• Home
  • >
  • Cassazione penale sez. II, 13/06/2025, n. 22889

Cassazione penale sez. II, 13/06/2025, n. 22889

Massima

In tema di misure cautelari personali, la Corte di Cassazione è chiamata a verificare se il giudice del riesame abbia adeguatamente motivato la gravità del quadro indiziario, controllando la congruità della motivazione rispetto ai canoni logici e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è rilevabile in Cassazione solo se si traduce nella violazione di norme di legge o in una motivazione mancante o manifestamente illogica, escludendo il controllo sulla ricostruzione dei fatti o sull’attendibilità delle fonti.

Supporto alla lettura

MISURE CAUTELARI

Si tratta di quei provvedimenti, di natura provvisoria ed immediatamente esecutiva, emessi dall’Autorità Giudiziaria, finalizzati a prevenire determinati eventi che possono verificarsi durante le indagini preliminari o nel corso del processo, capaci di compromettere la funzione giurisdizionale.

Le misure cautelari si dividono in:

– PERSONALI: cioè limitative della libertà personale. Possono essere:

  • coercitive (sopprimono o limitano la libertà personale): si distinugono in custodiali, quindi arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.), custodia in carcere (art. 285 c.p.p.), custodia in luogo di cura (art. 286 c.p.p.); non custodiali, divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.), obbligo di presentazione alla P.G. (art. 282 c.p.p.), allontanamento dalla casa familiare (art. 282bis c.p.p.), divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282ter c.p.p.), divieto e obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.)
  • interdittive (diritti e facoltà personali): quindi: sospensione della potestà di genitore (art. 288 c.p.p.), sospensione da un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p.), in questo caso il GIP deve prima procedere ad interrogatorio, divieto di esercitare determinate attività (art. 290 c.p.p.)

– REALI: provvedimenti che incidono sul patrimonio, hanno finalità cautelari riferibili o alla garanzia per il pagamento delle pene pecuniarie, spese di giustizia ed eventuali risarcimenti danni (sequestro conservativo, artt. 316-320 c.p.p.), ovvero all’esigenza di impedire la commissione di nuovi reati o ulteriori conseguenze a quelli già commessi (sequestro preventivo, artt. 321-323 c.p.p.). Tali misure vanno richieste al giudice da parte del P.M., per esse è previsto un sistema di impugnazioni e non sono condizionate ai presupposti dei gravi indizi e delle esigenze cautelari.

Per quanto riguarda le condizioni per l’applicazione di tali misure, bisogna guardare a:

  • limite edittale della pena: delitti, pena dell’ergastolo o della reclusione superiore al massimo a 3 anni per le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare in carcere e per le misure interdittive, pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni per la custodia cautelare in carcere;
  • gravi indizi di colpevolezza;
  • esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.): devono essere specifiche ed inderogabili, relative ad un pericolo di inquinamento probatorio ed attuale, fondate su circostanze, espressamente indicate nel provvedimento, pena nullità (in questo caso la custodia cautelare non può avere durata superiore ai 30 giorni ed è prorogabile fino a un massimo di 90 giorni). Se vi è fuga o pericolo di fuga, quando la pena applicabile in concreto superi i due anni di reclusione, oppure per gravi delitti con uso delle armi o altri mezzi di violenza personale, contro ordine costituzionale, criminalità organizzata.

Il giudice adotterà la misura cautelare più opportuna, secondo i principi di adeguatezza di proporzionalità, di obbligatorietà della custodia cautelare, nel caso di criminalità organizzata, omicidio volontario, prostituzione o pornografia minorile. Non può disporsi la custodia cautelare in carcere di donna incinta, madre di prole inferiore a 3 anni con lei convivente, padre se la madre è deceduta o impossibilitata a dare assistenza alla prole, ultrasettantenne.

L’applicazione della misura avviene con provvedimento del giudice, su richiesta del P.M., il quale dovrà trasmettere al giudice, unitamente alla richiesta di applicazione di una misura cautelare, non solo gli elementi che sono a fondamento di essa, ma anche quelli a favore dell’imputato, le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. All’esecuzione dell’ordinanza dovrà seguire l’interrogatorio (c.d. di garanzia) della persona interessata. Nel caso di mancata esecuzione per irreperibilità della persona da sottoporre alla misura cautelare, l’art. 295 c.p.p. prevede che a seguito di verbale di vane ricerche, il giudice dichiari la latitanza del soggetto, quando la misura sia di tipo coercitivo, ma non necessariamente custodiale.

Avverso l’ordinanza che applica le misure, oltre il ricorso per cassazione è previsto il duplice rimedio del riesame e dell’appello.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Catanzaro, in riforma della ordinanza del G.i.p. di Catanzaro del 09/01/2025, ha sostituito la misura della custodia in carcere, che era stata applicata nei confronti di (omissis), con la misura degli arresti domiciliari in relazione alla imputazione provvisoria allo stesso ascritta (artt. 110, 629, comma primo e secondo, in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 1 e 3, 416-bis 1 cod. pen.).

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, (omissis), articolando motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 629, comma primo e secondo, in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 1 e 3, ed art. 416-bis.1 cod. pen., nonché violazione di legge in relazione agli artt. 273 e 292, comma secondo, cod. proc. pen. quanto alla ritenuta ricorrenza di gravi indizi di colpevolezza, nonché vizio della motivazione perché carente, contraddittoria e manifestamente illogica, con evidente travisamento delle risultanze processuali.

