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Cassazione penale sez. II, 10/12/2021, n. 45557

Massima

Irrilevante che la persona non miri ad uno scopo di lucro quando si impossessa violentemente del telefono altrui, perché la nozione di profitto correlata al delitto di rapina non deve necessariamente concretizzarsi in un’utilità materiale: nel delitto di rapina l’ingiusto profitto può consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale.

Supporto alla lettura

RAPINA

Si configura il delitto di rapina (art. 628 c.p.) quando l’impossessamento di un bene mobile altrui è realizzato con violenza o minaccia alla persona, posta in essere prima dell’impossessamento, proprio al fine della sua attuazione, oppure immediatamente dopo di esso, per assicurare a sè o ad altri l’impunità.

Si tratta di un reato complesso in cui la condotta tipica del reato di furto (art. 624 c.p.) si accompagna alla violenza o minaccia tipiche, invece, del reato di violenza privata (art. 610 c.p.).

Il reato di rapina può distinguersi in:

  • rapina propria: quando la violenza o la minaccia precedono l’impossessamento del bene altrui e costituiscono invece il mezzo per ottenerlo, quindi il reato si considera consumato nel momento in cui si verifica l’impossessamento, corrispondendo a tutti gli elementi costituitivi del delitto. In questo caso il primo elemento costitutivo del reato, la violenza, si distingue a sua volta in propria o impropria, dove quest’ultima va intesa come l’utilizzo di qualsiasi mezzo idoneo, eslcusa la minaccia, a coartare la volontà del soggetto passivo annullandone la capacità di azione o determinazione; per violenza propria invece si intende l’impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento. Il secondo elemento costitutivo del reato, la minaccia, è inteso come la prospettazione di un male ingiusto e notevole, eventualmente proveniente dal soggetto minacciante.
  • rapina impropria: la violenza o la minaccia sono poste in essere successivamente alla sottrazione, al fine di assicurare a sè o ad altri il possesso della cosa o per procurare a sè o ad altri l’impunità. Quindi il reato si considera consumato al verificarsi della violenza o minaccia, il che deve aver luogo immediatamente dopo l’impossessamento perchè altrimenti si tratterebbe di un concorso materiale tra un reato di violenza o minaccia ed un furto, non di una rapina.

Il delitto di rapina può dirsi anche aggravato quando sussistano le circostanze previste dall’art. 628, c. 3, c.p., per esempio quando il reato venga commesso mediante l’utilizzo di armi o da persona travisata.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. (omissis) impugna la sentenza in data 09/10/2020 della Corte di appello di Bologna che ha confermato la sentenza in data 23/02/2018 del G.i.p. del Tribunale di Bologna, che lo aveva condannato per i reati di rapina impropria, lesioni aggravate, violenza privata.

Deduce:

1.1. Violazione di legge per mancata correlazione tra imputazione e sentenza e vizio di mancanza o contraddittorietà della motivazione.

La violazione del principio di correlazione tra imputazione sentenza viene ravvisata nel fatto che il G.i.p. ha ravvisato la configurazione di una rapina impropria, là dove nell’imputazione era contestata una rapina propria.

Si deduce, il vizio di contraddittorietà della motivazione spesa dalla Corte di appello per rigettare l’eccezione in esame, là dove osserva che nel capo d’imputazione è contestata la norma relativa alla rapina impropria.

Aggiunge che l’ingiusto profitto viene indicato nella possibilità di visionare i numeri e le comunicazioni contenute nel cellulare, ossia su circostanze non previste nel capo di imputazione.

1.2. violazione di legge in relazione all’art. 610, cod.pen. e vizio di motivazione contraddittoria o manifestamente illogica.

Secondo il ricorrente, nella doppia sentenza conforme, i giudici di merito avrebbero configurato la rapina impropria e la violenza privata sulla base di un’unica condotta, in violazione dell’art. 610, cod.pen., che esclude la configurabilità del reato quando esso costituisca elemento costitutivo o aggravante di altro più grave reato.

