erario.
2. Alla luce delle considerazioni svolte, va rigettato il ricorso del Pubblico ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso, il 15 luglio 2025.
Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2025.