Nella prospettazione difensiva è del tutto mancato un ragionamento congruo e logicamente articolato del Tribunale, soprattutto tenuto conto dei plurimi temi introdotti dalla difesa. In tal senso, nell’ambito del primo motivo di ricorso, si è osservato, dopo aver richiamato la contestazione elevata, che era mancata qualsiasi considerazione in ordine all’effettivo ruolo del ricorrente, che era un mero dipendente della CMI, quanto: – alla presenza di contatti tra la CMI e il contesto ‘ndranghetistico collegato al clan (omissis), tanto da poter ritenere il (omissis) parte del meccanismo estorsivo e, come tale, pienamente consapevole, per metodo applicato e direzione della condotta, della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen ; – alla totale assenza di contatti tra lo stesso ed esponenti della cosca di (omissis); – al ruolo del (omissis) ed alla sua assoluta riservatezza quanto ai contatti con soggetti appartenenti a clan ‘ndranghestistici, in assenza di qualsiasi contatto diretto o evidente collegamento tra questi e il (omissis), anche considerato che la gestione della CMI era sempre stata a carico del padre del ricorrente; – alla sostanziale irrilevanza, quanto alla posizione del (omissis), dell’incontro tra dipendenti ICOP e l’ (omissis) (anche considerato che comunque in tale occasioni non ci furono mai contatti diretti); – alla assenza di qualsiasi elemento di carattere indiziario che potesse effettivamente far ritenere sussistente un rapporto di soggezione, chiaramente percepibile anche dal (omissis), della Icop quale soggetto estorto, mentre invece erano emerse cointeressenze tra la stessa e la Società per azioni Tre Colli per la quale agiva il Geometra (omissis); – alla effettiva lettura delle captazioni, atteso che le osservazioni difensive avevano dimostrato che le ditte che sovrafatturavano erano le uniche di fatto lese dal meccanismo messo in piedi dal Geometra (omissis) (tanto che ne erano scaturite tensioni in relazione al pagamento dell’IVA); – alla presenza di una effettiva e concreta consapevolezza da parte del ricorrente di interloquire e prendere accordi con un referente del clan Abbruzzese e realizzare la sovrafatturazione per consentire il pagamento della estorsione da parte della ICOP in favore della consorteria mafiosa.

2.2. Violazione di legge ed erronea applicazione degli artt. 273, 274, 275 cod. proc. pen.; è mancata qualsiasi effettiva considerazione in ordine alla ricorrenza di esigenze cautelari quanto alla posizione del (omissis).

3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è parzialmente fondato per le ragioni che seguono. Il residuo motivo è assorbito, sicché deve essere disposto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro.

2. Si deve premettere che in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie” (in motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 192 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01).

Tale orientamento ha trovato conforto anche in pronunce più recenti (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976-01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460-01). Ne consegue che: a) l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; b) il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito – Cass. Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400-01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698-01).

3. Ciò premesso, occorre considerare come nel caso in esame, pur a fronte di un articolato e approfondito sforzo ricostruttivo del contesto indagato e oggetto di imputazione provvisoria da parte del Tribunale del riesame, la motivazione risulta carente e in parte mancante su un tema centrale devoluto all’esame del Tribunale, con specifiche argomentazioni della difesa, ed inerente la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine all’elemento soggettivo del delitto provvisoriamente imputato in concorso (art. 629 cod. pen.), anche quanto alla aggravante contestata ai sensi dell’art. 416-bis 1 cod. pen. Il Tribunale ha difatti ampiamente ricostruito il complessivo contesto illecito nel quale è inserita la CMI Srl e i gravi indizi di colpevolezza relativi alla ricorrenza di una articolata attività di rilevanza penale e tributaria volta a realizzare plurime false fatturazioni per operazioni inesistenti o parzialmente inesistenti, così come è stato richiamato il rapporto con il (omissis). Tuttavia, deve essere riscontrata una carenza motivazionale quanto alla censura critica relativa alla piena consapevolezza da parte del (omissis) del meccanismo estorsivo, attivato in modo inequivoco nei confronti della ICOP, la consapevolezza da parte dello stesso dell’inoltro di una richiesta estorsiva ai responsabili di cantiere, ricevuta mediante le comunicazioni del (omissis) agli addetti (omissis) e (omissis) (che riferivano specificamente della richiesta estorsiva e delle sue caratteristiche, mediante indicazione delle ditte con cui lavorare e sovrafatturare, al titolare della ICOP, Pe.), la diretta riferibilità di tale richiesta al clan (omissis) per il tramite del (omissis), il ruolo e la funzione del (omissis) (anche considerato che questi non svolgeva alcun ruolo o incarico per la ICOP e contattava dunque il (omissis) in assenza di specifica legittimazione quanto a tale cantiere), con elementi indiziari volti a connotare una piena consapevolezza del ruolo svolto dal concorrente nel reato condividendone le finalità.

4. Il Tribunale dovrà dunque colmare tale lacuna motivazionale, nell’ambito della propria piena discrezionalità, in ordine alla effettiva ricorrenza della provvista indiziaria sul punto, anche tenendo conto del principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di processo indiziario, il giudice può fondare il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche sulla concatenazione logica degli indizi, dalla quale risulti che il loro complesso possiede quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso (Sez. 2, n. 45851 del 15/09/2023, Lo Nardo, Rv. 285441-02) anche quanto alla sua componente soggettiva. Principio che trova un suo evidente ambito di applicazione anche nel caso in esame, in considerazione del contesto descritto e dell’ambito territoriale di riferimento, in relazione al quale si è ripetutamente evidenziato che possono rilevare anche soltanto le modalità in sé della richiesta estorsiva, che, pur formalmente priva di contenuto minatorio, ben può manifestare un’energica carica intimidatoria – come tale percepita dalla vittima stessa – alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta è formulata all’influsso di notorie consorterie mafiose (Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, Neri, Rv. 270175-01).

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro.Così deciso in Roma, il 13 giugno 2025.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2025.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi