Massima

In materia di ricorso per cassazione avverso sentenza di condanna per rapina aggravata e omicidio preterintenzionale confermata in appello (doppia conforme), l’impugnazione è inammissibile quando si risolve nella mera reiterazione di questioni di fatto già ampiamente esaminate e motivatamente decise dai giudici di merito. Tale inammissibilità sussiste in assenza di un macroscopico travisamento della prova o di una valutazione da parte del giudice d’appello di differente materiale probatorio, poiché il sindacato di legittimità non è volto a riesaminare il merito della valutazione probatoria, ma a verificare la logicità, la coerenza e l’adeguatezza della motivazione.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione, nel processo penale, disciplinato dagli art. 606 e ss. c.p.c, è un mezzo di impugnazione ordinario, costituzionalmente previsto avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale ed esperibile negli altri casi previsti dal codice di procedura penale, tramite il quale l’impugnante lamenta un errore di diritto compiuto dal giudice nell’applicazione delle norme di diritto sostanziale (c.d. error in iudicando) o di diritto processuale (c.d. error in procedendo).

Legittimata a ricorrere è la parte che vi abbia interesse e conseguentemente le parti necessarie quali l’imputato (a mezzo di difensore abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori) e il pubblico ministero. Altresì, possono proporre ricorso anche le parti ritualmente costituite come la parte civile, civilmente responsabile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

I giudici della Cassazione possono decidere soltanto nell’ambito dei motivi palesati dal ricorrente, in quanto il giudizio verte sulla fondatezza di tali motivi che devono corrispondere alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 606 c.p.p.:

  • eccesso di potere;
  • error in iudicando;
  • error in procedendo;
  • mancata assunzione di una prova decisiva;
  • carenza o manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorso può essere presentato da una parte o da un suo difensore, che deve essere iscritto ad un albo speciale predisposto dalla Corte stessa, (in mancanza viene nominato uno d’ufficio), quindi il Presidente della Cassazione assegna il ricorso ad una delle sei sezioni della Corte a seconda della materia e di altri criteri stabiliti dall’ordinamento giudiziario. Se rileva l’inammissibilità del ricorso, lo assegna alla VII Sezione Penale (c.d. Sezione Filtro), composta dai magistrati di Cassazione delle altre Sezioni Penali che vi si alternano a rotazione biennale. Entro 30 giorni la sezione adìta si riunisce in Camera di Consiglio e decide se effettivamente esiste la causa evidenziata dal Presidente, in mancanza rimette gli atti a quest’ultimo. Come nel procedimento civile, la Cassazione si riunisce a “Sezioni Unite” quando deve decidere una questione sulla quale esistono pronunce contrastanti della Corte di Cassazione stessa o per questioni di importanza rilevante.

Qualora non si proceda in camera di consiglio, l’art. 614 c.p.p. prevede l’ovvia fase dibattimentale. Particolarità è che la sentenza non viene emanata dopo la chiusura del dibattimento, ma subito dopo il termine dell’udienza pubblica. Tuttavia il presidente può decidere di differire la deliberazione ad un’udienza successiva se le questioni sono numerose o particolarmente importanti e complesse.

Sono quattro i tipi di sentenza che la Corte può emettere:

  • di inammissibilità;
  • di rigetto;
  • di rettificazione;
  • di annullamento (con rinvio o senza rinvio).

Come per il procedimento civile, anche nel processo penale è previsto il “ricorso per saltum“, cioè dal primo grado direttamente in Cassazione (art. 569 c.p.p.), è importante precisare che non si può ricorrere per saltum per i motivi alle lettere d) ed e) dell’art. 606 c.p.p. (prove non ammesse in giudizi di grado inferiore e per illogicità o motivazione carente nella sentenza) in quanto la Cassazione ha potere cognitivo di merito molto ristretto.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. La Corte di Assise di Appello di Catanzaro, con sentenza in data 30 ottobre 2024, in parziale riforma della pronuncia della Corte di Assise di Catanzaro del 14 luglio 2022, ritenuta la continuazione tra i reati di omicidio preterintenzionale e rapina aggravata contestati ad (omissis) riduceva la pena complessiva allo stesso inflitta ad anni 14 di reclusione.

2. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv.to Gregorio Viscomi, deducendo, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:

– erronea applicazione degli artt. 110628 cod. pen., illogicità manifesta della motivazione ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., quanto alla ritenuta sussistenza degli elementi di prova per affermare il concorso dell’imputato nel reato di rapina; al proposito si deduceva come non fosse stata acquisita dimostrazione dell’avvenuta sottrazione di denaro alla vittima posto che, la figlia della stessa, aveva riferito nelle dichiarazioni in parte riportate in ricorso, che il denaro veniva custodito dal padre (omissis) all’interno di alcuni barattoli di vetro poi ritrovati esattamente nella loro posizione dopo la scoperta dell’aggressione e del decesso; doveva pertanto ritenersi che l’affermazione di responsabilità per il delitto di concorso in rapina fosse il risultato del travisamento di un dato probatorio essendosi data rilevanza esclusivamente alle dichiarazioni del teste (omissis), il quale, però, aveva riferito circostanze contrastanti nel dibattimento e nel corso delle precedenti indagini preliminari, quando non aveva indicato l’importo sottratto, indicato solo a rilevante distanza di tempo in 500 Euro; peraltro, il risentimento del (omissis) nei confronti dell'(omissis) era chiaramente emerso nel corso del suo esame e tale circostanza faceva dubitare della attendibilità delle dichiarazioni accusatorie;

– erronea applicazione degli artt. 110584 cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione quanto all’affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel delitto di omicidio preterintenzionale, fondata esclusivamente sulle dichiarazioni del (omissis) poiché nessuno degli elementi di contorno valorizzati dalla Corte di assise di appello poteva assumere valenza di riscontro, tale non essendo la supposta fuga dal territorio italiano; rilevante era, invece, la professione di innocenza dell’imputato nel colloquio intercettato all’interno della casa circondariale, quando, interloquendo con la madre, il 9 settembre 2019, aveva reclamato la propria estraneità ai fatti; la Corte di assise di appello, poi, aveva reso una motivazione del tutto contraddittoria in ordine all’identificazione dell’autore delle violenze in danno del (omissis) ed in assenza di certezza su tale individuazione, non avrebbe potuto affermarsi un’ipotesi di concorso punibile dell’imputato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso appare proposto per motivi manifestamente infondati oltre che puramente reiterativi di questioni di fatto già devolute all’analisi della corte di merito e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Ed invero, quanto al primo motivo, occorre rammentare che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, e cioè di condanna in primo e secondo grado, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv 256837 – 01).

Inoltre, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello di conferma si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 – 01).

Nel caso in esame, non si ravvisa né il presupposto della valutazione da parte del giudice di appello di un differente materiale probatorio utilizzato per rispondere alle doglianze proposte avverso la sentenza di primo grado né, tantomeno, il dedotto macroscopico travisamento dei fatti denunciabile con il ricorso per cassazione; in particolare, il giudice di merito, ha già risposto con adeguata motivazione a tutte le osservazioni della difesa dell’imputato che in sostanza ripropongono motivi di fatto osservando che il compendio probatorio a carico dell’Ivanov è costituito dalle dichiarazioni accusatorie rese da un teste, B.B., sentito anche nel corso della rinnovazione istruttoria in appello mediante rogatoria internazionale e videoconferenza, dalle quali emergeva il pieno coinvolgimento dell’imputato nella tragica vicenda, quale artefice dell’ingresso all’interno dell’abitazione del (omissis) finalizzato alla sottrazione di denaro ed altri valori, dell’aggressione dello stesso e della sottrazione di una somma di denaro pari ad Euro 500,00. Tali dichiarazioni venivano ritenute dalla Corte di appello sostanzialmente confermate da quelle rese da altri testimoni (testi (omissis) e (omissis)) che anch’essi riferivano dell’aggressione perpetrata ai danni di un anziano da parte dell’Ivanov per sottrargli denaro, nonché, da ulteriori circostanze tutte analiticamente indicate. In particolare, il giudice di appello ha segnalato correttamente come concordino nel senso della responsabilità dell’imputato la confessata presenza dello stesso sul luogo del delitto, la predisposizione di un alibi falso ad opera del medesimo e dei suoi congiunti, la fuga precipitosa dall’Italia nel giorno successivo l’esecuzione dell’omicidio del (omissis), tutti elementi ritenuti idonei in assenza di qualsiasi illogicità o travisamento ad affermare la responsabilità dell’imputato proprio per il delitto di rapina in concorso.

2. Quanto al secondo motivo lo stesso devolve accertamenti in fatto non consentiti nella presente sede di legittimità e risulta parimenti manifestamente infondato alla luce dell’ampio materiale probatorio già valorizzato ed esaminato accuratamente dalla Corte di assise di appello dal quale risultava che l’aggressione era stata perpetrata unitamente dall’imputato e dal correo che poi si davano a precipitosa fuga e rientravano in Bulgaria.

Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano, quindi, adeguatamente giustificate dai giudici di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

3. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (omissis) ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di Appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Dispone, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull’originale del provvedimento, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Così deciso in Roma, il 3 giugno 2025.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2025.

Allegati

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