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Cassazione penale sez. II, 15/11/2022, n.11950

Massima

Per configurare il reato di appropriazione indebita è sufficiente che il soggetto sia consapevole e abbia l’intenzione di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, indipendentemente dal titolo di possesso, e agisca sapendo di non avere diritto a farlo, con l’intento di ottenere un vantaggio illecito per sé o per altri. In tal senso, è stata confermata la responsabilità dell’imputato che, avendo ricevuto erroneamente sul proprio conto corrente un bonifico emesso dalla società per cui lavorava, ha trattenuto le somme senza restituirle, consapevole dell’errore.

Supporto alla lettura

APPROPRIAZIONE INDEBITA 

Il reato di appropriazione indebita è previsto e punito dall’ art. 646 c.p., secondo il quale:

“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata”

Il reato in esame colpisce tanto il diritto di proprietà quanto il rapporto fiduciario tra proprietario e soggetto su cui grava l’obbligo di restituire la cosa posseduta. Presupposto del reato in esame è il possesso del bene: chi commette il reato deve trovarsi cioè già in possesso del denaro o della cosa mobile. L’aggravio di pena di cui al secondo comma è giustificato dal fatto che il deposito non è frutto di una libera scelta ma è determinato da una situazione eccezionale e non prevista

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
La CORTE d’APPELLO di PALERMO, con sentenza del 13/4/2021, ha confermato la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di PALERMO il 20/3/2019 nei confronti di (omissis) in relazione ai reati al reato di cui all’art. 646 c.p..

1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto il seguente motivo.

1.1. Violazione di legge in relazione all’art. 646 c.p. con riferimento all’insussistenza dell’interversione del possesso, elemento tipico e presupposto indefettibile della fattispecie di reato.

2. In data 28 ottobre sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il Procuratore Generale, Sost. Proc. Dott. (omissis), chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

3. Con una nota pervenuta in cancelleria in data 8 novembre 2022 il difensore, che aveva avanzato richiesta di trattazione orale, ha comunicato di non poter partecipare all’udienza insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.

1. Nell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge in relazione all’art. 646 c.p. con riferimento all’insussistenza dell’interversione del possesso, elemento tipico e presupposto indefettibile della fattispecie di reato. Nello specifico il ricorrente rileva che bel caso di specie, nel quale l’imputato ha ricevuto la somma tramite un bonifico bancario effettuato per errore sul suo conto corrente, non sussisterebbe l’elemento costitutivo del reato. In assenza di un rapporto giuridico definibile nei termini della detenzione nell’interesse di terzi, infatti, la mancata restituzione non determinerebbe una interversione del possesso della somma stessa, comunque pervenuta all’imputato e quindi entrata nel patrimonio dello stesso, così che la mera ritenzione sarebbe da qualificarsi nei termini dell’inadempimento civilistico.

La doglianza è manifestamente infondata.

Nel caso di specie, nel quale il ricorrente ha pacificamente trattenuto somme a lui pervenute senza titolo, sussiste sia l’elemento materiale del reato che quello psicologico.

A fronte del tenore letterale della norma, che fa riferimento alla condotta di chi si appropria del “denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo il possesso”, infatti, diversamente da quanto indicato nel ricorso, per la sussistenza dell’elemento materiale del reato non è necessario che tra le parti esista un rapporto giuridico ma è sufficiente che il soggetto agente trattenga il bene o il denaro comunque pervenuto e dallo stesso detenuto.

Sul punto, pertanto, deve ribadirsi il costante insegnamento di questa Corte Suprema secondo il quale per la configurabilità del reato è sufficiente la coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità (cfr. Sez. 2, n. 27023 del 27/03/2012, Schembri, Rv. 253411 – 01).

Ragione questa per la quale, nel caso di specie, come emerge con evidenza dalle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado con il riferimento alla comunicazione inviata dal ricorrente alla società di cui era dipendente che gli aveva richiesto la restituzione di quanto allo stesso erroneamente versato a mezzo bonifico, il reato è stato correttamente ritenuto sussistente.

2. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.Sentenza a motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2023

Allegati

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