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Cassazione penale sez. II, 17/02/2017, n.13825

Massima

Agli effetti dell’art. 385 c.p. deve intendersi per abitazione lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà. Pertanto, configura evasione dagli arresti domiciliari la condotta del soggetto sorpreso in edificio attiguo ma separato dall’abitazione.

Supporto alla lettura

Il delitto di evasione previsto dall’art. 385 c.p., punisce la condotta di colui che, legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade, rompendo il vincolo apposto alla sua libertà personale. La disposizione presuppone lo stato di arresto o detenzione integrando il reato in questione la situazione in cui il soggetto evade da una struttura ospedaliera, ad esempio, o più, comunemente, dalla struttura carceraria o dalla propria abitazione (in caso di arresti domiciliari). La norma tutela, dunque, l’esecuzione della misura che restringe la libertà personale in maniera legittima. L’evasione è considerata quale un reato proprio, in quanto la qualità personale dell’autore determina la realizzazione della fattispecie: in particolar modo può essere commesso solo ed esclusivamente da persona legalmente arrestata e/o detenuta, essendo condizione di procedibilità, ai fini della configurabilità, l’elusione della misura restrittiva. Il reato in questione è a forma libera, non sono determinanti le modalità tramite le quali il soggetto riesce ad evadere, quanto l’atto stesso. Presupposto fondamentale è il dolo dell’autore: deve sussistere la precisa, cosciente e concreta volontà del soggetto agente di volersi sottrarre ad un provvedimento che limita la libertà. Ad esempio non può essere imputato per tale reato il soggetto che si allontana dal proprio domicilio a causa di un errata conoscenza del permesso concesso. Il bene giuridico tutelato dall’art. 385 c.p è l’interesse dello Stato, nell’amministrazione della giustizia, al mantenimento ed all’osservanza delle misure restrittive della libertà personale disposte nei confronti dell’indagato, imputato o condannato.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza in data 3/2/2016 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Tivoli del 9/4/2015 appellata da G.M., concesse all’imputato le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva, determinava la pena in anni due e mesi dieci di reclusione ed euro 1.800,00 di multa, in ordine ai reati di cui all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 6 e art. 648-bis cod. pen. (capo A) e art. 61 c.p., n. 2 e art. 385 cod. pen. (capo B). Revocava per l’effetto la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, confermando la decisione di primo grado nel resto.
  2. Avverso la suddetta decisione ricorrono per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma ed il difensore dell’imputato.

2.1. Il Procuratore generale, con un unico motivo, deduce l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione in relazione al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. In particolare, premesso che la Corte d’appello ha ritenuto di riconoscere le attenuanti “in ragione delle disagiate condizioni socio-economiche del prevenuto e, soprattutto, delle sue gravi condizioni di salute quali apprezzate direttamente dal Collegio in udienza”, rilevava come quanto al primo profilo mancasse alcun dato concreto a sostegno della circostanza e, quanto al secondo, si trattasse di una mera percezione di carattere soggettivo e suggestivo e, come tale, non utilizzabile processualmente. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe trascurato l’obiettiva gravità del fatto, tenuto conto che alla violazione degli arresti domiciliari si era accompagnata la commissione del delitto di ricettazione, così evidenziandosi un pervicace atteggiamento illegale dell’imputato. Le motivazioni della sentenza risultavano, quindi, sul punto “inadeguate”.

2.2. Il difensore, con il primo motivo di ricorso, deduce la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’affermazione della penale responsabilità per il reato di evasione, essendo stato l’imputato – il quale si trovava ristretto agli arresti domiciliari – controllato in un capannone attiguo alla propria abitazione ove svolgeva l’attività di meccanico, da considerarsi pertinenza (come peraltro asseverato dall’esito di altri procedimenti ove all’imputato, sorpreso a compiere analoga attività di riciclaggio su veicoli, non veniva contestata e/o ritenuta l’evasione). Con il secondo motivo deduce la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, stante la natura facoltativa e la “grossolanità della condotta posta in essere”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso del Procuratore generale è inammissibile.