Aggiunge che la relativa eccezione è stata rigettata con motivazione illogica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché meramente reiterativo delle medesime questioni proposte con il gravame e correttamente risolte dalla Corte di appello che: a) ha rilevato come nel capo di imputazione sia contestata “inequivocabilmente” la fattispecie di cui all’art. 628, comma secondo, cod.pen., così che non poteva ritenersi configurata nessuna violazione dell’art. 521, cod.proc.pen., visto che la sentenza ha condannato per il reato contestato nell’imputazione; b) ha spiegato che i fatti configurano, in effetti, una rapina impropria; c) ha evidenziato come fosse irrilevante che (omissis) – con l’impossessamento violento del telefono – non perseguisse uno scopo di lucro, attesa la nozione di profitto correlata al delitto di rapina, che non deve necessariamente concretarsi in un’utilità materiale; c) ha evidenziato come non
vi fosse nessuna potenziale inconciliabilità tra la rapina e la violenza privata contestate a (omissis), perché tali delitti non venivano perpetrati con una sola condotta, bensì con due distinte condotte, poste in tempi diversi.

2. A fronte di una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto delle regole di cui all’art. 192 cod. proc. pen. e in conformità ai principi di diritto enunciati con riguardo alle questioni esaminate, il ricorrente reitera i motivi di ricorso trascurando del tutto di confrontarsi con le ragioni argomentate della Corte di appello, se non enunciando generiche quanto apodittiche censure di illogicità della motivazione.

Da qui tutta una serie di cause di inammissibilità.

2.1. In primo luogo, il ricorso si mostra aspecifico. Tale vizio, invero, si configura non solo nel caso della indeterminatezza e genericità, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. Un. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1,
30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).

2.2. In secondo luogo, i motivi, dietro la generica enunciazione della violazione di legge e del vizio di motivazione, in realtà non fanno altro che offrire una ricostruzione dei fatti antagonista e alternativa a quella dei giudici della doppia sentenza conforme, senza mai evidenziare violazioni di legge o mancanze
argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata.

Tanto emerge in maniera macroscopica con riguardo al motivo relativo alla violazione dell’art. 521, cod. proc. pen – dove – a fronte di una precisa e formale contestazione della norma che sanziona la rapina impropria, di una descrizione del fatto correlata a tale contestazione formale e a una sentenza del tutto
coerente a tale contestazione – il ricorrente pretende che, invece, debba intendersi contestata una rapina propria, pur a dispetto della norma menzionata e del fatto enunciato.

Analoghe considerazioni valgono con riguardo alla pretesa unicità della condotta asseritamente correlata alla violenza privata e alla rapina, là dove la mera lettura dell’imputazione fa emergere come i delitti contestati si riferiscano e condotte del tutto autonome, cronologicamente e naturalisticamente distinte.

Vale ricordare, allora, che i vizi di motivazione possono essere esaminati in sede legittimità allorquando, non propongano censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997) le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente e idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum.

1.3. Il ricorso risulta – inoltre e conseguentemente – manifestamente infondato, perché le questioni sollevate si fondano su un presupposto di fatto del tutto inesistente.

1.4. La manifesta infondatezza si rinviene anche con riguardo al tema della individuazione dell’ingiusto profitto.

A tal riguardo, la Corte di appello ha correttamente enunciato il principio secondo cui «nel delitto di rapina, l’ingiusto profitto non deve necessariamente concretarsi in un’utilità materiale, potendo consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale che l’agente si riproponga di conseguire, sia pure in via mediata, dalla condotta di sottrazione ed impossessamento, con violenza o
minaccia, della cosa mobile altrui», (Sez. 2 – , Sentenza n. 23177 del 16/04/2019, Gelik, Rv. 276104 – 01).

Va rilevato come tale principio è stato enunciato su un preciso motivo di gravame, con il quale (omissis) si doleva del fatto che «la rapina si sarebbe consumata tra persone legate da una relazione sentimentale e l’elemento specializzante del fine di profitto viene ravvisato nel conoscere il codice di accesso al telefono cellulare».

Da tale notazione emerge come il ricorrente si sia precipuamente difeso sul punto, così che non può ritenersi alcuna lesione del diritto di difesa circa il fatto contestato, con conseguente manifesta infondatezza del motivo.

3. Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 15/10/2021

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