Massima

In tema di sequestro preventivo, il ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame è ammissibile in Cassazione solo per violazione di legge (ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1). È inammissibile la censura che lamenti uno straripamento dei poteri di cognizione dei giudici a quibus, in quanto, pur essendo il fumus commissi delicti il presupposto “minimo” sufficiente per l’adozione della misura cautelare reale, il Tribunale del riesame non è obbligato a “degradare” il proprio potere di sindacato limitandosi ad un accertamento superficiale.

Supporto alla lettura

SEQUESTRO

Rientra tra le misure cautelari reali e consiste nello spossessamento di un bene, mobile o immobile, sottratto alla disponibilità di un soggetto.

Esistono 3 tipologie di sequestro:

  • probatorio: non rientra tra la misure cautelari reali, si tratta di un mezzo di ricerca della prova che ha l’obiettivo di assicurare il bene mobile o immobile per fini probatori, solitamente viene disposto a seguito di perquisizione;
  • conservativo: rientra tra le misure cautelari reali ed ha finalità prevalentemente economica. Questa tipologia di sequestro ha subito modifiche in seguito all’entrata in vigore della riforma Cartabia, che ha rimosso ad esempio le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria;
  • preventivo: rientra tra le misure cautelari reali ed ha finalità di protezione, infatti l’art. 321 c.p.p. dispone che “quando vi è pericolo che la libera disponbilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Ricorre per Cassazione (omissis) avverso il provvedimento del riesame di Enna che il 7.2.2018 ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2.

Deduce la ricorrente:

1. violazione di legge per erronea interpretazione dell’art. 324 c.p.p., comma 7 e art. 309 c.p.p., comma 9. Lamenta la ricorrente uno straripamento dei poteri di cognizione del Tribunale del riesame che si sarebbe addentrato nella valutazione di aspetti che in via tipica ed esclusiva spettano al giudice del dibattimento. L’ordinanza costituirebbe un’anticipazione delle decisioni delle questioni di merito concernenti la responsabilità dell’indagata, addentrandosi nella valutazione del materiale probatorio. In sintesi il tribunale di Enna avrebbe esercitato un sindacato precluso in questa fase.

2. Violazione di legge anche per erronea configurazione dei reati, vizio della motivazione. Rileva che il GIP aveva escluso l’ipotesi di riciclaggio di cui al capo 201 e che il reato di falso indicato fra i reati fine non era mai stato contestato all’indagata. Lamenta inoltre che il Tribunale non ha considerato le deduzioni difensive in ordine alla sussistenza del reato associativo e dei reati di truffa che vengono richiamate nel ricorso. Evidenzia anche che il reato di truffa di cui al capo 202 è estinto per prescrizione.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La violazione di legge dedotta con il primo motivo evoca una sorta di “eccesso di potere” in cui i giudici del riesame sarebbero incorsi nel determinare i confini del loro sindacato sul decreto di sequestro preventivo, fuoriuscendo dall’alveo di un mero riscontro circa la sussistenza del fumus, per giungere, invece, ad un giudizio “di merito” che avrebbe finito per snaturare il controllo del riesame. L’assunto, fondato su una serie di massime giurisprudenziali tralatiziamente riportate, non appare pertinente al caso di specie – nel quale, come si vedrà, i giudici a quibus hanno fatto buon governo dei poteri di sindacato loro devoluti -, e risulta inoltre palesemente incongruo, giacchè confonde il presupposto “minimo”, che deve integrare la base fattuale necessaria e sufficiente per poter disporre la misura cautelare reale, rispetto al reale ambito del controllo giurisdizionale devoluto in sede di gravame all’organo giurisdizionale.

La “sufficienza” del requisito del mero fumus commissi delicti “si raccorda, concettualmente, al fatto che l’adozione della misura può presentarsi – e di regola, anzi, si presenta – allo stesso esordio della indagine, allorchè tutti gli accertamenti ancora devono essere compiuti: e quindi, la base fattuale su cui la misura stessa deve sostenersi, ben può essere rappresentata dalla configurabilità di un reato di cui ancora possono risultare nebulose tutte le interferenze in ordine alle varie responsabilità soggettive. Da qui, dunque, la certa non riferibilita al tema delle cautele reali del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, che, invece, caratterizza le misure cautelari personale”.

Peraltro, “la “base” probatoria su cui si sostanzia il provvedimento di sequestro è “flessibile” in ragione dei diversi stadi di accertamento dei fatti: se a legittimare la misura è “sufficiente” il fumus, ciò non toglie che la relativa sussistenza può formare oggetto di scrutini “contenutisticamente” differenziati a seconda del materiale che il pubblico ministero ritiene di devolvere al giudice chiamato ad adottare la misura e, poi, a scrutinare la legittimità del provvedimento in sede di impugnazione” (Sez. 2, sentenza n. 47421de1 16 dicembre 2011). Nel caso in cui gli elementi prodotti dal pubblico ministero documentino la “sussistenza” del reato in termini congrui, potrà dirsi raggiunto il (necessario e sufficiente) fumus e, quindi, integrato il presupposto “minimo” per l’adozione della misura cautelare reale; tuttavia, nei casi in cui – come accaduto nel caso di specie – il materiale di indagine ha permesso al giudice di emettere misure cautelari – la ricorrente è sottoposta all’obbligo di firma – non può certo pretendersi che il giudice, cui il materiale di indagine sia stato devoluto, sia obbligato a “degradare” il proprio potere dl sindacato, limitandosi ad un accertamento “più superficiale”, sul rilievo che, altrimenti, il controllo proprio del subprocedimento cautelare risulterebbe snaturato.

Deve aggiungersi che contro le ordinanze emesse a norma dell’art. 324 c.p.p. in materia di sequestro preventivo il ricorso è ammesso solo per “violazione di legge” (art. 325 c.p.p., comma 1), per censurare, cioè, “errores in iudicando” o “errores in procedendo” (art. 606 c.p.p., lett. B e C) commessi dal giudice di merito, la cui decisione risulti di conseguenza radicalmente viziata. Va ancora precisato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento (ex plurimis: SS.UU. 13.2.2004; SS.UU. 28.5.2003).

Ne consegue che il ricorso proposto dalla P. deve essere depurato delle molte considerazioni di merito, che lo gravano pesantemente riguardo a diversi punti della pronuncia impugnata, ma anche dei rilievi riferibili a presunte carenze della motivazione sviluppata dal tribunale del riesame, segnatamente in tema di sussistenza del reato associativo, considerato che le censure indicate nel secondo motivo sono dirette a contestare la valutazione effettuata dai giudici di merito rispetto alla quale non si segnala alcuna assenza fisica di motivazione ma si oppongono argomenti di diverso segno valutativo e come tali inammissibili in questa sede. Pretende infatti l’accoglimento di allegazioni difensive che sostiene essere state pretermesse chiedendo a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lei più gradita, senza confrontarsi con le emergenze processuali determinanti per la formazione del convincimento del riesame.

Deve, inoltre, rilevarsi che, come risulta a pag. 359 del provvedimento genetico, la misura reale non è stata data con riguardo alla truffa di cui al capo 202) perchè estinto per prescrizione.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e la ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00 Euro in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000,00 Euro in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2019

Allegati

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