3.1. Invero, la Corte territoriale ha desunto gli elementi circostanziali ritenuti meritevoli di mitigare la pena, quanto alle precarie condizioni socioeconomiche dell’imputato, dalla sua personalità e dalle modalità complessive del fatto e, quanto alle gravi condizioni di salute, dalla documentazione acquisita al processo, di cui lo stesso Collegio ha avuto precisa cognizione. In particolare, l’imputato, proprio in ragione della gravi condizioni di salute in cui versava, venne tradotto all’udienza del 3/2/2016 dinanzi la Corte di appello, a mezzo ambulanza, trovandosi in regime di detenzione cautelare presso la struttura di medicina protetta dell’Ospedale (OMISSIS); inoltre, il precedente 12/1/2016, il Presidente del collegio aveva autorizzato il difensore dell’imputato ad estrarre copia del suo diario clinico per documentare “le serie patologie da cui è affetto e le cure che necessita”. Pertanto, lungi dall’aver fondato la circostanza su un elemento di carattere suggestivo, la Corte d’appello l’ha ricavata da un dato fattuale certo e coerente con l’apprezzamento de visu operato. Pertanto, la motivazione adottata dalla Corte territoriale in tema di concessione delle circostanze attenuanti generiche risulta congrua e scevra da vizi logici, così sottraendosi al sindacato di legittimità.

3.2. Manifestamente infondata è anche la doglianza sulla carenza di motivazione in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931). Nel caso in esame, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito, avendo la Corte territoriale indicato nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti e determinanti nell’ambito del complessivo giudizio sulla personalità dell’imputato che ha portato ad apprezzare positivamente, seppur nell’ambito di un giudizio espresso in termini di equivalenza, le sue precarie condizioni di salute e lo stato di disagio sociale.

  1. Manifestamente infondato è anche il ricorso proposto dal difensore.

4.1.1. La Corte territoriale, infatti, nell’escludere che l’autorimessa ove venne sorpreso l’imputato mentre compiva le operazioni di riciclaggio sia pertinenza dell’abitazione ove si trovava agli arresti domiciliari, si è correttamente uniformata alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, agli effetti dell’art. 385 cod. pen., deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà (Sez. 6, n. 47317 del 28/10/2016, Rv. 268500). Nel caso in esame, entrambi i giudici di merito hanno evidenziato come il capannone ove venne rinvenuto l’imputato era estraneo ed esterno all’abitazione, nel senso che costituiva un corpo autonomo e fisicamente separato della casa, non essendo raggiungibile senza soluzione di continuità dall’abitazione in senso stretto e ciò, correttamente, esclude che possa ravvisarsi una pertinenza, anche dal punto di vista funzionale.

4.1.2. Nè a diverse conclusioni può pervenirsi sul rilievo che in altre precedenti occasioni, pur trovandosi l’imputato agli arresti domiciliari intento a compiere analoga attività illecita nel capannone, non veniva contestata o ritenuta l’evasione, trattandosi rispettivamente di determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale ovvero di orientamenti di merito che, a prescindere dalla loro correttezza, non assumono alcun valore preclusivo rispetto alle decisioni di condanna emesse ed impugnate nel presente giudizio.

4.2. Parimenti manifestamente infondata è la doglianza sull’omessa valutazione del motivo di appello in punto di recidiva che la Corte territoriale, invece, risulta avere apprezzato allorchè, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, si è posta il problema della comparazione e del relativo giudizio (espresso in termini di equivalenza) con tale circostanza aggravante. E quanto agli elementi ostativi all’esclusione, deve ritenersi implicitamente richiamata la esaustiva motivazione sul punto da parte del giudice di primo grado, il quale, pur dando atto dell’applicazione facoltativa della circostanza, ha osservato come l’imputato sia gravato da numerosi precedenti anche specifici contro il patrimonio e di recenti precedenti giudiziari per riciclaggio con condanne del 2013 e 2014 emesse dalla stessa A.G. (sul diniego della richiesta di esclusione della recidiva, desunta dalla negativa personalità dell’imputato emergente dalla gravità dei precedenti penali, vedi Sez. 2, n. 39743 del 17/09/2015, Rv. 264533).

Peraltro, il motivo di appello formulato sul punto dal ricorrente risulta anche generico, in quanto omette di specificare gli elementi fattuali dai quali il giudice di seconde cure avrebbe dovuto trarre la natura “grossolana” della condotta, a fronte di una sentenza di primo grado che evidenzia invece diverse circostanze che ne denotano il carattere quantomeno non elementare.

  1. I ricorsi, pertanto, devono essere dichiarati inammissibili.

5.1. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., consegue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.500,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Dichiara inammissibili il ricorso del procuratore generale e quello dell’imputato, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2017.

 

Allegati

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